[O.T.] Crisi economica

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bocha
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Re: [O.T.] Crisi economica

#1846 Messaggio da bocha »

comunque crisi o non crisi la gente ha fatto la coda per l'iphone 4g....

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Capitanvideo
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Re: [O.T.] Crisi economica

#1847 Messaggio da Capitanvideo »

Cina: frena industria, indice Pmi -49,4

E' sceso per la prima volta in 16 mesi sotto i 50 punti

(ANSA) - ROMA, 2 AGO - In calo in Cina il settore manifatturiero segnando i minimi di oltre un anno. L'indice dei direttori acquisti Pmi e' sceso a luglio a 49,4.

In giugno il Pmi, calcolato da Markit Economics, era 50,4.

L'indice e' cosi' sceso per la prima volta in 16 mesi sotto i 50 punti, soglia che separa l'espansione dalla contrazione.
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Helmut
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Re: [O.T.] Crisi economica

#1848 Messaggio da Helmut »

http://it.finance.yahoo.com/notizie/fmi ... 7.html?x=0

Finchè il Pil mondiale continua ad avere segno +, grandi catastrofi, grandi sommovimenti, grandi rivoluzioni (come si augura qualcuno) non ci saranno. :o

Ricordo che, dalla nascita dall'economia di mercato in poi (quasi 300 anni) l'economia mondiale ha avuto il segno - solo nel 1930, 1931, 1932.
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Capitanvideo
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Re: [O.T.] Crisi economica

#1849 Messaggio da Capitanvideo »

Helmut ha scritto: Finchè il Pil mondiale continua ad avere segno +, grandi catastrofi, grandi sommovimenti, grandi rivoluzioni (come si augura qualcuno) non ci saranno. :o
L'UNIONE DEI BANCAROTTIERI!

Lo stato è un’organizzazione che dispone del potere di decisione ultima e del monopolio della coercizione entro un dato territorio. Grazie a queste prerogative, esso può decidere unilateralmente l’ammontare delle risorse di cui abbisogna e imporne il pagamento ai propri cittadini, senza dover entrare in relazioni contrattuali con loro, mediante la tassazione. Partendo dal presupposto che i governanti siano guidati nelle loro azioni da motivazioni prevalentemente egoistiche, essi tenderanno a massimizzare le proprie entrate. Se non limitati in qualche modo, bisogna aspettarsi una crescente tendenza allo sfruttamento fiscale delle classi produttive e all’espansione dello stato, sia all’interno che verso l’esterno. Stando così le cose, sembrerebbe ben difficile che un governo rinunci volontariamente a tutta o parte della propria sovranità, cedendola a un governo concorrente o entrando in un’unione sovrannazionale di stati.

In realtà storicamente il fenomeno non è per nulla raro, e spesso la ragione principale è stata la necessità di evitare un collasso economico o un fallimento finanziario. Vi sono fondati motivi di pensare che anche l’attuale processo di unificazione europea risponda a questa logica. La concentrazione del potere politico in un superstato di dimensioni continentali rappresenterebbe il tentativo delle socialdemocrazie europee, rovinate finanziariamente da decennali pratiche fondate su tasse e spese pubbliche elevatissime, indebitamento fuori controllo, e regolamentazioni pervasive, di continuare a mantenere lo status quo evitando temporaneamente il fragoroso fallimento dello stato.

Infatti non è vero, come si dice generalmente, che “lo stato non può fallire”. O meglio, questa affermazione è corretta solo nel senso che, a differenza delle imprese private, i governanti possono estorcere con la forza ai propri sfortunati sudditi tutte le risorse di cui necessitano per mantenere le proprie clientele, i propri privilegi e i propri sprechi. Tuttavia questa attività di saccheggio può incontrare numerosi ostacoli, primo fra tutti la resistenza attiva delle vittime, e non sempre riesce a svolgersi linearmente come le classi politiche vorrebbero.

Per aggirare questi spiacevoli inconvenienti, esse possono allora ricorrere alla più comoda alternativa dell’inflazione. Una volta dichiaratisi monopolisti legali nell’emissione monetaria, i governanti, come i peggiori falsari, possono impossessarsi dei beni dei propri sudditi in maniera subdola, riducendogli il potere d’acquisto attraverso la stampa di cartamoneta. Così, se un governante ha bisogno di 1000 miliardi per accontentare un gruppo di propri sostenitori, invece di ottenerli attraverso la via impopolare della tassazione può semplicemente stamparli, e - detta molto sommariamente - tutti i possessori di cartamoneta senza neanche accorgersene vedono calare di circa 1000 miliardi il proprio potere d’acquisto.

Una terza possibilità per i governi di mantenere o accrescere le proprie spese evitando la bancarotta è quella di ricorrere al debito pubblico. Tuttavia, poichè prima o poi i creditori chiederanno il pagamento, il governo è costretto a cercare risorse attraverso la tassazione o l’inflazione, rientrando così nei due casi precedenti. Se invece decidesse di non onorare il debito rischierebbe seriamente di non riceverebbe più alcun prestito in futuro.

Per queste ragioni, un governo non può continuare a spendere e a far debiti all’infinito senza fallire mai. Infatti, come tutti i predatori e i parassiti, anche lo stato deve la propria esistenza ai produttori. Se lo stato esagera nella propria attività di sfruttamento uccide la gallina dalle uova d’oro, e vede così essiccare la fonte delle proprie entrate. La storia conosce un’infinità di esempi di regni o di imperi che sono crollati perchè la tassazione e le regolamentazioni eccessive avevano completamente annientato le classi produttive e distrutto l’economia. Un solo esempio: l’Impero romano che, ricco e potente durante l’epoca più “liberale” di Cesare Augusto, è andato in rovina quando, nel tardo principato e in epoca dioclezianea, iniziò ad assumere caratteri ultraburocratici e statalisti molto simili a quelli dell’Urss.

In condizioni di bancarotta, uno stato rischia non solo di essere rovesciato dall’interno da rivoluzioni popolari (come talvolta è avvenuto nei casi d’inflazione esplosiva, che rende impossibile la vita quotidiana agli abitanti), ma anche di perdere la propria sovranità nei confronti di Stati esterni, che lo invadono militarmente o lo inglobano nella propria sfera d’influenza. Come può allora lo stato in rovina economica evitare queste due spiacevoli situazioni? Non essendo più percorribili le tre strade interne delle tasse, dell’inflazione, o del debito, esso può cercare all’esterno le proprie fonti da sfruttare: può cioè tentare di ampliarsi territorialmente, dato che l’acquisto di territori comporta anche l’acquisto di un maggior numero di sudditi da tassare. Questa è la via della guerra, che però è molto costosa e rischiosa, e può avere come esito la completa e definitiva disfatta.

Al governo in bancarotta rimane a questo punto un’ultima possibilità: impedire la concorrenza dei paesi esteri, che rischiano di portargli via base imponibile, accordandosi in una qualche sorta di unificazione politica. Se riesce a convincere i paesi vicini ad uniformare le loro regole con le proprie, allora vi saranno meno possibilità che i contribuenti e i capitali emigrino altrove, e potrà continuare ad imporre loro pesanti imposte e regolamentazioni, forse ancor più che in precedenza.

In un illuminante saggio sulle conseguenze economiche delle unificazioni politiche, l’economista libertario tedesco Jörg Guido Hülsmann ha dimostrato che gli avvenimenti europei dell’ultimo decennio confermano questa analisi. La Germania Est, uno stato totalmente fallito non solo economicamente, ma anche ideologicamente, moralmente, e spiritualmente, non ha potuto fare altro che cedere la propria sovranità ad uno stato vicino più ricco, la Germania Ovest. La riunificazione territoriale che ne è conseguita, però, ha portato come previsto ad un colossale aumento dello statalismo in Germania, sotto forma di tasse e debito pubblico per sussidiare l’Est. La Germania Ovest, che dopo la fine della Seconda guerra mondiale aveva una delle economie più ricche e libere d’Europa, è diventato così un paese statalista come la Francia e l’Italia, con problemi molto simili a questi.

Poichè in Europa tre paesi (Italia, Belgio, e Grecia) sono in piena bancarotta a causa del debito pubblico, dato che non riusciranno mai a pagarlo, e molti altri sono in condizioni solo un po’ migliori (Austria, Portogallo, Spagna, Svezia, Irlanda), tutti costoro - spiega Hülsmann - non hanno altra possibilità per far sopravvivere il sistema welfarista se non quella di cartellizzarsi in una vera e propria “unione di bancarottieri”, e affidare a qualche Stato relativamente più forte la soluzione dei propri problemi. Così come i paesi del Terzo Mondo o del Sudamerica in rovina riescono a salvarsi solo cedendo la propria sovranità finanziaria a qualche paese più ricco (solitamente gli Stati Uniti) o a qualche organismo sovrannazionale come il Fondo Monetario, allo stesso modo le socialdemocrazie bancarottiere d’Europa non hanno altra via che quella di cedere la propria sovranità economica e monetaria ad una unione guidata dalla Germania, anch’essa però in cattivo stato.

In conclusione, gli Stati possono fallire, perchè oltre un certo limite non possono sfruttare indefinitamente la popolazione.

L’unificazione politica permette però di ritardare il disastro (il recente salvataggio della Grecia ne è l’esempio pratico, ndr) e di proseguire per qualche tempo con gli stessi metodi, ed è quello che stanno facendo i paesi della UE.

Alla fine però i nodi verranno al pettine anche per gli strafalliti sistemi assistenzialisti europei, i quali, se non si inverte decisamente la rotta, crolleranno miseramente proprio come il comunismo dieci anni fa.

Poiché i problemi che hanno determinato la rovina del socialismo reale sono gli stessi, con mere differenze di grado, che oggi attanagliano le socialdemocrazie stataliste d’Occidente, si può presumere che anche il collasso del superstato socialista europeo, dovuto all’insostenibilità del sistema, sia solo una questione di tempo.

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dostum
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Re: [O.T.] Crisi economica

#1850 Messaggio da dostum »

IMHO Cè solo paese a rischio catastrofe gli USA di Obbama.Spende e spande progetta nuove guerre invece di risparmiare.
Capitanvideo ha scritto:
Helmut ha scritto: Finchè il Pil mondiale continua ad avere segno +, grandi catastrofi, grandi sommovimenti, grandi rivoluzioni (come si augura qualcuno) non ci saranno. :o
L'UNIONE DEI BANCAROTTIERI!

Lo stato è un’organizzazione che dispone del potere di decisione ultima e del monopolio della coercizione entro un dato territorio. Grazie a queste prerogative, esso può decidere unilateralmente l’ammontare delle risorse di cui abbisogna e imporne il pagamento ai propri cittadini, senza dover entrare in relazioni contrattuali con loro, mediante la tassazione. Partendo dal presupposto che i governanti siano guidati nelle loro azioni da motivazioni prevalentemente egoistiche, essi tenderanno a massimizzare le proprie entrate. Se non limitati in qualche modo, bisogna aspettarsi una crescente tendenza allo sfruttamento fiscale delle classi produttive e all’espansione dello stato, sia all’interno che verso l’esterno. Stando così le cose, sembrerebbe ben difficile che un governo rinunci volontariamente a tutta o parte della propria sovranità, cedendola a un governo concorrente o entrando in un’unione sovrannazionale di stati.

In realtà storicamente il fenomeno non è per nulla raro, e spesso la ragione principale è stata la necessità di evitare un collasso economico o un fallimento finanziario. Vi sono fondati motivi di pensare che anche l’attuale processo di unificazione europea risponda a questa logica. La concentrazione del potere politico in un superstato di dimensioni continentali rappresenterebbe il tentativo delle socialdemocrazie europee, rovinate finanziariamente da decennali pratiche fondate su tasse e spese pubbliche elevatissime, indebitamento fuori controllo, e regolamentazioni pervasive, di continuare a mantenere lo status quo evitando temporaneamente il fragoroso fallimento dello stato.

Infatti non è vero, come si dice generalmente, che “lo stato non può fallire”. O meglio, questa affermazione è corretta solo nel senso che, a differenza delle imprese private, i governanti possono estorcere con la forza ai propri sfortunati sudditi tutte le risorse di cui necessitano per mantenere le proprie clientele, i propri privilegi e i propri sprechi. Tuttavia questa attività di saccheggio può incontrare numerosi ostacoli, primo fra tutti la resistenza attiva delle vittime, e non sempre riesce a svolgersi linearmente come le classi politiche vorrebbero.

Per aggirare questi spiacevoli inconvenienti, esse possono allora ricorrere alla più comoda alternativa dell’inflazione. Una volta dichiaratisi monopolisti legali nell’emissione monetaria, i governanti, come i peggiori falsari, possono impossessarsi dei beni dei propri sudditi in maniera subdola, riducendogli il potere d’acquisto attraverso la stampa di cartamoneta. Così, se un governante ha bisogno di 1000 miliardi per accontentare un gruppo di propri sostenitori, invece di ottenerli attraverso la via impopolare della tassazione può semplicemente stamparli, e - detta molto sommariamente - tutti i possessori di cartamoneta senza neanche accorgersene vedono calare di circa 1000 miliardi il proprio potere d’acquisto.

Una terza possibilità per i governi di mantenere o accrescere le proprie spese evitando la bancarotta è quella di ricorrere al debito pubblico. Tuttavia, poichè prima o poi i creditori chiederanno il pagamento, il governo è costretto a cercare risorse attraverso la tassazione o l’inflazione, rientrando così nei due casi precedenti. Se invece decidesse di non onorare il debito rischierebbe seriamente di non riceverebbe più alcun prestito in futuro.

Per queste ragioni, un governo non può continuare a spendere e a far debiti all’infinito senza fallire mai. Infatti, come tutti i predatori e i parassiti, anche lo stato deve la propria esistenza ai produttori. Se lo stato esagera nella propria attività di sfruttamento uccide la gallina dalle uova d’oro, e vede così essiccare la fonte delle proprie entrate. La storia conosce un’infinità di esempi di regni o di imperi che sono crollati perchè la tassazione e le regolamentazioni eccessive avevano completamente annientato le classi produttive e distrutto l’economia. Un solo esempio: l’Impero romano che, ricco e potente durante l’epoca più “liberale” di Cesare Augusto, è andato in rovina quando, nel tardo principato e in epoca dioclezianea, iniziò ad assumere caratteri ultraburocratici e statalisti molto simili a quelli dell’Urss.

In condizioni di bancarotta, uno stato rischia non solo di essere rovesciato dall’interno da rivoluzioni popolari (come talvolta è avvenuto nei casi d’inflazione esplosiva, che rende impossibile la vita quotidiana agli abitanti), ma anche di perdere la propria sovranità nei confronti di Stati esterni, che lo invadono militarmente o lo inglobano nella propria sfera d’influenza. Come può allora lo stato in rovina economica evitare queste due spiacevoli situazioni? Non essendo più percorribili le tre strade interne delle tasse, dell’inflazione, o del debito, esso può cercare all’esterno le proprie fonti da sfruttare: può cioè tentare di ampliarsi territorialmente, dato che l’acquisto di territori comporta anche l’acquisto di un maggior numero di sudditi da tassare. Questa è la via della guerra, che però è molto costosa e rischiosa, e può avere come esito la completa e definitiva disfatta.

Al governo in bancarotta rimane a questo punto un’ultima possibilità: impedire la concorrenza dei paesi esteri, che rischiano di portargli via base imponibile, accordandosi in una qualche sorta di unificazione politica. Se riesce a convincere i paesi vicini ad uniformare le loro regole con le proprie, allora vi saranno meno possibilità che i contribuenti e i capitali emigrino altrove, e potrà continuare ad imporre loro pesanti imposte e regolamentazioni, forse ancor più che in precedenza.

In un illuminante saggio sulle conseguenze economiche delle unificazioni politiche, l’economista libertario tedesco Jörg Guido Hülsmann ha dimostrato che gli avvenimenti europei dell’ultimo decennio confermano questa analisi. La Germania Est, uno stato totalmente fallito non solo economicamente, ma anche ideologicamente, moralmente, e spiritualmente, non ha potuto fare altro che cedere la propria sovranità ad uno stato vicino più ricco, la Germania Ovest. La riunificazione territoriale che ne è conseguita, però, ha portato come previsto ad un colossale aumento dello statalismo in Germania, sotto forma di tasse e debito pubblico per sussidiare l’Est. La Germania Ovest, che dopo la fine della Seconda guerra mondiale aveva una delle economie più ricche e libere d’Europa, è diventato così un paese statalista come la Francia e l’Italia, con problemi molto simili a questi.

Poichè in Europa tre paesi (Italia, Belgio, e Grecia) sono in piena bancarotta a causa del debito pubblico, dato che non riusciranno mai a pagarlo, e molti altri sono in condizioni solo un po’ migliori (Austria, Portogallo, Spagna, Svezia, Irlanda), tutti costoro - spiega Hülsmann - non hanno altra possibilità per far sopravvivere il sistema welfarista se non quella di cartellizzarsi in una vera e propria “unione di bancarottieri”, e affidare a qualche Stato relativamente più forte la soluzione dei propri problemi. Così come i paesi del Terzo Mondo o del Sudamerica in rovina riescono a salvarsi solo cedendo la propria sovranità finanziaria a qualche paese più ricco (solitamente gli Stati Uniti) o a qualche organismo sovrannazionale come il Fondo Monetario, allo stesso modo le socialdemocrazie bancarottiere d’Europa non hanno altra via che quella di cedere la propria sovranità economica e monetaria ad una unione guidata dalla Germania, anch’essa però in cattivo stato.

In conclusione, gli Stati possono fallire, perchè oltre un certo limite non possono sfruttare indefinitamente la popolazione.

L’unificazione politica permette però di ritardare il disastro (il recente salvataggio della Grecia ne è l’esempio pratico, ndr) e di proseguire per qualche tempo con gli stessi metodi, ed è quello che stanno facendo i paesi della UE.

Alla fine però i nodi verranno al pettine anche per gli strafalliti sistemi assistenzialisti europei, i quali, se non si inverte decisamente la rotta, crolleranno miseramente proprio come il comunismo dieci anni fa.

Poiché i problemi che hanno determinato la rovina del socialismo reale sono gli stessi, con mere differenze di grado, che oggi attanagliano le socialdemocrazie stataliste d’Occidente, si può presumere che anche il collasso del superstato socialista europeo, dovuto all’insostenibilità del sistema, sia solo una questione di tempo.

di Guglielmo Piombini
MEGLIO LICANTROPI CHE FILANTROPI

Baalkaan hai la machina targata Sassari?

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Re: [O.T.] Crisi economica

#1851 Messaggio da Helmut »

Capitanvideo ha scritto: ...si può presumere che anche il collasso del superstato socialista europeo, dovuto all’insostenibilità del sistema, sia solo una questione di tempo

di Guglielmo Piombini
Capitano, che fai...???

Posto un dato (freddi numeri, e null'altro :o ) e tu mi replichi con la filippica di un giornalista neppure troppo noto, che conclude con la solita profezia trombonesca...e pure con l'incipit "si può presumere"...

...si sa mai che, avendo scritto una coglionata, un domani possa smentire... :-?
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Re: [O.T.] Crisi economica

#1852 Messaggio da Capitanvideo »

Helmut ha scritto:
Capitanvideo ha scritto: ...si può presumere che anche il collasso del superstato socialista europeo, dovuto all’insostenibilità del sistema, sia solo una questione di tempo

di Guglielmo Piombini
Capitano, che fai...???

Posto un dato (freddi numeri, e null'altro :o ) e tu mi replichi con la filippica di un giornalista neppure troppo noto, che conclude con la solita profezia trombonesca...e pure con l'incipit "si può presumere"...

...si sa mai che, avendo scritto una coglionata, un domani possa smentire... :-?
Ti vedevo un po troppo ottimista e tranquillo, ecco perche' :)
Io sono convinto che il patatrac sia solo questione di tempo.
Quando gran parte delle nazioni industrializzate sono sommerse da debiti immensi mi sembra un dato che perde significato.
Anzi, senza l'indebitamento il PIL avrebbe numeri ben diversi.
La situazione, dopo anni di immobilità, sta accelerando anche troppo velocemente.
Compra oro e non pensare al PIL.
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Re: [O.T.] Crisi economica

#1853 Messaggio da Helmut »

Capitanvideo ha scritto: Io sono convinto che il patatrac sia solo questione di tempo
Questa tua convizione, caro Capitano, è suffragata da dati, tesi, numeri, studi oppure trattasi di tua mera sensazione personale...??? :-?

Nel primo caso ti pregherei di postare e/o linkare i riferimenti, nel secondo caso mi sento già più tranquillo. :-D
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Re: [O.T.] Crisi economica

#1854 Messaggio da Capitanvideo »

Helmut ha scritto:
Capitanvideo ha scritto: Io sono convinto che il patatrac sia solo questione di tempo
Questa tua convizione, caro Capitano, è suffragata da dati, tesi, numeri, studi oppure trattasi di tua mera sensazione personale...??? :-?

Nel primo caso ti pregherei di postare e/o linkare i riferimenti, nel secondo caso mi sento già più tranquillo. :-D
Fai una domanda curiosa, come fossi una voce fuori dal coro.
Ho letto diversi articoli riguardo il possibile default, e se ne parla sempre piu' spesso.
Cmq, come ogni cosa in economia, possono sbagliare. Dormi pure tranquillo :)
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Re: [O.T.] Crisi economica

#1855 Messaggio da Parakarro »

devo comprarmi uno scanner.. :evil:

Carola Frydman e Raven Saks (2005)
" i due ricercatori hanno esaminato,su un'intervallo di circa 60anni,l'evoluzione dei redditi dei tre dirigenti principali di un centinaio delle piu' grandi aziende degli USA. Tra l'altro hanno stabilito un rapporto tra il reddito medio dei piu' alti dirigenti e quello medio dei salariati del paese: si ottiene così un indicatore originale dell'evoluzione nell'ultimo mezzo secolo.I dati raccontano una relativa stabilità fino al 1980 (i dirigenti guadagnavano circa 40 volte un salariato) a cui segue un aumento costante e rapido: nel 2000 il reddito medio era superato di trecento volte (!!)

Stessi dati vennero analizzati a Berkeley da Emmanuel Saez"dopo una flessione nel 2001 (anno dell'attacco alle torri gemelle) nel 2006 il 10% delle famiglie piu' ricche americane assorbiva il 50% della ricchezza"


Le disugualize tra ricchi e poveri non sono mai state così marcate in tempi moderni e la diversità di livello di vita media tra paesi ricchi e poveri non ha precedenti nella storia umana.

Però il PIL cresce..e va tutto bene...e se non va bene è colpa tua che non hai i dati giusti... perchè va tutto bene ! ok?! VA TUTTO BENE!

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Re: [O.T.] Crisi economica

#1856 Messaggio da Helmut »

Parakarro ha scritto: Le disugualize tra ricchi e poveri non sono mai state così marcate in tempi moderni e la diversità di livello di vita media tra paesi ricchi e poveri non ha precedenti nella storia umana
Quindi nell'Inghilterra del '700, nell'Europa industriale di inizio '900, nelle campagne italiane anni '50, nella Russia sovietica degli anni '70 c'erano meno disuguaglianze di adesso...???

Parakarro, con tutto il rispetto...ho sempre sostenuto che tu qua sei un "drago"...

...ma questa mi fa troppo ridere...!!!

:DDD :DDD :DDD :DDD
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Re: [O.T.] Crisi economica

#1857 Messaggio da Helmut »

Capitanvideo ha scritto:Ho letto diversi articoli riguardo il possibile default
Bene.

Adesso ho capito le tue fonti: giornalisti e giornalai.

Sono ancora più tranquillo. :-D
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Re: [O.T.] Crisi economica

#1858 Messaggio da Capitanvideo »

Helmut ha scritto:
Capitanvideo ha scritto:Ho letto diversi articoli riguardo il possibile default
Bene.

Adesso ho capito le tue fonti: giornalisti e giornalai.

Sono ancora più tranquillo. :-D
Economisti, non giornalisti.
Poi il buon senso aiuta a separare il logico dall'illogico.

Invidio la tua tranquillità :)
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Re: [O.T.] Crisi economica

#1859 Messaggio da Helmut »

Capitanvideo ha scritto: Economisti, non giornalisti
Economia = 40% scienza, 30% astrologia, 20% meteorologia, 10% cartomanzia.

200 anni (più o meno) di storia economica sono lì a dimostrarlo. :o
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Re: [O.T.] Crisi economica

#1860 Messaggio da Giulio Tremonti »

-Sulla crisi: le cassanrde prevedono una crisi tutti gli anni, prima o poi ci azzeccano. Le crisi ci sono sempre state, anche per la natura ciclica dell'economia. Faccio una previsione: questa crisi finirà e si tornerà ai livelli di benessere precedente e oltre. Altra previsione: ci sarà un'altra crisi.


-leggere Parakarro è come sentire i vecchietti di Aldo Giovanni e Giacomo. Siamo ai livelli di "qui una volta erano tutti campi".
Cosa c'entra il divario tra redditi dei manager e lavoratori? E' vero che reddito dei dirigenti è esploso rispetto a quello dei salariati ma questo non significa che sia aumentato il divario tra poveri e ricchi, anzi la povertà a livello globale è diminuita e la globalizzazione ha accelerato questa tendenza, ci sono tantissime conferme empiriche a riguardo.
Il numero delle persone che vive sotto la soglia di estrema povertà a livello globale è diminuito, Africa sub-sahariana compresa. dati Banca Mondiale:
Immagine
Il trend è ancora più marcato se si fa il confronto con gli anni Sessanta.

Se guardi il dato dietary energy supply, che indica la quantità media di calorie consumate, nel sito dell'OMS, noti che è aumentato in quasi tutti i paesi dell'Africa tranne in pochissimi casi. Altre conferme sui trend mondiali e regionali li trovi anche nel sito della FAO capitolo 3.2

Quindi, al contrario di quello che la propaganda no global vuol fare intendere, la povertà nel mondo è in diminuzione. I maggiori beneficiari della globalizzazione sono proprio le centinaia di milioni di cinesi e asiatici, indiani, russi, brasiliani che sono usciti dalla condizione di povertà grazie alla mondializzazione dei commerci. Quelli che cianciano di globalizzazione che impoverisce i poveri e arricchisce l'Occidente non sanno di cosa parlano, o meglio, fingono di non saperlo per motivi ideologici.
Sono gli stessi che fanno gli appelli, per loro aiutare il Terzo mondo significa cooperazione, portare in Africa le ONG, fare le raccolte fondi, distribuire gli aiuti umanitari etc., tutte attività che rallentano le economie locali, aumentano la corruzione endemica e i conflitti e tengono la popolazione in un stato di sussistenza. Bisognerebbe azzerare tutti gli aiuti e finirla con la retorica umanitaristica.
...mostrando la medaglia appuntata al bavero: "Il Duce m'ha fatto l'onore di darmi questo grande titolo. E io me ne fregio". (Ettore Petrolini)

[url=http://www.youtube.com/watch?v=b63FTD58nKU]Un posticino tutto speciale[/url]

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