OSCAR VENEZIA ha scritto:OSCAR VENEZIA ha scritto:Ma funziona la psicoanalisi ? Qualcuno ne ha mai tratto benefici ?
Mi sembra qualcosa di completamente avulso dai reali processi mentali e ho visto che non sono solo io a sospettarlo per molti non è nemmeno una scienza.
I pscicologi classici poi, per anni hanno detenuto un potere che andava molto al di la delle loro reali competenze
Questo studio statunitense conferma la mia teoria, la depressione ed altre alterazioni del comportamento hanno una base genetica, l'ambiente conta molto meno di quanto crediamo e soprattutto con le "parole" di psicologi e psicnalisti è difficile modificare un dato genetico.
La depressione è "scritta" nei geni
Uno studio spazza via ogni dubbioUn team di ricercatori Usa ha preso in esame 54 studi e ha confermato il legame tra Dna e male di vivere. Contraddetto così un precedente lavoro, pubblicato su Jama nel 2009, che aveva messo in dubbio le basi genetiche della malattiadi ADELE SARNO
ROMA - Vincent van Gogh e Richard Nixon, Alain Delon e Nicole Kidman, dalla pittura alla politica passando per lo spettacolo, la depressione è come un filo rosso che lega milioni di persone. Una nuova ricerca rivela ora che in realtà la causa del male di vivere può essere nascosta tra le "pieghe" del Dna e che nell'insorgere della malattia, accanto agli eventi traumatici "esterni", tutto dipende da un gene, chiamato 5-HTT. Gli scienziati dell'University of Michigan (Usa) riaprono dunque una questione dibattuta da decenni, affermando, dopo aver comparato 54 studi sull'argomento, il collegamento tra Dna e depressione.
Lo studio appena pubblicato su Archives of General Psychiatry 1 contraddice un precedente lavoro del 2009 che aveva messo in dubbio le basi genetiche del male di vivere, riaprendo così il dibattito su una delle tematiche più importanti affrontate dalla medicina del ventunesimo secolo. Un team di esperti in genetica, statistica ed epidemiologia aveva pubblicato sul Journal of the american medical association 2 (Jama) i risultati di un'analisi di 14 rilevanti pubblicazioni che valutavano l'interazione tra Dna, eventi stressanti e sviluppo della depressione.
"Dalla nostra analisi - scrivevano i ricercatori nel 2009 - non emerge una correlazione significativa del genotipo del gene in questione con la depressione,
né con la suscettibilità agli eventi stressanti della vita".
A sua volta, la ricerca di Jama aveva contestato uno studio del 2003 che aveva preso in esame la storia clinica di 847 persone e la sequenza di un gene che controlla il trasporto del neurotrasmettitore serotonina, ovvero la "molecola del buonumore". Il risultato era stato che c'era un rischio maggiore di sviluppare uno stato depressivo tra chi aveva una versione più corta del gene. Questo rendeva più vulnerabili le persone agli eventi stressanti della vita, dal divorzio a un lutto, dalla menopausa a una malattia prolungata.
Oggi Today Srijan Sen e i suoi colleghi psichiatri della University of Michigan Medical School presentano una nuova e più estesa metanalisi. Lo studio infatti analizza 54 ricerche, tutte portate avanti fra il 2001 e il 2009, raccolte su PubMed, per un totale di circa 41mila pazienti presi in esame. Stando ai risultati, appare evidente il legame tra il gene 5-HTTLPR, lo stress e la depressione.
In altre parole, una particolare variante di un gene indebolisce i circuiti cerebrali che elaborano le emozioni negative, ne altera il funzionamento e scatena il rischio di sviluppare la depressione, soprattutto in presenza di eventi stressanti. Questa ricerca potrebbe portare alla ricostruzione della carta d'identità genetica della depressione, aprendo così la strada al controllo di questa malattia che, secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità, entro il 2020 potrebbe essere la seconda patologia più diffusa nel mondo dopo i disturbi cardiovascolari.
Secondo Sen, non ci sono dubbi: "Avendo incluso tutti gli studi più pertinenti sull'argomento, possiamo confermare che il corredo genetico di un individuo fa la differenza nel modo in cui lui o lei risponde allo stress". Una notizia accolta con entusiasmo anche dagli autori della ricerca del 2003: "L'accurato e sistematico approccio utilizzato dai colleghi dell'ateneo del Michigan - ha commentato uno di loro, Terrie Moffitt della Duke University - dimostra perché, al contrario, l'indagine pubblicata su 'Jama' fosse limitata".
Vedi, Oscar, le basi molecolari (e quindi genetiche) di alcune forme depressive sono note da 40 anni e fin da allora si avvantaggiano in maniera evidentissima del trattamento farmacologico.
Ma il capitolo "Depressione" va visto come una galassia di entità nosologiche diverse tra loro a partire dalle cause e dai meccanismi patogenetici.
Le forme cosiddette "reattive", ad esempio, cioè quelle in cui vi è una reazione abnorme per intensità o durata a un evento di perdita, sono assai meno sensibili alla farmacoterapia e rispondono meglio alla psicoterapia.
In realtà ci sarebbe un lungo discorso da fare sul confine tra depressione e tristezza, perché nel tempo sempre più il dolore, che è alla base della nostra condizione esistenziale, è stato illusoriamente scacciato nel recinto della malattia, quasi avessimo voluto con questo esorcismo negare la verità del disagio di vivere.
Il senso tragico della vita che ha pervaso tutto il mondo precedente alla contemporaneità ne è la prova più evidente.
Per quanto riguarda le psicoterapie va messo ben in evidenza che quelle tecniche, che non sono esclusivamente verbali, determinano una modificazione molecolare e recettoriale cerebrale, similmente a quanto fanno i farmaci, quindi, posto che anche le risposte verbali e non verbali del paziente, analogamente a quelle del terapeuta, modificano di fatto eventi molecolari e bioelettrici all'interno della nostra psiche, si può vedere quanto sia corta la distanza intercorrente tra i due approcci.
Un esempio per tutti: se qualcuno ci dà una notizia terribile, è esperienza comune che ci salgono pressione e frequenza cardiaca e nel contempo ci investono l'ansia, la depressione o entrambe.
La prevalenza ora dell'uno ora dell'altro studio è da sempre in medicina inficiata da interessi economici. Se realizzo uno studio pro-genetica porterò acqua al mulino delle case farmaceutiche, se ne realizzo uno anti la dirigerò verso gli studi dei terapeuti.
Anche qui c'è un esempio clamoroso.
Negli anni 20 del 900 uno studioso di formazione francese, Felix D'Herelle scoprì che certi virus, i batteriofagi, potevano essere impiegati con successo e senza effetti collaterali contro le malattie infettive batteriche, ma nel 1928 Fleming scopre la penicillina e l'industria opta per investire tutto su questi farmaci perché economicamente più vantaggiosi per via del minor costo in ricerche e produzione.
D'Herelle si trasferì nella Georgia sovietica dove gli aprirono un istituto apposito, il cui direttore,Eliavna, fu però fatto assassinare da Berjia all'insaputa di Stalin per ragioni politiche e perché la moglie dello scienziato rifiutava di dargliela. D'Herelle tornò in occidente e lì comunque continuano ancora e i batteriofagi sono tornati di moda oggi che il problema dell'antibioticoresistenza sta diventando serissimo.