Ragest ha scritto:Antonchik ha scritto:Ragest ha scritto:Antonchik ha scritto:
Per questo ti riconsiglio la rilettura de "Il Libro di Giobbe", facendo particolare attenzione alla pacata ribellione retorica, non armata, pacifista (ahitè!) dell'uomo, già disceso grazie all'intervento di Satana che recita la parte del demiurgo indiretto, verso il collerico dio del Vecchio Testamento.
La conclusione distrugge tutto: la redenzione della situazione attraverso un intervento superiore nella forma e nella conoscenza che gratifica il valoroso di quei beni o affetti, che da valoroso, ha dovuto ripudiare, suo malgrado e con sopportazione saggia dell'inevitabile. Non ci siamo, secondo me. Ne nasce una falsa morale, del resto in linea con tutta l'etica proto-cristiana, per cui vi è sempre salvezza nella fede; vi è sempre miglioramento umano prima di tutto nella sofferenza; c'è valore nella negazione del pensiero proprio che, umanamente, è debole anzi debolissimo. Accettare e sottomettersi è sintomo di immenso valore; purchè ciò sia fatto in nome di un criterio di riscatto eterno dell'anima, che si specchia in una fede dogmatica. Giobbe doveva morire. Da valoroso doveva negarsi la vita con tutto ciò che aveva già perso.
Un valoroso, non può semplicemente non essere e da queste infinite negazioni logiche, derivare il suo stato immanente nella realtà, nella vita, nel senso del suo destino, di esistere in maniera superiore o differente da lresto. Deve essere in un modo suo, accettiamo questa particolarità indivuduale, ma essere. Chi vuole emergere o semplicemente distinguersi dal "non", non è mai stato e mai sarà. Non avrà mai il passo danzate e l'occhio ridente, di chi invece si è abbastanza sporcato nella vita. Per questo combatterò sempre ogni valoroso, come qui inteso.. Non c'è valore ad essere valorosi.
La seconda parte del tuo post rappresenta un'ideale ("combatterò sempre ogni valoroso"), e quindi una mezza verità, che come sappiamo, sta nel mezzo.
Per quanto riguarda la prima, che Giobbe doveva morire, lo dici tu.
Io direi che Giobbe, comportandosi come avversario sconfitto, vince su tutta la linea. Alimentando tralaltro il seme del sospetto presente in Yavhè. Il sospetto che l'uomo avesse una marcia in più, il sospetto instillato proprio dal Dubbio (Satana), e che ha scatenato tutto.
Non è una mezza verità è il mio modo di essere, assolutamente valido, per me, e imponibile a tutti come lo è il credo del valoroso, che proprio per il semplice fatto di non essere si vuole affermare in ogni consesso: umano-relazionale, civile, economico. Due facce di una stessa medaglia sfregiata, ma che risplendono alla luce del gioco delle vite. Tutte e due imponibili in un polemos che non deve avere fine, solo divenire.
Permettimi di risponderti nuovamente.
Un modo di essere, non è imponibile, perchè è essenzialmente unico ed univoco. Il problema è che un modo di essere lega inevitabilmente a mezze verità, dato che la Verità perfetta delle cose si presenta soltanto in assenza dell'individuo, quando i limiti (il corpo, o la mente, ad esempio) che lo caratterizzano come unicità vengono a mancare.
Un credo, un ideale, invece, a sua volta è distante dalla verità in sè perchè presuppone delle rinunce, dei compromessi, riguardo all'unicità individuale ma crea un altro set di limiti (la bandiera, o la razza, ad esempio) in favore di un sistema di valori che raduni un collettivo. Nel caso delle tavole di Mosè ad esempio assistiamo alla nascita di un patriarcato (sempre strettamente associato ai credo) che supera il paganesimo e si riunisce sotto l'unico Cielo di Yavhè (con la proeizione dell'ombra su Satana).
Tralaltro non credo che il valoroso sia nell'ambito del non essere. Il valoroso esiste, e proprio per questo è in potenza di agire. Ma non agisce determinate emozioni; nel caso suddetto perchè Yavhè è collerico e vendicativo. L'umanità sceglie chiaramente: sgusciata via dall'uroboro dei culti matriarcali, si affida all'uroboro paterno, abbandonandosi, come valoroso, alla cosiddetta "sindrome di Isacco".
Ragest ha scritto:Giobbe doveva morire perchè non ha mai combattuto sul piano della comprensione della sua situazione e si è arreso al gioco di altri (non è stato dunque valoroso nell'azione volontaria e propositiva), che lo usano come utile strumento per verificare tesi e postulati che vanno oltre l'intellegibilità umana (non è valoroso nemmeno per scherzo della ragione, cioè per la scelta degli dei, ovvero per quello che più tardi chiameranno religione). Queste tesi sono sempre valide, senza contraddizione o mezze misure. Gli esseri supremi hanno tutto dalla loro parte: l'assolutezza di un ragionamento eternamente corrispondente al vero, anche quando negano la semplicità della vita a chi, per sua natura come l'uomo, nasce nudo e infelice. Che lo facciano da un dolore provocato dal dubbio, poco importa. hanno la ragione di verificare la tenuta della fede di chi non può mai difendersi e, nonostante ciò, accetta la sofferenza con spirito di sacrificio. Sacrificio a cosa, pero: Povero uomo che sopporti la tua esistenza ridotta a niente nelle cose più strategiche, per il semplice fatto che non comprendi. Negandosi la vita, avrebbe riaffermato la totale indipendenza dalla volontà di superiori che ama (Dio) e che ripudia (Satana). Avrebbe mostrato, che il dubbio degli dei era perfettamente in linea con la loro mediocre invidia umana. Tanto valoroso da "non essere mai rancoroso verso la sorte avversa" che poi, alla fine, non completa il suo "non" con la negazione stessa della vita? Per il rispetto del dono divino? E poi il "mito mostra che..." tanta sottomissione porta alla redenzione di ciò di cui è stato privato, con quantità superiori e qualitativamente apprezzabili. Inaccettabile siffatta conclusione. Non c'è valore e Giobbe non è un valoroso.
Non sono piccino, sono un uomo e dispongo dell'esistere come meglio credo. Mi salvo e paro il culo, togliendomi la vita: perchè a voi, dei iperuranici, rimanga la mediocrità del dubbio della mia superiorità, ovvero la concreta certezza della mia reale superiorità.
Qui non sono per nulla d'accordo.
Il presupposto errato che macchia la tua analisi, pregiata dal punto di vista della capacità argomentativa, è il discorso sull'omniscienza.
Yavhè non agisce a partire dall'omniscienza, perchè è semplicemente incosciente, e quindi nella sua brama di lodi sperticate non ha bisogno di essere previdente. Difatti si comporta proprio come un incosciente!
Andrei piano col definire l'azione di Satana coperta dall'omniscienza, visto che egli stesso è l'ombra (derivata dal dubbio) di Yavhè. Se lo consideriamo da un punto di vista narrativo, e cioè come un personaggio dotato di individualità, egli parte da una posizione di omniscienza, ma potrebbe essere anche il risultato di una semplice attività logica (e tutti sanno che la logica l'ha inventata lui) al servizio di una grande lungimiranza, perchè
sa che per battere Yavhè e vincere la scommessa, deve porre l'uomo in una situazione in cui sia costretto al salto di coscienza (qui Satana fa il bravo figlio). E quale miglior metodo del dolore come allenamento per la coscienza?
Uccidendosi, avrebbe violato un comandamento, consegnandosi nelle mani del collerico dio, dandogli la soddisfazione che cercava e rassicurandolo (sono io il più forte). Avrebbe vinto il dio veterotestamentale su tutta la linea, anche perchè, svanito il dubbio, anche Satana avrebbe perso.
Ammettendo la sua inferiorità Giobbe eleva la sua coscienza al di sopra di quella di Yavhè.
E lascia tralaltro a quest'ultimo un desiderio (prima invidia), spinto giù negli antri più bui del suo essere, di farsi uomo.
Guarda attentamente, poichè ciò che stai per vedere non è più ciò che hai appena visto.
Ho vissuto per molto tempo nell'oscurità perché mi accontentavo di suonare quello che ci si aspettava da me, senza cercare di aggiungerci qualcosa di mio.