Tutto ebbe inizio nel 1968, il famoso “Maggio francese”. E ancora prima c’era stato il movimento hippie, dall’America. Per me, un ragazzino, rappresentavano la ribellione contro il mondo degli adulti. I capelli lunghi contro il sistema. Io ero un compagno, anche se non avevo letto il Capitale e ancora avevo tre peli sul volto,che io con orgoglio chiamavo barba. Crescendo mi sono trovato nelle piazze, la polizia schierata per non fare avanzare il corteo. Non stavo in prima fila, avevo paura, anche se qualche sampietrino l’ho lanciato. Eravamo “comunisti”, volevamo giustizia sociale. Eravamo al fianco degli operai in lotta e/o sciopero.
Quanto questo fosse importante per gli operai stessi non so dire. Eravamo anche studenti viziati e poi eravamo giovani e quando si è giovani si è anche un po’ stupidi, nell’accezione che della parola fa Carmelo Bene, che presto diventò il mio idolo, il mio punto di riferimento intellettuale. Mi muovevo tra Mick Jagger e Carmelo Bene e il cinema d’autore. I tempi intanto erano cambiati, si erano fatti anni pesanti. Le stragi di Stato, le Brigate Rosse, il rapimento e poi il delitto Moro, con cui si sancisce la fine di un` epoca e il fallimento del sogno rivoluzionario di una generazione. Io in seguito cercai di affrontare quel tema, sia detto con tutta la modestia di un regista hard e il rispetto per le vittime di quegli anni pesanti appunto come il piombo.
Successivamente si affaccia, se non erro, al mondo della pubblicità da regista e fondatore di diverse agenzie specializzate. Perché la scelta di questa forma di espressione, che cosa la convinse ad investire intellettualmente ed economicamente in questo settore?
Cinema e teatro erano le mie passioni. Le coltivavo. A teatro ho fatto seminari e addirittura l’attore, poche battute, in uno spettacolo con la regia di Luca Ronconi, sempre all’interno di un laboratorio al quale mi ero iscritto. Ho partecipato a uno spettacolo di Ugo Chiti, oggi notissimo sceneggiatore. Avevo 18 anni o giù di lì. Con due amici attori aprimmo anche uno spazio teatrale, presentammo un nostro spettacolo, ospitammo concerti tra cui quello di un Franco Battiato sperimentatore estremo (parliamo dei tempi di ‘Pollution’) Non ero però talentuoso come attore e piano piano lasciai perdere il teatro (che non si accorse di nulla, ma proprio di nulla). Al mondo della pubblicità mi affacciai sempre in quegli anni. Il primo contatto è stato un casting fotografico per la pubblicità Piaggio, a cui partecipai in qualità di modello. Da lì il contatto con il fotografo per il quale lavorai come secondo assistente e tuttofare.
In seguito lavorai come segretario di produzione per una casa cinematografica specializzata in spot pubblicitari, sino ad aprire una mia casa di produzione. Erano gli anni in cui nasceva l’impero televisivo di Berlusconi. I buoni contatti con l’agenzia Publitalia a Firenze mi portarono a incrementare il lavoro. La mia discreta creatività e un certo atteggiamento imprenditoriale mi portarono a diventare una delle agenzie pubblicitarie di riferimento per il settore del giocattolo. Erano anni in cui si viveva un boom nel settore pubblicitario, grazie alla fine del monopolio Rai. Per questo, e credo solo per questo, devo dire grazie a Silvio Berlusconi, con il quale ho partecipato ad alcune cene organizzate da Publitalia per noi pubblicitari. A Silvio Berlusconi devono ahimè dire grazie tutti gli italiani, perché abbattere il monopolio Rai aprì spazi di democrazia e di lavoro, con prevalente occupazione giovanile. Questo lo scenario nel quale mi muovevo.
Stando poi ad una nota biografica trovata in Internet, il suo avvicinamento all’intrattenimento per adulti avviene all’alba degli anni 90 mediante la fondazione della casa editrice Ediservice, attraverso ‘pubblicazioni con videocassetta allegata’…se questa affermazione è corretta, le chiedo: quale fu la spinta per approcciare a questa nuova sfida editoriale, e queste ipotetiche vhs di cui parliamo contenevano filmati girati da lei o altro materiale?
La casa editrice Ediservice era già aperta e da qualche anno pubblicavo, distribuzione edicole, riviste per bambini con giocattolo allegato, con grande soddisfazione di vendite. Ma tutte le cose hanno una fine… entrarono prepotentemente sul mercato i grandi editori con prezzi che non potevo tenere e, neanche troppo lentamente, le vendite calarono verticalmente. Ricordo che mi chiamò il mio distributore ( MEPE-Milano) e mi disse. “Silvio qui con i giocattoli non c’è più margine, le rese sono troppe, mentre c’è un mercato sempre più interessante e in crescita: quello dei vhs porno…” Di lì a poco a Milano ci sarebbe stato il Mifed, fiera-mercato del cinema, cui partecipavano anche le case di produzione del porno. Io di cinema porno ne sapevo poco o nulla, era un genere che non avevo mai frequentato, seguivo però mediaticamente il genio di Riccardo Schicchi e le sue “creature” Cicciolina e Moana Pozzi. Andai al Mifed senza conoscere nessuno, deciso ad acquistare diritti per l’editoria di film porno. Andando per stand, prevalentemente dedicati ai film mainstream, ecco che vedo, poco lontano, un cartonato ad altezza uomo che raffigurava Cicciolina e Moana vestite in abiti da calcio. Entro, mi presento e li scatta con i produttori un feeling autentico, un senso dell’humor che ci accomuna… ma iI lavoro è lavoro, non sono il solo ovviamente a chiedere tali diritti, c’è una piccola fila che, bontà dei produttori, scavalco, pago qualcosa più del giusto, ma ho in tasca i diritti editoriali di ‘Cicciolina e Moana ai mondiali’ e dei film che seguiranno all’interno della collaborazione con Riccardo Schicchi e i suoi artisti. Riccardo lo ricordo con grande affetto. Un comunicatore con una marcia in più. Un gran cervello, senso dell’ironia, umile e modesto. Libero.

Il suo esordio nel cinema hard avviene, tentando una ricostruzione temporale spero corretta, con il film ‘Masquerade’, anno 1991. Qui abbiamo subito un’accortezza particolare, in quanto so che la pellicola fu girata sia in versione hard che soft…come nacque questa idea?
‘Masquerade’ è stato in assoluto il mio primo film, girato in 35mm, in cui ho utilizzato la troupe con cui giravo la pubblicità. Si girava con pellicola scaduta da poco, risparmiando non poco. Con l’arte del laboratorio di sviluppo e stampa, una volta stampata non c’era nessun problema. Noi rappresentavamo quello che poteva essere definito il ‘cinema di serie c’, eravamo quelli delle doppie versioni hard e soft. Non fu una nostra idea, ma un mercato che già esisteva.
Lei fu sia regista che produttore del film. Che ricordo conserva di ‘Masquerade’ che ebbe, se non erro, un importante risposta di pubblico anche oltreoceano nella sua versione soft intitolata in italiano ‘Bassi istinti’?
Avevo poco tempo per girare “Masquerade”, il film aveva un budget alto se fosse stato considerato un semplice hard, ma molto risicato per una discreta versione soft. Avevo scritto, insieme ad Ernesto de Pascale, una sceneggiatura ambiziosa, un thriller, forse un pò macchinoso, ma che stava bene in piedi. Ero anche piuttosto nervoso; era il mio primo lungometraggio, non potevo sputtanarmi soprattutto di fronte alla fiducia datami dai miei soci co-produttori (quello dl Mifed fu un incontro determinante, davvero determinante della mia vita). Una parte del casting la facemmo in America. Scegliemmo la protagonista Nelly Marie Vickers, una delle attrici più ambite negli USA, il mitico Joey Silvera e, in un ruolo non protagonista, ma centrale per la storia, il noto regista hard Fred J. Lincoln. Decisi di rischiare e di girare avendo ben preciso il montaggio senza ripetere ulteriormente l’intera scena, avrei così guadagnato tempo prezioso… Il regista americano, da me diretto nel suo ruolo di attore, diceva sempre ai miei soci “non lo monterà mai, mai”. Se dio vuole fu smentito. Il film venne bene, piacque ai mercati e, soprattutto, sembrava fosse costato assai di più del budget reale a disposizione. In America, e fu un’autentica sorpresa, gli venne assegnato il “rated” ossia una sorta di visto che lo annoverava tra i film ufficialmente editati ed ebbe un buon successo sia nelle reti televisive che nell’home video. In Italia addirittura riuscimmo a vendere i diritti sala, prendemmo il visto censura e il film uscì in pieno estate, in pochi cinema, per pochi giorni. Dalla serie C ero passato, per un attimo, alla serie B. Il distributore gli dette il titolo “Bassi Istinti” facendo il verso al celeberrimo ‘Basic Instinct’ con Sharon Stone. ‘Bassi Istinti’ fu il più basso incasso di quell’anno cinematografico e questo ne fa un film “indimenticabile”. Sono sinceramente orgoglioso di essere ricordato come il minore incasso (e di essere quindi presente quando si parla di statistiche, box office e curiosità cinematografiche del 2001, ma avrei sfidato un pò di gente, con gli stessi soldi e gli stessi giorni a disposizione, a girare un film della qualità di ‘Masquerade’. Lì sono stato bravo. Certo se non fossi il regista, ma solo un povero spettatore che ama i film belli, finito in pieno agosto in una sala dove si proietta “Bassi Istinti”, beh non credo sarei riuscito a vederlo sino alla fine.
Si trova subito ad avere a che fare con nomi importanti del panorama hard, tra cui Eva Orlowsky e Rocco Siffredi per il film di cui abbiamo parlato…un pensiero per questi attori, come fu lavorare con loro?
Eva una cara ragazza, persona semplice e diretta. Ricordo con simpatia anche Titti, il marito, fotografo e complice. Rocco lo ricordo giovane, energico, intelligente. Un bel ragazzo con un cazzo straordinario usato da una testa che ben funziona e che negli anni lo ha ampiamente dimostrato creando uno stile inconfondibile, Rocco è famoso nel mondo, un grande!
Poi c’è Maurizia Paradiso, che lei dirige in due film, ‘Il segreto di Maurizia’ e ‘Octopussy connection’. A vedere i film, la personalità di Maurizia appare in tutta la sua esplosività: fu difficile dirigerla sul set? Ci fu bisogno di ‘disciplinarla’ ai tempi cinematografici?
Il Periodo Maurizia me lo ricordo bene, anche in qualità di co-produttore. Maurizia da personaggio televisivo outsider declinava anche sul porno. Personaggio intelligente, narcisista come è giusto che sia, tutto sommato disciplinata tranne forse qualche rara scena madre, ma potrei sbagliarmi. Era comunque simpatica, personaggio autentico. Con Maurizia puntavamo a alti incassi nell’ambito del circuito delle sale cinematografiche porno. Il film, da girarsi in 35mm, doveva essere un ottimo film, cinema per quel che si poteva. Ero attento e molto preso dal set, anzi dai set, poichè quando si gira un film diciamo importante, se ne gira contemporaneamente un altro più contenuto soprattutto nella parte” trama”. Con Maurizia ho avuto un buon rapporto, tranquillo, molto professionale. Il film andò benissimo e funzionò anche il titolo che era senza evidenti richiami sessuali: “Il segreto di Maurizia” facendo riferimento al fatto che avesse o meno il pene.,.

Quand’è che Silvio Bandinelli ’sente’ di doversi dedicare al 100% al cinema hard, abbandonando definitivamente la pubblicità? Intendo dire, è una decisione presa ‘da subito’ con i primi film oppure lungamente ponderata?
E’ stata una decisione che è maturata anche in seguito ad eventi, diciamo privati, alle cose che accadono nelle vita delle persone; inoltre mi divertivo di più a girare e produrre film “porno con la trama”, mi sentivo meglio e credevo, anche imprenditorialmente, a quello che facevo. Della pubblicità e dei suoi meccanismi mi ero un po’ stancato, avevo già dato e ci sarebbe stato bisogno di un impegno maggiore e totalizzante per la mia agenzia. E porno fu.
Quali potenzialità del linguaggio ‘porno-cinematografico’ l’hanno convinta a puntare su questa attività?
A me interessava comunque la coniugazione del mio lavoro di produttore e regista con un mercato attivo, che conservava buone potenzialità economiche. Inoltre mi piaceva l’idea di fare film porno anche moderatamente colti, di alzare l’asticella della parte “cinema”, di toccare generi e temi inattesi per un film porno. Il porno è libero, giri, produci e distribuisci. Non hai burocrazia, non hai costosi iter da seguire, sei come fossi nel cinema underground. Anche l’ambiente professionale mi piaceva, scoprivo un nuovo mondo, nuovi colleghi, nuove problematiche. La cosa mi divertiva, mi piaceva
La metà degli anni 90 è, a mio avviso, un periodo significativo per lei, caratterizzato dalla fondazione della Showtime, la sua casa di produzione e distribuzione. Approfitto della sua presenza per fare chiarezza, almeno potremo correggere tutte le date errate che si leggono qua e là…in che anno, per la precisione, fu creata la Showtime e quali furono i suoi primi, significativi successi in termini di qualità e commerciali?
Il 1995 mi vede in America dove giro, sempre in 35mm ‘Sex Model’, con Tiffany Million. Frequento maggiormente l’ambiente distributivo sino a che incontro Monica Timperi. L’incontro avviene a casa di Marzio Tangeri, l’ideologo, il re del film amatoriale. Ipotizziamo di fare una società in tre, poi Marzio si tira fuori, con affetto e ancora lo ringrazio. Con Monica siamo in sintonia su molte cose, nasce così la Showtime, società di distribuzione home video, io e Monica soci con ruoli ben distinti. A lei la responsabilità più grossa, quella commerciale. Il primo successo si accompagna ad un grande successo anche sotto il profilo produttivo, ‘Cuore di pietra’ con Selen, venduto in molti paesi europei ed extra europei ad un prezzo che teneva ben conto della qualità importante del film. ‘Cuore di pietra’ è un film che è piaciuto molto al consumatore, forse anche al pornista tout court. Ne abbiamo davvero venduti molti, tante richieste. A me è un film che piace, furbo certo, ma ben fatto e ben scritto. Avevo visto un po’ di Salieri con Selen e certo il film sente l’influenza di Mario Salieri, artista della messa in scena pornografica.

In diverse fonti, negli anni, si è letto che la Showtime fosse la sua ‘Factory’…cosa pensa di questa definizione e, più in generale, qual era il suo modo di lavorare in questa sua nuova creatura cinematografica?
Il concetto e la definizione di Factory è avvenuta successivamente alla apertura della Showtime. Ha cominciato a maturare con l’esigenza di collaborazione ed anche di supporto per nuovi registi. Con la Factory è nato Matteo Swaitz, è stato prodotto e distribuito il primo film da regista di Franco Trentalance. Factory è con Swaitz nelle incursioni nel mondo del rap che spesso è amico dell’estetica pornografica, che hanno portato all’ideazione e realizzazione dell’ormai cult “Mucchio Selvaggio” con i Club Dogo. Anche Andy Casanova rientrava nella Factory.

Nel 1995 dirige dunque Selen in un film molto interessante, ‘Rosso e Nero’. L’hard incontra il thriller, con quella che era all’epoca la punta di diamante del porno italiano: come giudica oggi questo lavoro?
Mi sembra comunque sia stato un tentativo di equilibrio tra il racconto e l’inevitabile scena hard; a volte poteva sembrare la versione hard di un film soft. Mi piace quel film e quando lo vedo ancora mi stupisco della sceneggiatura, è fatta bene nella sua semplicità tranne per il finale un po’ precipitoso, ma è il prezzo che si paga. Racconto un aneddoto, fatto realmente accaduto, relativo al film. Mi trovo all’aereoporto di Ibiza, in attesa di poter accedere all’aereo. Sono con Monica Timperi, mia compagna di lavoro prima e di vita durante, parliamo non ricordo di cosa e nella pausa della nostra conversazione interviene un ragazzo sui trent’anni, chiede scusa e domanda se sono Silvio Bandinelli. Glielo confermo e lui mi dice che desidera farmi sapere che sui banchi dell’aula alla Università Sapienza, prima che lui discutesse la tesi, ha inciso la frase simbolo del film ”La verità sta nella sfumatura che dal rosso porta al nero”. Naturalmente ne sono rimasto soddisfatto, l’ho ringraziato e affettuosamente invitato a farsi vedere da uno specialista. Un tipo molto simpatico, lo saluto.

Essendo lei sceneggiatore dei suoi film oltre che regista, mi dica: quali sono le difficoltà nel far convivere la necessità di scene hard con la volontà di presentare una trama, un racconto?
Si paga un prezzo alto dal punto di vista dello sceneggiatore. Prima le dicevo del finale precipitoso di ‘Rosso e Nero’. I tempi di arrivo della scena porno sono comunque implacabili e la storia, paradossalmente, è un coito interrotto. Siamo noi, la storia, il corpo estraneo, abbiamo noi il documento contraffatto. Il porno è lì, nella sua eternità, fotogramma che si ripete. Si può intervenire sul ritmo della storia, rendere le scene hard il più possibile consequenziali alla storia stessa, ma sono tecniche palliative.
continua