Anch'io sono rimasto colpito da un passaggio: Ivrea era bellissima. Un gigantesco campus industriale. Palazzine, uffici, stabilimenti, laboratori..Pensiero Dominante ha scritto:Vorrei candidare "in toto" questo post che trovo molto bello dall'inizio alla fine, e superlativo qui:Berlino ha scritto:Di De Benedetti so poco e quindi vado OT. Dell'Olivetti questo so.
Mio padre aveva nel suo ufficio una macchina Olivetti. Era una calcolatrice meccanica. Faceva le somme con un rumore bellissimo tra-tra-trac. Una moltiplicazione impiegava molto di più e faceva tra-tra-tra-tra-tra-tra-tra-trac. Era stupenda.
La Olivetti nasce producendo macchine elettro-meccaniche. Nella meccanica di precisione l'italia aveva una grande tradizione. L'elettronica è venuta dopo e la trasformazione dalla elettro-meccanica all'elettronica è stata un triplo salto carpiato con avvitamento per l'olivetti. Salto eseguito magistralmente.
L'università sfornava molti ingegneri meccanici e elettrotecnici e non ha prodotto ingegneri elettronici fino agli inizi degli anni settanta. Non parliamo degli informatici che cominciano a vedersi negli anni 80. Io stesso mi sono iscritto a ingegneria meccanica il primo anno e sono passato a elettronica al secondo. In qualche modo rappresento proprio quella transizione.
Ho lavorato per l'Olivetti a Ivrea appena finito il militare come consulente. Un periodo brevissimo. Ivrea era bellissima. Un gigantesco campus industriale. Palazzine, uffici, stabilimenti, laboratori. Tutto ruotava attorno all'Olivetti. La città orgogliosa. Tutto pulito ordinato come una città svizzera (anzi olandese mi viene da dire). Se penso a come è adesso mi viene da piangere.
Ivrea mi piaceva. C'erano parecchi visiting-professor da tutto il mondo. Non solo dall'inghilterra, dalla francia, dalla australia, giappone e usa compresi. A Ivrea si respirava la stessa aria che si respirava sulla one-o-one attorno a San Josè, CA.
Ma la nostra migliore infornata di tecnici non poteva competere con stati uniti e giappone (all'epoca sfornavano dieci volte più ingegneri di noi). La nostra capacità di produrre tecnologia aveva questo incolmabile handicap. Come paragonare il MIT di Boston con il Politecnico di Torino? Eppure i nostri laureati (quella generazione di nerds che di fica non ne ha visto punto) nella media erano cazzuti quanto un jap o uno yankee. E' un fatto.
Una ragione dello smisurato svantaggio era anche la gigantesca quantità di denaro che gli stati uniti e il giappone (chi si ricora il fantasmagorico finanziamento del ministero della industra giapponese per conquistare la leadership tecnologica?) buttavano per sostenere l'industria. Per non parlare del traino del militare e dei consumi negli stati uniti. Per noi c'era solo la Comunità Europea e i pochi finanziamenti finivano ai soliti noti.
Nessuno avrebbe potuto compiere il miracolo di vincere la competizione. Per un sacco di motivi la nostra produzione tecnologica non poteva passare i confini nazionali. Quale altro mercato poteva esistere per l'Olivetti se non la pubblica amministrazione? Vi viene in mente qualcosa chesso' il manifatturiero o la moda?
Gli errori sono stati tanti. Non sto a elencare quelli commessi dai miei "colleghi". Ingegneri e tecnici con le contropalle alle prese con qualcosa più grande di loro che correva a velocità tripla. Temo che il più grande errore di De Benedetti sia stato volere continuare a giocare una partita che non poteva essere vinta. Gli errori finanziari sono secondari.
L'Olivetti non è morta. Vive nei tecnici che si sono formati dentro quella grande esperienza umana e industriale. Vive in miriadi di micro società che fanno information technology o semplicemente fabbricano idee. Qualcuno che sa progettare schede o scrivere programmi c'è ancora. Un olivettiano (inteso come un ex-dipendente olivetti) è sempre guardato con rispetto. E' come un john rambo che ha perso il vietnam per colpa di qualche politicante stronzo che non capisce un cazzo. E chi sa cosa è stata quella guerra si toglie il cappello.
Per contro l'italia (ossia tutti noi) ha ammazzato università ricerca e motivazioni di una o due generazioni di persone brillanti condannandoli a una mediocrissima carriera dentro un microscopico mercato dove contano più le relazioni che i meriti.
Ma quella generazione di senza fica ha fatto quel che ha potuto. Anzi di più. De Benedetti non c'entra quasi un cazzo.
Tutto questo i miei 2 cents.
disclaimer: storia romanzata per come me la ricordo... senza pretese di ricostruzione storica o di verità assoluta
Mio padre aveva nel suo ufficio una macchina Olivetti. Era una calcolatrice meccanica. Faceva le somme con un rumore bellissimo tra-tra-trac. Una moltiplicazione impiegava molto di più e faceva tra-tra-tra-tra-tra-tra-tra-trac. Era stupenda
e, come ho già avuto modo di dire, qui:
Ma quella generazione di senza fica ha fatto quel che ha potuto. Anzi di più. De Benedetti non c'entra quasi un cazzo.
L'esatto opposto del mio concetto di bellezza.