Quindi dobbiamo calare le braghe e leccare il culo al russo finché morte (sua) non ci separi?
cos'è che ti scandalizza? lo facciamo dal 1945 con gli americani, i guerrafondai per antonomasia
So bene le nefandezze degli americani che abbiamo dovuto appoggiare negli ultimi 70 anni, ma adesso si tratta di tutt'altra questione, e cioè cosa siamo disposti a fare per salvaguardare i nostri diritti fondamentali?
Pare che, qua dentro, pur di non toccare il nostro modus vivendi acquisito qualcuno sia disposto a mettersi a 90, come se ai tempi dell'occupazione nazista non si fosse mosso un dito.
il passato non può essere cambiato,il presente offre solo rimpianti e perdite,solo nei giorni a venire un'uomo può trovare conforto quando i ricordi svaniscono.CRASSO!
Macron telefona a Putin.
Biden telefona a Putin
Johnson telefona a Putin.
Ecc...
Non potrebbero creare un gruppo whatsapp?
(scherzo per esorcizzare la paura)
Macron telefona a Putin.
Biden telefona a Putin
Johnson telefona a Putin.
Ecc...
Non potrebbero creare un gruppo whatsapp?
(scherzo per esorcizzare la paura)
"This machine kills fascists" scritto su tutte le chitarre di Woody Guthrie
Ehi, campione, che cosa è il pugilato?..." la boxe...uhm....la boxe è quella cosa che tutti gli sport cercano di imitare" (S. Liston)
"Gli fuma gli fuma, va come gli fuma l'angelomario va, gli fuma , gli fuma, altroche'" (cit. ziggy7)
"Ho un'età elegante" (cit. Lilith, Miss Spring)
Macron telefona a Putin.
Biden telefona a Putin
Johnson telefona a Putin.
Ecc...
Non potrebbero creare un gruppo whatsapp?
(scherzo per esorcizzare la paura)
Manca il segretario di Draghi che telefona a Putin e gli dice che può sentirlo fuori dall'orario di lavoro.
Dòni, sa tirìa e cul indrìa, la capela la'n va avantei / Donne, se tirate il culo indietro, la cappella non va avanti. BITLIS
Quando la fatica supera il gusto e ora di lasciar perdere la Patacca e attaccarsi al lambrusco. Giacobazzi
Qualcuno ancora pensa che Putin è buono e caro ma lo abbiamo provocato troppo. Posso capire che lo dicesse Salvini, che (credo, perché non ci sono prove) aveva un tornaconto economico a dare queste opinioni, ma ormai la maggior parte degli osservatori ha capito che c’è un disegno nazionalista ottocentesco nella visione di Putin.
Se è così, la tattica di non farlo arrabbiare mi sembra un po’ miope. Ovviamente non si può fare una guerra frontale, ma sperare di rendergli la vita difficile militarmente (mandando aiuti efficaci agli ucraini) ed economicamente con le sanzioni mi sembra siano cose da fare. Ma l’occidente da solo non può aver successo,
Qualche analista dice che questa guerra in Europa abbia dato una mazzata al globalismo, al commercio mondiale interconnesso. Se questo fosse vero la Cina si allineerebbe a chi cerca di far desistere Putin.
Non vedo i buoni ed i cattivi, come appunto si fa all’asilo, vedo nelle situazioni chi ha le responsabilità. In questo caso la Russia, che ha prima armato separatisti del Donbas che è una regione dentro un altro Stato sovrano, che poi ha attaccato su vasta scala.
C’è un aggressore e un aggredito, e qui si fanno disquisizioni che il bullo ha però qualche ragione a menare i ragazzi più piccoli che non vogliono dargli la merendina. Domandarsi se sono buoni Johnson o Macron mi sembra davvero fuori dal tempo, fuori contesto
Lucido editoriale di Aldo Cazzullo oggi sul Corriere della Sera. Ed evidenzia che i pro Putin e no vax ragionano allo stesso modo
UNA SCELTA NECESSARIA
Putin attacca un Paese sovrano, ma è stato provocato; la colpa è dell’Europa. Putin fa strage di civili ucraini, ma è stato costretto; la colpa è dell’America. Putin minaccia la guerra nucleare, ma è stato indotto; la colpa è della Nato.
Nato è la parola-chiave. «Fuori l’Italia dalla Nato!» scandivano i cortei rossi come quelli neri, negli anni 70. E anche oggi si saldano i duri e puri di sinistra con la destra sovranista. La guerra di Putin uccide ogni giorno decine se non centinaia di vecchi, donne, bambini; ma noi filosofeggiamo, poiché non esistono il bene e il male, il torto e la ragione, il bianco e il nero; esiste solo il grigio, in cui tutto può essere giustificato. Ma il giustificazionismo attorno a Putin, nei giorni del massacro, è davvero eccessivo.
Fateci caso: spesso sono gli stessi del No al Green Pass. «Io non sono contro i vaccini, però…». «Io sono contro Putin, però…». Sono quelli del «però». Com’è ovvio, il Green Pass e Putin non c’entrano nulla. Ma la logica è la stessa: noi siamo quelli che non la bevono, noi siamo quelli che cantano fuori dal coro.
Intendiamoci: il pensiero critico è il segno della superiorità della democrazia sull’autocrazia. Va esercitato in ogni circostanza, anche in guerra. A maggior ragione in una guerra difficile da decifrare, in cui si combatte come sempre un conflitto di falsi numeri e false notizie, complicato ora dagli inganni televisivi e digitali. La Nato era considerata superata sia da Trump, che la voleva far pagare agli europei, sia dallo stesso Macron. Per qualcuno si è allargata troppo verso Est, per altri troppo poco. In una democrazia si discute, e chi la pensa diversamente va contraddetto ma rispettato. Però viene un momento in cui bisogna decidere da quale parte stare. I generici appelli alla pace sono condivisibili, ma non bastano.
Qui ci sono un aggressore e un aggredito. C’è un Paese da oltre 17 milioni di chilometri quadrati, il più vasto al mondo, che vuole annettersi regioni di (o magari tutto) un Paese ventotto volte più piccolo. E la nostra parte non può che essere quella dei milioni di ucraini che stanno soffrendo, e delle migliaia di russi che mettono in gioco i loro corpi e la loro vita per fermare la guerra. La nostra parte non può che essere quella della libertà e della democrazia. È retorica? No, è carne e sangue.
Mercoledì è stato un giorno durissimo. A Kherson, a Kharkiv, a Kiev si contavano le vittime, militari e civili. Ma l’argomento più dibattuto sui social in Italia era la sospensione — subito revocata — di un corso su Dostoevskij. La sospensione era ovviamente una stupidaggine, come la stessa università Bicocca ha riconosciuto. Così com’è ovvio che essere russo non è una colpa. Nessuno chiede a un russo di vergognarsi di essere russo, e se lo chiedesse sbaglierebbe. È legittimo invece chiedere a un sostenitore di Putin, che lavora con istituzioni pubbliche finanziate anche con soldi pubblici, di prendere le distanze dall’aggressione all’Ucraina e dalla strage degli ucraini. Essere contro Putin non significa essere contro la Russia, ma contro il regime.
Putin ha molti amici nel mondo. Ha comprato politici, pezzi di partiti, partiti interi. Eppure non era impossibile capire chi fosse, anche prima dell’inaudita aggressione all’Ucraina. È l’uomo dei massacri in Cecenia, della strage dei bambini di Beslan, dell’attacco all’esercito georgiano, dell’intervento nelle sanguinose guerre civili in Siria e in Libia. È l’uomo dell’eliminazione dei cronisti coraggiosi, dell’avvelenamento dei nemici, dell’incarcerazione degli oppositori. Ora ha fatto altri passi, spingendosi là dove neppure Stalin si era spinto: minacciare un conflitto nucleare.
Durante la guerra fredda, le minacce si facevano a bassa voce, non in pubblico. Nel 1973, quando gli israeliani, rintuzzato l’attacco egiziano, marciarono oltre il Canale di Suez, i sovietici fecero sapere agli americani: fermateli o usiamo l’atomica. Qualche ora prima, quando i siriani avevano sfondato sul Golan, Golda Meir (lo racconta Benny Morris in «Vittime») pensò all’uso dell’arma nucleare tattica, ma Ariel Sharon la fermò: «Aspetta, i nostri uomini possono ancora resistere». I carristi israeliani resistettero. L’atomica insomma era un tabù, anche tra due blocchi che avrebbero potuto distruggersi a vicenda, anche tra popoli che combattevano per la vita e per la morte.
A quale livello di barbarie siamo arrivati se persino questo tabù viene infranto, se Putin parla di «conseguenze mai viste nella storia», se un uomo dell’intelligenza di Lavrov evoca la guerra nucleare?
Anche per questo non possiamo non schierarci. E la grande maggioranza degli italiani l’ha capito.
A scuola dovrebbero insegnare come ci si allinea studiando Geisha.
"Ha armato i separatisti che erano dentro uno Stato sovrano".
Il Kosovo invece non era dentro uno Stato sovrano?
In Siria non abbiamo armato i "separatisti"? Non erano anche loro dentro uno Stato sovrano?
In Libia non abbiamo aiutato gli "insorti"? Non erano anche loro dentro uno Stato sovrano?
Come si faccia a trovare differenze lo sa solo chi è perennemente allineato.
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Dòni, sa tirìa e cul indrìa, la capela la'n va avantei / Donne, se tirate il culo indietro, la cappella non va avanti. BITLIS
Quando la fatica supera il gusto e ora di lasciar perdere la Patacca e attaccarsi al lambrusco. Giacobazzi
Russian Banks Turn to China to Sidestep Cutoff From Payments Systems
Sberbank, Alfa Bank and Tinkoff Bank said they are working on the possibility of issuing cards powered by China’s UnionPay
ELOGIO DELLA RESA ?
E’ domenica, nevica, e avrei voluto raccontarvi di questi giorni in Bosnia, a girare tra quel che resta di una guerra lontana. E invece mi torna in mente di quando ero un giovane inviato nelle rivoluzioni dell’America Latina, e non riuscivo a non sorprendermi della crudezza di una parola d’ordine diffusa: “Patria o muerte”. Veniva da un discorso di Fidel Castro nel 1960, ma assomigliava alle storie risorgimentali che mi avevano insegnato a scuola, a un’ idea del sacrificio che mi pareva marmorea, retorica, e fuori dal mio tempo (Non avresti combattuto il nazifascismo ? Credo di sì, ma non è il mio tempo…). Mi è successo tante altre volte di chiedermi se avessero ragione quelli che si apprestavano, o almeno si dichiaravano pronti a morire per qualcosa, da Sarajevo a Gerusalemme, da Kabul a Mogadiscio, dalla Libia alla Siria. Sono uno che prova paura, ed evitavo di chiedermi se la mia distanza fosse viltà, o miseria di valori. Mi dicevo che morirei per salvare i miei figli, e la domanda successiva riapriva il problema: dove arriverei per difendere i figli degli altri ? So come me la cavavo: non morirei, ma neanche ucciderei in nome di una bandiera, in nome di un confine, non c’è nulla che valga la vita di un altro. Questa mia confusione ritorna, in questi giorni. Voglio confessarla semplicemente, come un pensiero banale. Non mi sorprende la voglia di resistenza degli ucraini, anche se penso che la loro esperienza di guerra, prima, fosse solo la guerra sporca del Donbass. Non mi sorprende che resistano con un orgoglio quasi commovente a un’aggressione. Mi sorprende il loro leader, che riscuote tanta ammirazione per un comportamento che ci sembra senza pari, tra i politici nostri, e per la forza delle parole, delle espressioni, della barba trascurata e delle magliette da combattente. Un grande leader, per me, non è chi è pronto a morire. Questo dovrebbe essere il minimo sindacale. Un grande leader è quello che accompagna il suo popolo nella traversata del deserto, lo salva. Ecco, a me pare che Zelensky lo stia accompagnando allo sbaraglio, sia pure in nome della dignità e della libertà e dell’autodifesa, tutte cause degnissime. E dunque mi sorprende ancora di più l’Occidente che lo spinge, lo arma, e in definitiva lo illude, perché non acconsente a dichiarare quella no fly zone che vorrebbe dire essere trascinati in guerra, come a Zelensky non dispiacerebbe. E da questa comoda posizione però incita, fosse mai che la trappola diventi la tomba per Putin: si chiamano proxy war, guerre per interposta persona, che altri combattono in nome tuo. Se va bene, bene, abbiamo vinto. Se va male, che siano curdi o afghani, hanno perso loro. In due parole: credo che sarebbe stato più sensato e utile mediare, provare non a sconfiggere Putin con il sedere degli altri, ma a fermarlo, a scombussolarne i piani. Cosa intendo ? Una resa dignitosa, una trattativa per cedere qualcosa ma non tutto, per raffreddare il conflitto, mettendo in campo caschi blu e osservatori, idee e prese di tempo. E invece vedo che piace l’eroismo, vedo che i nazionalismi non fanno più paura, che patria o morte torna di moda, dopo che anche i presidenti della Repubblica erano passati al termine “Paese”: piacciono le patrie altrui. No, si chiama de escalation: evitare che milioni debbano scappare. Evitare che migliaia debbano morire, salvare il salvabile, le idee e le persone che si fa in tempo a salvare. Però ormai lo scelgono loro. Per quel che riguarda noi, risparmiamoci almeno la retorica.
Non mi sorprende la voglia di resistenza degli ucraini, anche se penso che la loro esperienza di guerra, prima, fosse solo la guerra sporca del Donbass. Non mi sorprende che resistano con un orgoglio quasi commovente a un’aggressione. Mi sorprende il loro leader, che riscuote tanta ammirazione per un comportamento che ci sembra senza pari, tra i politici nostri, e per la forza delle parole, delle espressioni, della barba trascurata e delle magliette da combattente. Un grande leader, per me, non è chi è pronto a morire. Questo dovrebbe essere il minimo sindacale. Un grande leader è quello che accompagna il suo popolo nella traversata del deserto, lo salva. Ecco, a me pare che Zelensky lo stia accompagnando allo sbaraglio, sia pure in nome della dignità e della libertà e dell’autodifesa, tutte cause degnissime. E dunque mi sorprende ancora di più l’Occidente che lo spinge, lo arma, e in definitiva lo illude, perché non acconsente a dichiarare quella no fly zone che vorrebbe dire essere trascinati in guerra, come a Zelensky non dispiacerebbe. E da questa comoda posizione però incita, fosse mai che la trappola diventi la tomba per Putin: si chiamano proxy war, guerre per interposta persona, che altri combattono in nome tuo. Se va bene, bene, abbiamo vinto. Se va male, che siano curdi o afghani, hanno perso loro. In due parole: credo che sarebbe stato più sensato e utile mediare, provare non a sconfiggere Putin con il sedere degli altri, ma a fermarlo, a scombussolarne i piani. Cosa intendo ? Una resa dignitosa, una trattativa per cedere qualcosa ma non tutto, per raffreddare il conflitto, mettendo in campo caschi blu e osservatori, idee e prese di tempo. E invece vedo che piace l’eroismo, vedo che i nazionalismi non fanno più paura, che patria o morte torna di moda, dopo che anche i presidenti della Repubblica erano passati al termine “Paese”: piacciono le patrie altrui. No, si chiama de escalation: evitare che milioni debbano scappare. Evitare che migliaia debbano morire, salvare il salvabile, le idee e le persone che si fa in tempo a salvare. Però ormai lo scelgono loro. Per quel che riguarda noi, risparmiamoci almeno la retorica.
è la tesi di Padellaro che però non mi convince, sono più d'accordo con Caracciolo
non so niente, non mi importa niente, non mi occupo di niente, non credo niente e non voglio niente
secondo Fabbri il "confine" a cui punta Putin è il fiume Dnepr, e le città chiave che vogliono i russi sarebbero 3: Kherkiv (la seconda più popolosa), Kiev (capitale) e Mariuopol per tagliare definitivamente fuori l'Ucraina dall'accesso al mare e collegare Donbass-Crimea-Transnistria (quest'ultima di fatto sotto controllo russo dal 1992)
la parte occidentale (dalla Galizia a Kiev) sarebbe impossibile da controllare per i russi
il paese verrebbe "segato" a metà dal fiume Dnepr
non so niente, non mi importa niente, non mi occupo di niente, non credo niente e non voglio niente