Dilemma a destra
Fermare Feltri?
di Fabrizio d'Esposito
La «solidarietà pelosa» del Foglio, il senso del limite e le paure del premier sulle intercettazioni. Il Giornale e la catena di comando dei dossieraggi. E il Sole non dà risalto alla notizia.
Il cazzeggio s’ingrossa. Oggi il Giornale di Vittorio Feltri dovrebbe davvero pubblicare quattro pagine di fuoco contro Emma Marcegaglia e a quel punto prenderà ancora più consistenza la domanda circolata ieri nei salotti buoni a cavallo tra politica e finanza. E cioè: «Fino a dove arriverà Feltri?». Nell’inner circle di Palazzo Grazioli il quesito riassume una lotta interna che va avanti da mesi: la contrapposizione, come dicono i finiani, «tra la tendenza Letta e la tendenza Santanché».
Colombe e falchi. Da un lato l’arte della mediazione sempre e comunque. Dall’altro l’attacco frontale coi giornali amici, inaugurato col cosiddetto «trattamento Boffo» (che fece saltare la pace post-sexgate tra il premier e il cardinale segretario di Stato vaticano) e consolidato con la campagna di Montecarlo e Santa Lucia contro il presidente della Camera.
E così ieri, per alcuni attori della partita in corso, ha rappresentato un punto di svolta importante l’editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio: una «solidarietà pelosa a Feltri, Sallusti e Porro» figlia di un ragionamento sul senso del limite: «Non facciamo la morale a nessuno. Ma il senso del limite comincia seriamente a diventare un problema. Feltri è un grande giornalista e un grandissimo semplificatore. Quando dice che l’editore gli ha chiesto di ridurre il deficit del Giornale, si sente la malizia di una provocazione pura. Eccitare le tifoserie della destra proponendo ai lettori una sequela di rappresaglie personali, a partire dal “trattamento Boffo”, non è esattamente una politica di bilancio». Soluzione: «Lascerei al pistarolo di sinistra, e ai paranoici che odiano fino alla violenza il giornalismo della destra, il privilegio di uno stile indecentemente brutale e dell’attacco selvaggio alle persone». Indecente, brutale, selvaggio. Aggettivi che Ferrara riserva ai quotidiani d’assalto, non solo il Giornale, vicini al premier. E non è un mistero per nessuno che proprio Ferrara, artefice sul Foglio di una contro-campagna per la tregua tra Berlusconi e Fini, condotta anche contro l’evidenza dei fatti, venga indicato come uno dei possibili successori di Feltri al Giornale, qualora il premier si decidesse a dare lo scalpo del diretùr bergamasco al capo di Futuro e Libertà.
In ogni caso che qualcosa d’improvviso e clamoroso possa succedere nella galassia editoriale del Pdl è sensazione di molti. Del resto anche il cambio della guardia Giordano-Feltri fu repentino, non previsto. Qui però la questione incrocia un tema ancora più delicato e scivoloso, se non cruciale. Ieri, Repubblica ha raccolto lo sfogo che Berlusconi avrebbe affidato ad alcuni fedelissimi: «Quei pm vogliono arrivare a me». In pratica, l’affaire Marcegaglia sarebbe il pretesto per portare alla luce, con brani di intercettazioni talvolta imbarazzanti, come sospettano vari parlamentari di centrodestra, la catena di comando dei dossieraggi: dalla coppia Feltri-Sallusti alla sottosegretaria di Stato Daniela Santanché fino al premier Silvio Berlusconi. Proprio ieri l’Espresso ha dedicato un lungo servizio alla sottosegretaria di Stato, definita «la colonnella». E ancora: «Regista dell’attacco a Fini, Santanché è la donna più potente del Pdl. E Silvio ne vuole fare la Sarah Palin italiana».
Ecco, in uno scenario del genere, avvalorato dalla discesa in campo di un pm dalla fama di John Henry Woodcock, sarebbe difficile per il Cavaliere dare spazio alle colombe. La guerra diventerebbe più cruenta e «un’informazione militare sarebbe garantita meglio da Feltri che da Ferrara». Ragionamenti, per il momento. Ma che devono fare comunque i conti con l’escalation delle ultime settimane. Una sequenza notevole: la lettera di Santa Lucia su Tulliani e la casa di Montecarlo e il ruolo del faccendiere socialista Valter Lavitola; il misterioso attentato a Maurizio Belpietro, direttore di Libero; l’esplosione dell’inchiesta di Napoli sulla violenza privata alla presidente di Confindustria. Che cosa verrà dopo?
Ieri, peraltro, parecchi quotidiani generalisti, in teoria neutrali, hanno evitato di commentare l’affaire Marcegaglia. Nessuna difesa di Feltri, innanzitutto. E un solo editoriale sulla «democrazia malata» in prima pagina sulla Stampa di Mario Calabresi, quotidiano della Fiat. Addirittura, il Sole 24 Ore, giornale della Confindustria, ha relegato all’interno i servizi sulla notizia. In prima solo un asettico richiamo in alto. Questione di prudenza forse, in attesa di leggere per intero le carte dell’inchiesta e le intercettazioni in particolare. Trascrizioni in cui il nome di Gianni Riotta, direttore del Sole, ricorre parecchie volte e non sempre in modo lusinghiero. Anzi, Riotta più che Marcegaglia sembra essere la vera ossessione del vicedirettore del Giornale Nicola Porro. Nel «cazzeggio» di Porro, Riotta viene definito «il peggior direttore» in circolazione. E il portavoce di Marcegaglia, l’ormai noto Arpisella, ribatte dicendo che la nomina di Riotta ha avuto il via di libera di Berlusconi e Letta. In realtà, la stessa Marcegaglia ha spiegato ai magistrati di Napoli che la nomina venne comunicata al governo per «garbo istituzionale», visto che il giornalista lavorava alla Rai.
Ambienti molto informati e autorevoli decrittano il «cazzeggio» di Porro, finalizzato a ottenere un’intervista con la Marcegaglia, che «il Giornale non se l’è mai filato», anche come un tentativo di fare relazioni pubbliche per ambizioni personali. Tradotto: un’autocandidatura di Porro alla guida del giornale confindustriale. Una storia nella storia.