CHI SONO QUESTI?
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Democrazia sostanziale
E' così chiamato l'ideale di democrazia che vede la propria caratteristica sostanziale non nelle procedure democratiche, ma nel principio di eguaglianza tra i cittadini. Per questo motivo la democrazia sostanziale si oppone a quella formale, che valorizza in particolar modo le procedure decisionali ed elettorali; da un altro punto di vista, inoltre, la democrazia formale punta all'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, intesa in senso fortemente impersonale, mentre quella sostanziale rivendica l'eguaglianza effettiva (ad esempio, a livello economico) come unico strumento attraverso il quale è possibile che tutti godano realmente del proprio diritto di cittadinanza.
La Convenzione giacobina, e soprattutto il Comitato di Salute pubblica, sembrano mirare in particolare alla democrazia sostanziale, come si puó arguire a partire da due elementi:
Molte misure adottate in quel periodo tendono a livellare la condizione economica dei cittadini, attraverso espropri e redistribuzioni. Ció non comporta minimamente l'abolizione della proprietà privata, quanto la costituzione di un vasto ceto di piccoli proprietari terrieri come base economica e sociale del paese, secondo la linea politica inaugurata dalle confische dei beni ecclesiastici. Il fatto che si tratti talora di misure demagogiche, volte a creare consenso nelle masse in un momento di forte instabilità legato alla guerra in corso, non cambia quanto si è sostenuto prima: anche in alcuni casi i provvedimenti citati restano senza applicazione concreta, ció non esclude che l'obiettivo fosse quello di creare una democrazia di tipo sostanziale.
La sospensione della Costituzione del 1791 e la creazione del Comitato di Salute pubblica, insieme alla limitazione delle libertà individuali e all'esautoramento della Convenzione, evidenziano, da parte del gruppo dirigente giacobino, un certo disinteresse per le procedure democratiche; accanto al terrorismo e alla conseguente cancellazione dello Stato di diritto, la democrazia si allontana sempre più dalle forme che le sono proprie e che sono sancite nella stessa Legge Fondamentale. E' evidente come, in questo caso la democrazia formale sia quasi completamente assente.
E' così chiamato l'ideale di democrazia che vede la propria caratteristica sostanziale non nelle procedure democratiche, ma nel principio di eguaglianza tra i cittadini. Per questo motivo la democrazia sostanziale si oppone a quella formale, che valorizza in particolar modo le procedure decisionali ed elettorali; da un altro punto di vista, inoltre, la democrazia formale punta all'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, intesa in senso fortemente impersonale, mentre quella sostanziale rivendica l'eguaglianza effettiva (ad esempio, a livello economico) come unico strumento attraverso il quale è possibile che tutti godano realmente del proprio diritto di cittadinanza.
La Convenzione giacobina, e soprattutto il Comitato di Salute pubblica, sembrano mirare in particolare alla democrazia sostanziale, come si puó arguire a partire da due elementi:
Molte misure adottate in quel periodo tendono a livellare la condizione economica dei cittadini, attraverso espropri e redistribuzioni. Ció non comporta minimamente l'abolizione della proprietà privata, quanto la costituzione di un vasto ceto di piccoli proprietari terrieri come base economica e sociale del paese, secondo la linea politica inaugurata dalle confische dei beni ecclesiastici. Il fatto che si tratti talora di misure demagogiche, volte a creare consenso nelle masse in un momento di forte instabilità legato alla guerra in corso, non cambia quanto si è sostenuto prima: anche in alcuni casi i provvedimenti citati restano senza applicazione concreta, ció non esclude che l'obiettivo fosse quello di creare una democrazia di tipo sostanziale.
La sospensione della Costituzione del 1791 e la creazione del Comitato di Salute pubblica, insieme alla limitazione delle libertà individuali e all'esautoramento della Convenzione, evidenziano, da parte del gruppo dirigente giacobino, un certo disinteresse per le procedure democratiche; accanto al terrorismo e alla conseguente cancellazione dello Stato di diritto, la democrazia si allontana sempre più dalle forme che le sono proprie e che sono sancite nella stessa Legge Fondamentale. E' evidente come, in questo caso la democrazia formale sia quasi completamente assente.
Trova il sillogismo della vita
Democrazia totalitaria
La denominazione democrazia totalitaria è stata introdotta dallo storico Talmon per identificare quei regimi in cui il potere dispotico di un singolo o di un gruppo si costituisce e trova la sua giustificazione a partire dall'entusiasmo delle masse. Si tratta di una forma di totalitarismo particolarmente subdola, in quanto utilizza slogans e simboli della tradizione democratica; nel caso del periodo da noi preso in esame, il gruppo politico al potere mantiene le stesse strutture democratiche (ad esempio la Convenzione) ma le esclude dalla reale gestione del potere in tre modi:
Alle istituzioni legittime se ne accostano altre (i Comitati) che via via le sostituiscono nell'esercizio delle loro funzioni;
Il clima di terrore impedisce lo svolgimento di un dibattito politico sereno; viene altresì limitata la libertà di opinione che, con quella di parola, rappresenta uno dei presupposti fondamentali per l'esercizio della democrazia;
Le procedure democratiche sancite dalla Costituzione sono progressivamente superate a favore di forme di democrazia diretta, che si attua anch'essa al di fuori dei normali canali come pressione delle masse cittadine della capitale attraverso iniziative di protesta etc.
L'esistenza, più o meno evidente a seconda degli autori, di elementi totalitari nel periodo di potere giacobino nella Rivoluzione Francese è stata spiegata in tre modi:
La degenerazione della vita politica francese deriva dallo spregio per la definizione procedurale della democrazia a favore del suo contenuto: il mantenimento delle istituzioni legittime o almeno la consapevolezza, nella classe dirigente, della loro importanza avrebbe limitato l'apporto delle masse e l'avvento della dittatura del Comitato di Salute pubblica.
La psicologia delle masse puó aiutare a comprendere per quale motivo i cittadini di Parigi non si avvidero del nascente regime terroristico: prive di modelli democratici a cui rifarsi, dipendenti dal punto di vista ideologico dalle parole d'ordine lanciate dal gruppo dirigente giacobino e soprattutto incapaci di valutare le proprie responsabilità e il peso politico delle proprie manifestazioni, le masse rappresentano il serbatoio di consenso del Comitato e delle sue misure demagogiche.
Dal punto di vista teorico, il fondatore dell'ideologia giacobina è stato identificato con Rousseau, la cui tesi della volontà generale avrebbe rappresentato l'antecedente dell'ideale politico di Robespierre. Secondo il filosofo ginevrino, la volontà generale non coincide necessariamente con quella della maggioranza, anche se, dal punto di vista procedurale, essa dovrebbe scaturire dall'elisione reciproca delle opposte volontà individuali; la volontà generale, che deve stare alla base delle leggi, è l'unica in grado di riconoscere in bene dello Stato al di là degli inevitabili particolarismi. Il problema sorge quando bisogna identificare la persona o il gruppo legittimamente interpreti di quella volontà e quindi potenzialmente titolari del diritto di escludere gli altri dall'esercizio della sovranità . La Rivoluzione trova nel Comitato di Salute pubblica il vate del bene supremo del paese, delegando ad esso, volente o nolente, quasi tutto il potere; Robespierre, che fa esplicitamente riferimento al bene generale della Francia nella fragile situazione in cui si trova a dirigere, di fatto, lo Stato, è l'interprete più coerente di tale dottrina, anche se nei suoi discorsi la presenza esplicita di Rousseau è inferiore, ad esempio, a quella di Voltaire.
La denominazione democrazia totalitaria è stata introdotta dallo storico Talmon per identificare quei regimi in cui il potere dispotico di un singolo o di un gruppo si costituisce e trova la sua giustificazione a partire dall'entusiasmo delle masse. Si tratta di una forma di totalitarismo particolarmente subdola, in quanto utilizza slogans e simboli della tradizione democratica; nel caso del periodo da noi preso in esame, il gruppo politico al potere mantiene le stesse strutture democratiche (ad esempio la Convenzione) ma le esclude dalla reale gestione del potere in tre modi:
Alle istituzioni legittime se ne accostano altre (i Comitati) che via via le sostituiscono nell'esercizio delle loro funzioni;
Il clima di terrore impedisce lo svolgimento di un dibattito politico sereno; viene altresì limitata la libertà di opinione che, con quella di parola, rappresenta uno dei presupposti fondamentali per l'esercizio della democrazia;
Le procedure democratiche sancite dalla Costituzione sono progressivamente superate a favore di forme di democrazia diretta, che si attua anch'essa al di fuori dei normali canali come pressione delle masse cittadine della capitale attraverso iniziative di protesta etc.
L'esistenza, più o meno evidente a seconda degli autori, di elementi totalitari nel periodo di potere giacobino nella Rivoluzione Francese è stata spiegata in tre modi:
La degenerazione della vita politica francese deriva dallo spregio per la definizione procedurale della democrazia a favore del suo contenuto: il mantenimento delle istituzioni legittime o almeno la consapevolezza, nella classe dirigente, della loro importanza avrebbe limitato l'apporto delle masse e l'avvento della dittatura del Comitato di Salute pubblica.
La psicologia delle masse puó aiutare a comprendere per quale motivo i cittadini di Parigi non si avvidero del nascente regime terroristico: prive di modelli democratici a cui rifarsi, dipendenti dal punto di vista ideologico dalle parole d'ordine lanciate dal gruppo dirigente giacobino e soprattutto incapaci di valutare le proprie responsabilità e il peso politico delle proprie manifestazioni, le masse rappresentano il serbatoio di consenso del Comitato e delle sue misure demagogiche.
Dal punto di vista teorico, il fondatore dell'ideologia giacobina è stato identificato con Rousseau, la cui tesi della volontà generale avrebbe rappresentato l'antecedente dell'ideale politico di Robespierre. Secondo il filosofo ginevrino, la volontà generale non coincide necessariamente con quella della maggioranza, anche se, dal punto di vista procedurale, essa dovrebbe scaturire dall'elisione reciproca delle opposte volontà individuali; la volontà generale, che deve stare alla base delle leggi, è l'unica in grado di riconoscere in bene dello Stato al di là degli inevitabili particolarismi. Il problema sorge quando bisogna identificare la persona o il gruppo legittimamente interpreti di quella volontà e quindi potenzialmente titolari del diritto di escludere gli altri dall'esercizio della sovranità . La Rivoluzione trova nel Comitato di Salute pubblica il vate del bene supremo del paese, delegando ad esso, volente o nolente, quasi tutto il potere; Robespierre, che fa esplicitamente riferimento al bene generale della Francia nella fragile situazione in cui si trova a dirigere, di fatto, lo Stato, è l'interprete più coerente di tale dottrina, anche se nei suoi discorsi la presenza esplicita di Rousseau è inferiore, ad esempio, a quella di Voltaire.
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Democrazia carismatica
Il totalitarismo puó sorgere da istituzioni democratiche e puó permettersi di mantenerle, anche se completamente svuotate di senso, nella misura in cui il gruppo promotore di tale iniziativa goda di tanto e tale consenso da ottenere l'approvazione delle fasce più influenti dello Stato; ció non significa che sia appoggiato dalla maggioranza della popolazione, ma che i suoi sostenitori gridino più forte degli altri.
Naturalmente questa operazione è possibile nella misura in cui quel gruppo o quella persona possiedano un particolare carisma. Nel caso da noi esaminato, il carisma si crea soprattutto a partire dalla complessa situazione di ostilità verso la Rivoluzione sia all'interno che all'esterno dei confini nazionali. Il gruppo dirigente, rappresentato da Robespierre e dal Comitato, è carismatico e puó pilotare migliaia di persone anche perchè, nel pericolo, è naturale che il popolo si affidi a chi appare più forte, magari ricorrendo a strumenti non proprio ortodossi come il terrorismo e la soppressione delle libertà individuali.
Il totalitarismo puó sorgere da istituzioni democratiche e puó permettersi di mantenerle, anche se completamente svuotate di senso, nella misura in cui il gruppo promotore di tale iniziativa goda di tanto e tale consenso da ottenere l'approvazione delle fasce più influenti dello Stato; ció non significa che sia appoggiato dalla maggioranza della popolazione, ma che i suoi sostenitori gridino più forte degli altri.
Naturalmente questa operazione è possibile nella misura in cui quel gruppo o quella persona possiedano un particolare carisma. Nel caso da noi esaminato, il carisma si crea soprattutto a partire dalla complessa situazione di ostilità verso la Rivoluzione sia all'interno che all'esterno dei confini nazionali. Il gruppo dirigente, rappresentato da Robespierre e dal Comitato, è carismatico e puó pilotare migliaia di persone anche perchè, nel pericolo, è naturale che il popolo si affidi a chi appare più forte, magari ricorrendo a strumenti non proprio ortodossi come il terrorismo e la soppressione delle libertà individuali.
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Democrazia diretta
Un ultimo problema interpretativo è dato dalla democrazia diretta che nella Rivoluzione trova uno dei suoi momenti di più coerente realizzazione dell'età moderna. Il rischio implicito nell'associazione, nell'immaginario collettivo europeo dalla Restaurazione in poi, di democrazia, giacobinismo e Terrore si sviluppa così a partire da due premesse:
La forma di democrazia che l'Ottocento ha maggiormente presente è quella diretta.
La democrazia diretta si presta molto alla degenerazione in democrazia totalitaria, a causa dell'apporto che in essa hanno le masse.
Per uno strano slittamento, segue che, almeno a livello psicologico, i vizi della democrazia diretta nella sua degenerazione giacobina sono trasferiti a qualsiasi democrazia, che viene pertanto associata, indipendentemente dal suo carattere particolare, agli episodi meno edificanti dell'ultima fase della Rivoluzione.
Un ultimo problema interpretativo è dato dalla democrazia diretta che nella Rivoluzione trova uno dei suoi momenti di più coerente realizzazione dell'età moderna. Il rischio implicito nell'associazione, nell'immaginario collettivo europeo dalla Restaurazione in poi, di democrazia, giacobinismo e Terrore si sviluppa così a partire da due premesse:
La forma di democrazia che l'Ottocento ha maggiormente presente è quella diretta.
La democrazia diretta si presta molto alla degenerazione in democrazia totalitaria, a causa dell'apporto che in essa hanno le masse.
Per uno strano slittamento, segue che, almeno a livello psicologico, i vizi della democrazia diretta nella sua degenerazione giacobina sono trasferiti a qualsiasi democrazia, che viene pertanto associata, indipendentemente dal suo carattere particolare, agli episodi meno edificanti dell'ultima fase della Rivoluzione.
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VOLTAIRE
"Il genere umano non trae alcuna utilità da cento guerre... Chiamo grandi uomini tutti coloro che si sono distinti nell'utile o nel dilettevole. I saccheggiatori di provincia non sono altro che eroi."
Francois Marie Arouet (1694-1778)
Nasce a Parigi da famiglia borghese; studia presso un collegio di gesuiti, si dedica, per volere del padre, a studi giuridici e diviene magistrato. Precocissimo poeta, frequenta i circoli letterari ove si fa notare per la sua vivacissima intelligenza. Nel 1716 viene esiliato e successivamente incarcerato alla Bastiglia perchè aderisce a correnti intellettuali contrarie alla corona. Inizia in carcere la sua lunga carriera di scrittore, abbandona il proprio nome assumendo quello di Voltaire. Riappacificatosi con il reggente viene nominato diplomatico, inizia così un lungo periodo di viaggi fino a quando verrà nuovamente esiliato in Inghilterra dove diventerà grande ammiratore delle istituzioni politiche parlamentari.
Qui incontra il pensiero di Locke e di Newton e si apre ai problemi filosofici, scientifici e religiosi di quegli anni.
Torna in patria preceduto dal successo dei suoi libri ma i suoi rapporti con le autorità non cambiano tanto che alternerà periodi in cui vive e lavora in Francia, ad altri in cui è costretto a rifugiarsi presso altre capitali europee pur continuando a prendere coraggiosamente posizione contro misfatti giudiziari e opponendosi ad ogni intolleranza e al fanatismo religioso. Nel 1778 ritorna a Parigi dove morirà .
Contesto storico
Nel '700 lo sviluppo economico promosso dalla borghesia nel secolo precedente assume maggiore spessore e diventa una nuova forza capace di grandi metamorfosi anche sul piano culturale e politico.
La fiducia nelle iniziative umane e la laicizzazione della cultura saranno i fenomeni che caratterizzeranno il complesso sviluppo della società europea. L'atmosfera culturale dominante viene indicata con il nome di Illuminismo, che si basa essenzialmente sulla fiducia nella ragione, quale strumento capace di chiarire i problemi umani, da quelli filosofici e scientifici a quelli religiosi e sociali.
La ragione degli Illuministi ha un orientamento empiristico che prende le mosse da filosofi quali Locke e Newton: costoro avevano iniziato un'analisi degli strumenti del conoscere nel tentativo di trovare l'origine empirica delle conoscenze.
Il Pensiero
Voltaire si oppose decisamente alla filosofia cartesiana perchè vedeva in essa il pericolo di essere utilizzata al fine di affermare la dipendenza assoluta dell'uomo e del mondo dalla volontà divina, impedendo alla cultura di laicizzarsi e di sviluppare un pensiero che fosse davvero libero e moderno. E' alla ragione che Voltaire si richiama per fronteggiare i problemi dell'uomo, poichè vede in essa uno strumento valido che rende conto sia dell'ordine del mondo che del posto occupato dall'uomo nella natura e dei poteri che gli sono propri.
Posto di grande rilievo assume il concetto di libertà , che per Voltaire ha aspetti assolutamente concreti e che si inserisce in una concezione dell'etica come sforzo di realizzare ció che lo spirito umano addita come necessariamente buono: la giustizia, il rispetto reciproco e lo sviluppo della cultura.
E' convinzione del filosofo francese che i mali, che pure sono insiti nel mondo, emergano dal confronto con le esigenze etiche: ció richiama l'uomo ad intervenire per correggerli riducendone l'efficacia.Ne consegue la posizione di dura critica alle religioni confessionali, all'intolleranza e ad ogni genere di potere che voglia assoggettare la ragione umana in anguste strettoie.
Tolleranza non significa per Voltaire accettazione indifferenziata di qualsiasi opinione ma piuttosto vuole essere un atteggiamento attivo contro ogni forma di fanatismo e di superstizione. Ed è qui che il filosofo chiama in causa il potere politico che dovrebbe, in modo illuminato, combattere ogni forma di fanatismo e quando ció non accade è giusto che il monarca venga travolto dalla civiltà che procede.
Come le opere di tolleranza religiosa , così le numerose opere di argomento storico hanno un forte carattere politico.
Voltaire fa infatti della politica anche quando volge lo sguardo alla storia, poichè non vede in essa solo una semplice raccolta di fatti rigorosamente accertati ma pone l'accento sui legami e le connessioni tra gli eventi storici perchè, a suo avviso, sono questi elementi che aiutano l'uomo ad avere una spiegazione di essi.
Gli eventi umani vengono considerati nell'insieme delle varie attività : condizioni materiali della vita, economia, intenzioni civilizzatrici, rapporti sociali ecc.
Quando Voltaire parla di "filosofia della storia" intende lo sforzo di selezionare, tra gli innumerevoli eventi storici, quelli capaci di mettere in risalto i caratteri positivi e negativi di un'epoca.Egli ritiene che la storia possa mettere in luce le radici dei mali che da sempre affliggono l'umanità facendoci meglio intendere il tempo che viviamo.
"Nella storia si vedono susseguirsi errori e pregiudizi, i quali mettono in fuga la verità e la ragione." Lo sforzo di cercare il senso filosofico nei fatti storici e di sviscerare le problematiche umane, impedirà a Voltaire di cadere nell'errore di voler importare le istituzioni inglesi, che tanto egli ammirava, tali e quali in Francia, poichè era cosciente della diversità delle due società .
Egli distingue tra sostanza della democrazia e le particolari forme in cui essa puó essere realizzata in determinate società e contesti storici.
Ed è la sostanza che gli sta a cuore e per l'attuazione di essa egli dedicherà tutta la sua vita e le risorse del proprio ingegno.
Il problema che Voltaire pone è se vi sia una evoluzione progressiva o se la condizione umana sia sempre la stessa. Egli affermerà che la natura umana non è un fatto immutabile ma che, pur essendo fragile, continua a progredire.
Affermazione che, a nostro avviso, oggi più che mai sembra essere una vera sfida alle innumerevoli manifestazioni di intolleranza che insanguinano il nostro pianeta e chiede alla ragione, celata dietro al pregiudizio, al costume, che divenga se stessa, nonostante le tante resistenze poste sul suocammino.
Opere
Lettere filosofiche, Dizionario filosofico, Trattato sulla tolleranza, Dialoghi di Evemero, Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni; Candido, La principessa di Babilonia, L'ingenuo, Il secolo di Luigi XIV.
"Il genere umano non trae alcuna utilità da cento guerre... Chiamo grandi uomini tutti coloro che si sono distinti nell'utile o nel dilettevole. I saccheggiatori di provincia non sono altro che eroi."
Francois Marie Arouet (1694-1778)
Nasce a Parigi da famiglia borghese; studia presso un collegio di gesuiti, si dedica, per volere del padre, a studi giuridici e diviene magistrato. Precocissimo poeta, frequenta i circoli letterari ove si fa notare per la sua vivacissima intelligenza. Nel 1716 viene esiliato e successivamente incarcerato alla Bastiglia perchè aderisce a correnti intellettuali contrarie alla corona. Inizia in carcere la sua lunga carriera di scrittore, abbandona il proprio nome assumendo quello di Voltaire. Riappacificatosi con il reggente viene nominato diplomatico, inizia così un lungo periodo di viaggi fino a quando verrà nuovamente esiliato in Inghilterra dove diventerà grande ammiratore delle istituzioni politiche parlamentari.
Qui incontra il pensiero di Locke e di Newton e si apre ai problemi filosofici, scientifici e religiosi di quegli anni.
Torna in patria preceduto dal successo dei suoi libri ma i suoi rapporti con le autorità non cambiano tanto che alternerà periodi in cui vive e lavora in Francia, ad altri in cui è costretto a rifugiarsi presso altre capitali europee pur continuando a prendere coraggiosamente posizione contro misfatti giudiziari e opponendosi ad ogni intolleranza e al fanatismo religioso. Nel 1778 ritorna a Parigi dove morirà .
Contesto storico
Nel '700 lo sviluppo economico promosso dalla borghesia nel secolo precedente assume maggiore spessore e diventa una nuova forza capace di grandi metamorfosi anche sul piano culturale e politico.
La fiducia nelle iniziative umane e la laicizzazione della cultura saranno i fenomeni che caratterizzeranno il complesso sviluppo della società europea. L'atmosfera culturale dominante viene indicata con il nome di Illuminismo, che si basa essenzialmente sulla fiducia nella ragione, quale strumento capace di chiarire i problemi umani, da quelli filosofici e scientifici a quelli religiosi e sociali.
La ragione degli Illuministi ha un orientamento empiristico che prende le mosse da filosofi quali Locke e Newton: costoro avevano iniziato un'analisi degli strumenti del conoscere nel tentativo di trovare l'origine empirica delle conoscenze.
Il Pensiero
Voltaire si oppose decisamente alla filosofia cartesiana perchè vedeva in essa il pericolo di essere utilizzata al fine di affermare la dipendenza assoluta dell'uomo e del mondo dalla volontà divina, impedendo alla cultura di laicizzarsi e di sviluppare un pensiero che fosse davvero libero e moderno. E' alla ragione che Voltaire si richiama per fronteggiare i problemi dell'uomo, poichè vede in essa uno strumento valido che rende conto sia dell'ordine del mondo che del posto occupato dall'uomo nella natura e dei poteri che gli sono propri.
Posto di grande rilievo assume il concetto di libertà , che per Voltaire ha aspetti assolutamente concreti e che si inserisce in una concezione dell'etica come sforzo di realizzare ció che lo spirito umano addita come necessariamente buono: la giustizia, il rispetto reciproco e lo sviluppo della cultura.
E' convinzione del filosofo francese che i mali, che pure sono insiti nel mondo, emergano dal confronto con le esigenze etiche: ció richiama l'uomo ad intervenire per correggerli riducendone l'efficacia.Ne consegue la posizione di dura critica alle religioni confessionali, all'intolleranza e ad ogni genere di potere che voglia assoggettare la ragione umana in anguste strettoie.
Tolleranza non significa per Voltaire accettazione indifferenziata di qualsiasi opinione ma piuttosto vuole essere un atteggiamento attivo contro ogni forma di fanatismo e di superstizione. Ed è qui che il filosofo chiama in causa il potere politico che dovrebbe, in modo illuminato, combattere ogni forma di fanatismo e quando ció non accade è giusto che il monarca venga travolto dalla civiltà che procede.
Come le opere di tolleranza religiosa , così le numerose opere di argomento storico hanno un forte carattere politico.
Voltaire fa infatti della politica anche quando volge lo sguardo alla storia, poichè non vede in essa solo una semplice raccolta di fatti rigorosamente accertati ma pone l'accento sui legami e le connessioni tra gli eventi storici perchè, a suo avviso, sono questi elementi che aiutano l'uomo ad avere una spiegazione di essi.
Gli eventi umani vengono considerati nell'insieme delle varie attività : condizioni materiali della vita, economia, intenzioni civilizzatrici, rapporti sociali ecc.
Quando Voltaire parla di "filosofia della storia" intende lo sforzo di selezionare, tra gli innumerevoli eventi storici, quelli capaci di mettere in risalto i caratteri positivi e negativi di un'epoca.Egli ritiene che la storia possa mettere in luce le radici dei mali che da sempre affliggono l'umanità facendoci meglio intendere il tempo che viviamo.
"Nella storia si vedono susseguirsi errori e pregiudizi, i quali mettono in fuga la verità e la ragione." Lo sforzo di cercare il senso filosofico nei fatti storici e di sviscerare le problematiche umane, impedirà a Voltaire di cadere nell'errore di voler importare le istituzioni inglesi, che tanto egli ammirava, tali e quali in Francia, poichè era cosciente della diversità delle due società .
Egli distingue tra sostanza della democrazia e le particolari forme in cui essa puó essere realizzata in determinate società e contesti storici.
Ed è la sostanza che gli sta a cuore e per l'attuazione di essa egli dedicherà tutta la sua vita e le risorse del proprio ingegno.
Il problema che Voltaire pone è se vi sia una evoluzione progressiva o se la condizione umana sia sempre la stessa. Egli affermerà che la natura umana non è un fatto immutabile ma che, pur essendo fragile, continua a progredire.
Affermazione che, a nostro avviso, oggi più che mai sembra essere una vera sfida alle innumerevoli manifestazioni di intolleranza che insanguinano il nostro pianeta e chiede alla ragione, celata dietro al pregiudizio, al costume, che divenga se stessa, nonostante le tante resistenze poste sul suocammino.
Opere
Lettere filosofiche, Dizionario filosofico, Trattato sulla tolleranza, Dialoghi di Evemero, Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni; Candido, La principessa di Babilonia, L'ingenuo, Il secolo di Luigi XIV.
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Jean-Jacques Rousseau
Letterato, musicista e filosofo ginevrino (Ginevra, 1712 - Ermenonville, 1778).
Passeggiatore solitario, Rousseau pensa e passeggia, e lascia che il suo pensiero si sviluppi spontaneamente nella natura che percorre, che si formi di fronte alla società che fugge e di cui teme il peggio. Alla ricerca perpetua di un riposo impossibile, il suo spirito si infiamma, sensibile ed appassionato, rigoroso e risentito. Non potendo proporre al mondo nient'altro che una rottura radicale, si vedrà respinto e rinviato al suo Io, alle sue lacrime ed alla sua austera virtù. «Rousseau non ha inventato nulla, ma ha infiammato tutto», scriverà la sua concittadina M.me de Staà«l.
Infanzia
àˆ a Ginevra, repubblica indipendente, in mezzo a cittadini austeri, calvinisti e fieri delle proprie prerogative, che Jean-Jacques Rousseau viene al mondo. Nasce il 28 giugno 1712 sotto il segno della musica e del ritmo per parte di padre, Isaac, orologiaio, violinista e maestro di danza e sotto quello della sensibilità e del tragico per parte di madre, Suzanne, che muore mettendolo al mondo. Jean-Jacques bambino asseconda il padre nel culto della madre defunta; con lui fa l'apprendistato della lettura, romanzi soprattutto, fino a che Isaac è costretto a lasciare Ginevra, senza potere portare con sè i propri figli: il piccolo mondo ginevrino crolla.
Fughe e viaggi
Allevato fin dall'età di dieci anni presso il ministro del culto Lambercier, apprende l'ingiustizia delle sculacciate non meritate; studiando presso un usciere, a dodici anni, sa che non farà mai l'impiegato; apprendista presso un incisore scappa, a quindici anni, per una prima fuga. Deciso a convertirsi alla religione cattolica, è accolto ad Annecy presso M.me de Warens: la chiamerà sempre "maman" e l'amore per questa donna più anziana di Jean-Jacques - ma non aveva che trent'anni! - costituirà il punto di riferimento per gli amori ipergamici letterari francesi (Tracce si rinvengono in M.me de Ràªnal e nella Sanseverina della Certosa di Parma di Stendhal, nella Donna di trent'anni di Balzac, nella M.me Arnoux dell'Educazione sentimentale di Flaubert).
M.me de Warens lo invia ben presto all'Ospizio dei Catecumeni di Torino per esservi battezzato. Dopo essere stato, senza successo, segretario di alcune signore della città italiana (tra queste la Sig.ra di Vercelli), riprende la strada fuori, fuori dalle città , in perenne rottura, in una eterna bohème (il tema dell'erranza, della natura, della campagna, contrapposte alla stasi e alla corruzione delle città sarà centrale in Rousseau). Ancora uno scacco, il seminario, che abbandona, ed una passione che lo cattura: la musica. Non si fermerà molto nemmeno presso il coro della cattedrale di Annecy, ma continuerà a cantare e comporre. Nuove strade, nuovi viaggi, lungo gli anni 1730 -1731, infine raggiunge Parigi, per esserne infinitamente deluso (non gli propongono - ad un uomo orgoglioso che sa di essere Jean-Jacques Rousseau e che soffre del complesso del roturier, del plebeo - che un posto di servo), e ritornare presso "maman", nei pressi di Chambèry, che lo accoglie nel suo cenacolo, nel 1733. Da pseudo-madre essa
gli diventa amante, per quattro anni: ma nel 1737 trascura Jean-Jacques per un altro, pur lasciandogli la sua proprietà , Charmettes, con la sua biblioteca.
Da Lione alla Parigi dei Lumi. Il noviziato letterario
Immerso nella solitudine fa letture di ogni tipo: filosofia, romanzi, trattati di matematica, il giovane Jean-Jacques divora ogni genere di libro. Abita per un anno a Lione, diventa precettore, è licenziato, ma ha già scritto una prima bozza dell'Emilio: teoria e pratica non coincidono sempre, in Rousseau ancor meno. Nuova solitudine alle Charmettes, nuovi tentativi, delle epistole, un libretto d'Opera, l'elaborazione di un nuovo sistema di annotazione musicale, prima di ripartire per Parigi nella speranza di trovarvi il successo. Incontra Fontenelle e ne prende lezioni di morale, Marivaux con l'aiuto del quale corregge i libretti d'opera. Di Rameau segue i consigli di teoria musicale, con Diderot gioca a scacchi. Rousseau s'impadronisce molto rapidamente della Parigi dei Lumi. Precettore dei figli di un consigliere del re, s'innamora, ancora una volta, della padrona di casa. Si vede nuovamente licenziato, cade malato, e trova, finalmente, nel 1742, un posto di segretario presso l'ambasciatore di Francia a Venezia. Nuovi fiaschi: le donne («Senti Zaneto, lascia star le donne e studia la matematica!», vedi le Confessioni), la diplomazia del piccolo cabotaggio, l'incontro stordente col bel canto e la musica italiana. Ma l'ambasciatore è irritato dalle pretese del suo assistente. Rousseau è di ritorno a Parigi l'anno successivo: la gloria tarda ad arrivare. Ingaggiato per adattare alla musica di Rameau un libretto di Voltaire, le Feste di Ramira, è ferito dalla freddezza mostratagli dall'autore e dalle resistenze frappostegli al suo lavoro di riscrittura che poi Rameau porterà a termine. Ancora solitudine: lega allora il suo destino a quello di una serva di ventitre anni, di dieci più giovane, Thèrèse Levasseur, che più tardi diventerà sua moglie e che sarà la mansueta e fedele moglie di tutta la vita.
L'impresa dell'Enciclopedia
A fianco di Diderot, di d'Alembert e di Condillac, partecipa alla lotta filosofica ed all'elaborazione dell'Enciclopedia, dove lavora come segretario e documentarista. Ma il suo apporto sarà marginale e in senso stretto Rousseau non puó definirsi un "enciclopedista". Studia chimica. Partecipa ad alcune feste dove le Gran Dame si giocano di lui , mentre Thèrèse partorisce un bambino che i Rousseau abbandoneranno senza rammarico, come anche gli altri quattro che seguiranno. Fin dal 1747, Diderot gli affida la redazione degli articoli dell'Enciclopedia riguardanti la musica, e, nel 1749, Rousseau si impegna risolutamente a fianco del suo amico imprigionato a Vincennes nella sua battaglia contro i falsi poteri. àˆ in questo torno di tempo che apprende che l'Accademia di Digione propone come tema da trattare, per il premio dell'anno 1750, di determinare se il progresso delle arti ha contribuito a corrompere o a purificare i costumi. «Al momento di questa lettura, afferma nelle Confessioni, vedo un altro universo e divento un altro uomo». Si affretta a redigere, nel suo Discorso sulle scienze e le arti, una requisitoria vibrante contro la Storia, che, nel suo corso implacabile, respinge il mondo della povertà e nasconde i privilegi scandalosi dei potenti sotto la maschera delle arti e delle scienze. Prende avvio qui la polemica antintellettualistica e anticulturale di Rousseau. Scriverà : «Popoli, sappiate dunque una buona volta che la natura ci ha voluto preservare dalla scienza, come una madre strappa un'arma pericolosa dalle mani del suo figliolo; che tutti i segreti che essa ci nasconde sono altrettanti mali da cui ci garantisce, e che la pena che voi incontrate nell'istruirvi non è il minore dei suoi benefici. Gli uomini sono perversi, ma sarebbero peggiori, se avessero avuto la disgrazia di nascere dotti». Consegue il premio, è pubblicato, un successo: accede infine alla gloria. Nel frattempo litiga con D'Alembert cui contesta la voce "Ginevra" dell'Enciclopedia, e abbandona l'impresa.
Il "cittadino di Ginevra"
Malato nuovamente tende a isolarsi, lascia i suoi protettori, si fa copista di musica e compone in alcuni giorni un'opera, L'indovino del villaggio (1752), dove canta l'amore impossibile nella menzogna delle città . Il pubblico è entusiasta, e Rousseau se ne preoccupa. Rifiutando di essere presentato al re, fa ingresso a corte, per la prima dell'Indovino, travestito con una barba e una buffa parrucca. àˆ riassicurato tuttavia dal fallimento della prima opera che aveva scritto, Narciso o l'Amante di se stesso - (1752), rappresentato in forma anonima. Anche nell'ambivalenza dei comportamenti verso lo "spettacolo", Rousseau, manifesta, alla sua maniera fortemente contraddittoria, il suo pensiero ricco di umori. Ritiene che gli spettacoli siano fonte di corruzione degli animi e dei costumi (come più tardi i romanzi), ma non resisterà a scrivere testi per spettacoli e più tardi romanzi. àˆ attratto dalla verità e sincerità della natura e della campagna, ma è alla menzognera e artificiale città che chiederà riconoscimenti e gloria...e scriverà un trattato di pedagogia l'uomo che aveva abbandonato i propri figli.
Per completare il quadro provocatorio del suo pensiero, prende posizione contro la musica francese affermando che al contrario degli italiani i francesi «non hanno affatto musica», e forse aveva ragione se l'inglese Burney negli stessi anni poteva affermare, alludendo alla musica spettacolare di Lully, che è «Un paradiso per gli occhi, un inferno per gli orecchi»
Nel 1755, il suo Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini in risposta a un nuovo concorso indetto dall'Accademia di Digione (che non vincerà ), gli permette di andare ancora più lontano: la differenza naturale degli uomini non spiega affatto la loro disuguaglianza sociale, è la storia che li rende disuguali, non la loro natura. L'uomo in natura è libero, è in società che è in catene. Colui che tracciando un segno per terra disse: «Questo è mio», aveva posto d'emblèe il fondamento della società e della disuguaglianza. Questo Discorso prepara i temi del Contratto sociale.
Il "cittadino di Ginevra", come gli piace firmare, torna allora nel suo paese, abiura dal cattolicesimo per ritornare all'austerità calvinista, ma raggiunge di nuovo Parigi nel 1754 per fare pubblicare il suo Discorso. Voltaire già attaccato nel 1750, ed anch'egli cittadino ginevrino, lo sfotte meschinamente, lo tratta da cinico, da misantropo, e dileggia il suo orgoglio.
Nei fatti lo scontro tra i due è spia di qualcosa di più di una semplice insofferenza reciproca. Voltaire è immerso negli splendori del proprio tempo (vedi Le mondain) quanto Rousseau è con gli occhi rivolti all'indietro, verso le prische virtù dei romani, se non verso un ipotetico e ferino stato di natura (Voltaire gli scriverà : «Signore, vien voglia di camminare a quattro zampe quando si legge la vostra opera»). Voltaire ha appreso la lezione liberale inglese, Rousseau insegue i miti della democrazia diretta degli Antichi. Voltaire guarda al futuro, Rousseau al passato. Voltaire sposa le forme eleganti e raggelate del classicismo, dove l'intelligenza è esercitata con sovrana ironia, Rousseau è avvolto dalle spire di un sentimentalismo tangeroso, romantico e disperato che tutto passa nel suo inconfondibile stile. L'estensore anonimo della lettera-pamphlet al Doct. Pansophe (forse lo stesso Voltaire) andrà giù piatto, destando in Rousseau l'ossessione del complotto: « Giudizioso ammiratore della bestialità e della brutalità dei selvaggi - scrive - voi avete gridato contro le scienze e coltivato le scienze. Voi avete trattato gli autori e i filosofi da ciarlatani e, per provare con l'esempio, siete stato autore. Voi avete scritto contro la commedia con la devozione di un cappuccino e avete fatto delle cattive commedie. Voi avete scribacchiato un romanzo noioso dove un pedagogo suborna onestamente la sua allieva insegnandole la virtù. Voi vi siete fatto il precettore di un Emilio che formate insensibilmente con mezzi impraticabili»
Spesso spaventato egli stesso dal suo radicalismo filosofico, regolarmente infelice per via del suo concubinaggio con Thèrèse (che sposerà soltanto il 30 agosto 1762, un mese dopo la morte di M.me de Warens), perde anche gli amici sempre più insofferenti della sua intransigenza. A Jean-Jacques non resta che chiudersi sempre più nella sua solitudine altera, diventare sempre più ció che è: Jean-Jacques, ma soprattutto esserlo per gli altri, con tutto il carico della propria disperata autenticità e con la catena delle proprie contraddizioni. àˆ stato scritto: «La sua personalità è qualcosa di distinto e di emergente dall'opera ma [...] essa conserverebbe integro il proprio significato e il proprio valore anche se l'opera fosse intellettualmente caduca» (De Ruggiero) Vero: caduca sotto più aspetti, eppure siamo qui ad occuparci di Jean-Jacques Rousseau.
Le tre grandi opere dell'eremita Rousseau
Lascia Parigi per meditare in campagna, non lontano da Montmorency, nell'eremo di M.me d'à‰pinay. Nel 1757, litiga con Diderot, che, nel Figlio naturale, stigmatizza gli eremiti ed afferma che "l'uomo retto vive in società ". Lo stesso anno, è agitato da un amore infelice e terribile per M.me d'Houdetot (che si supporrà essere il modello di Julie de La nuova Eloisa), ma abbandona il campo dinanzi alla passione del suo amico Saint-Lambert per la giovane donna, e lascia l'eremo per andare a vivere nei pressi, a Montlouis, in una casa in rovina, con Thèrèse. Di nuovo ridotto in solitudine, si oppone a d' Alembert nella sua Lettera a d' Alembert sugli spettacoli (1758), sostenendo che il teatro asseconda le cattive inclinazioni degli uomini e non puó portarli alla virtù. Il successo di questa Lettera induce M.de Lussemburgo ad interessarsi delle sue condizioni e a fargli ristrutturare con ogni comfort il suo buon ritiro di Montlouis una dipendenza del castello di Montmorency, dove scrive l' Emilio, Il contratto sociale e Giulia o la Nuova Eloisa.
A partire dal 1756, per cinque anni, lavora al romanzo epistolare Giulia o la Nuova Eloisa, che gli permette di rappresentare, attraverso la passione di Julie e di Saint-Preux, la distanza tra l'amore scritto, letto, e l'amore vissuto; tra l'amore puro, assoluto, e la sua realizzazione sociale. Nel 1761, all'atto della pubblicazione, tutta Parigi si infiamma e versa lacrime nel constatare lo scarto delle passioni: Gliulia o la Nuova Eloisa costituirà per oltre un secolo il romanzo più letto e più venduto, e segnerà nella storia del sentimento amoroso occidentale una data spartiacque. Oggi possiamo leggerlo solo come un documento storico (perso è in gran parte il fascino che invece promana dal romanzo epistolare perfetto, Le relazioni pericolose di Laclos). Tuttavia da esso discenderanno i Sorel, Werther, gli Ortis, gli Adolphe, i Renè, quel modo nuovo di amare, di vivere la passione amorosa, dove, alla concezione sensuale e distaccata, galante e gelida del sentimento aristocratico, succede quella appassionata e "romantica" del ceto borghese in ascesa. Il romanzo si connette anche al risentito mondo morale del filosofo Jean-Jacques. L'amore contrastato fra Julie e Saint- Preux è tale anche per l'incolmabile divario sociale: lei è nobile e lui non altro che un istitutore ("No, basta. Ancora valletto?" Esclamerà Jean-Jacques nelle Confessioni). Puó darsi che oggi il differenziale di classe o di reddito non costituisca un impedimento al libero dispiegarsi del sentimento amoroso - e se è così lo è anche grazie al sentimentalismo democratico di Rousseau, se non è così ancora una volta s'è illuso e ci ha illusi Rousseau - ma ai tempi di Rousseau e degli istitutori Hegel e Wilhelm Schlegel solo per fare qualche esempio ( a cui occorrerà aggiungere il precettore Julien Sorel de "Il rosso e il nero") era un ostacolo insormontabile, fonte di risentimento sociale da una parte e di rabbiosa esclusione classista dall'altra.
L'Emilio, scritto dal 1758 a 1762, è un trattato pedagogico che si avvale delle lunghe esperienze di precettore fatte da Rousseau. Vi sostiene che occorre preparare soprattutto un futuro cittadino alla virtù, ma che la virtù non è possibile senza una società equa. Affermando che il bambino già possiede la giusta legge naturale e che si tratta di rivelargliela senza rudezza, trasforma l'insegnante in un amico e fa del vicario savoiardo un uomo di fede che apre il bambino a dio, in piena libertà .
Il contratto sociale
Alla società corrotta Rousseau oppone Il Contratto sociale (1762), con il quale intende rovesciare i pensieri politici: "(..) trovare un modulo d'associazione che difenda e protegga con tutta la forza possibile la persona ed i beni di ogni socio, e per la quale ciascuno unendosi a tutti non obbedisca tuttavia che soltanto a se stesso e resti così libero come prima". àˆ nell'ambito della dottrina giusnaturalistica (Grozio, Pufendorf, Hobbes) che Rousseau fonda la sua dottrina sociale. Il Lanson ha scorto una triade dialettica nel Contratto: lo stato di natura la tesi, l'antitesi lo stato sociale, la sintesi il contratto. Una volta che gli uomini sottoscrivono il patto sociale differiscono alla sovranità tutta la propria volontà e libertà . La sovranità così costituita, non essendo che l'esercizio della volontà generale , non puó essere alienata, nè divisa. E se qualcuno non è d'accordo? Non è possibile che qualcuno non sia d'accordo quando è tutto il suo bene che la collettività promuove. Il dissenziente non è previsto nello stato roussoviano: che sia allontanato o messo a morte. « Pur non obbligando nessuno a credergli, puó bandire dallo stato chiunque non vi creda; puó bandirlo non come empio, ma come asociale. Che, se qualcuno, dopo aver riconosciuto pubblicamente questi dogmi, si comporta come se non vi credesse, sia punito a morte; egli ha commesso il più grande dei delitti: ha mentito dinanzi alla legge». Fatte salve le buone intenzioni, nei fatti, è il certificato di nascita della democrazia totalitaria. (J.L.Talmon). La democrazia, ci hanno insegnato gli inglesi, non è come costruire il consenso, ma come gestire il dissenso, non fondare una maggioranza, ma prevedere un'opposizione.
Gli autodafè e il complotto Le Confessioni
Dinanzi al successo, allo scandalo e alla malattia, è tempo per Rousseau di fare il bilancio della propria vita. Tenta di riparare al proprio comportamento nei confronti dei suoi cinque bambini abbandonati cercando di riconoscerli, innanzitutto; assicurandosi che Thèrèse abbia sempre di che vivere, in seguito. Ma arriva a considerare che il mondo intero complotta per perderlo. Al limite della paranoia, nella sua sempre più nevrotica personalità , giunge la presunta persecuzione della "cricca di d'Holbach", fonte di insanabile dolore negli ultimi anni.
Infatti, la violenza delle sue opinioni religiose e politiche preoccupa sempre più i suoi protettori ed amici che si sfilano rapidamente e lo tengono distante. Lo stesso Malesherbes - suo entusiasta ammiratore e direttore della Censura, non è più in grado di difenderlo. La corte e le istituzioni religiose tuonano, il Parlamento condanna l'Emilio a essere strappato e bruciato e Rousseau a essere arrestato. Occorre fuggire da Parigi, la Svizzera. Il principato prussiano di Neuchà¢tel lo accoglie a Mà´tiers-Travers e Federico II gli garantisce la sua protezione, mentre l'Europa cattolica e calvinista, dalla Sorbona a Roma, ad Amsterdam, condanna le sue tesi e brucia i suoi lavori. Ginevra lo respinge: Rousseau si dimette dai suoi diritti di borghese e di cittadino della Repubblica calvinista e, in nome di un cristianesimo tollerante, si difende, nel 1764, con le sue Lettere scritte dalla montagna contro tutti coloro che censurano l'Emilio. Redige nel 1764 un Progetto di costituzione per la Corsica, su richiesta di emissari venuti dall'isola, dove tuttavia nessuno leggerà il suo lavoro sulla democrazia contadina. Voltaire colpisce ancor più: rivela l'abbandono dei cinque bambini di Rousseau alla ruota; gli dà del sedizioso, cosa che avrà per effetto di mettere all'indice le sue Lettere scritte dalla montagna. Cacciato da Mà´tiers, esiliato nell'isola San Pietro, sul lago di Bienne, gli resta la botanica, la scrittura e l'autobiografia: saranno le Confessioni. Libro indimenticabile, vero romanzo di una vita quando invece pretende d'essere solo il racconto sincero di un'intera esistenza, che non ha davvero uguali. Intus et in cute porta in esergo il grosso libro, e mai così "dentro e sulla pelle" ha colpito, come in quest'uomo, il dolore di vivere. Il racconto di una vita: la fiera attestazione di un'esistenza come nessun'altra condotta tra sentimento e ragione. «Due cose quasi inconciliabili - scrive qui - si uniscono in me, senza che io possa concepirne il modo: un temperamento ardentissimo, delle passioni vive e impetuose, e delle idee lente a nascere, imbarazzate, le quali non si presentano che après coup. Si direbbe che il mio cuore e il mio intelletto non appartengano allo stesso individuo». àˆ l'enigma Rousseau: passione commista a ragione, sensibilità quasi femminea saldata a una acuta logica (arricchita da tutte le astuzie retoriche di uno stile haletant quasi sempre teso a colpire più l'immaginazione che l'intelletto), ragione imbevuta di sentimento. Ma, anche, è il momento dell'epopea personale, di un uomo che ha guadagnato la considerazione del mondo, dell'aristocrazia, delle teste coronate, con la sola forza del pensiero, da semplice valletto che era. Un modello per tutti i sognatori, i dèracinès, i malnati. (Julien Sorel porta sempre al seguito, come talismano, le Confessioni di Rousseau)
Ritorno a Parigi. Epilogo
Espulso dalla sua isola, erra nuovamente, tra Strasburgo, che lo festeggia nel 1765 e Parigi, che deve tuttavia lasciare (nella sua condizione di proscritto non puó dare all'occhio). Raggiunge l'Inghilterra, dove moltiplica gli incidenti nonostante la buona volontà degli inglesi e di Hume che lo ospita. Sente attorno a sè stringersi il "complotto", paventa i rischi reali ed immaginari di indagini poliziesche, teme le offese dei nemici di sempre, la cricca di d'Holbach. Ritorna infine a Parigi nel 1770, dopo avere errato quasi due anni in Francia sotto falsa identità . Si stabilisce un tacito accordo con le autorità : se non pubblica non è perseguito. Allora si dà al suo vecchio lavoro di copista, mai abbandonato, compone delle canzoni, scrive lettere sulla botanica e redige un lavoro politico destinato a salvare la Polonia smembrata, istruisce il processo dei suoi detrattori, i suoi vecchi amici. Le letture in pubblico delle Confessioni, nei salotti parigini, colpiscono a tal punto che M.me d'à‰pinay riesce a farle proibire. Termina Rousseau giudice di Jean-Jacques nel 1776, e compone, per frammenti, Le fantasticherie di un passeggiatore solitario, testo che rimarrà incompiuto.
Stanco di Parigi, dove vede con piacere solamente Bernardin de Saint-Pierre, accetta l'invito del marchese di Girardin a Ermenonville. Esausto, deluso e sempre perseguitato, passeggia, erborizza, riprende la redazione delle Fantasticherie, muore tra le braccia di Thèrèse, il 2 luglio 1778, non senza avere appreso, due mesi prima, la morte del suo grande nemico Voltaire.
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Il contratto sociale, Jean-Jacques Rousseau Ordina da iBS Italia
Il classico di Jean-Jacques Rousseau, assunto dai giacobini a riferimento teorico e accusato da liberali e critici della rivoluzione francese di essere l'ispiratore della "democrazia totalitaria", viene qui proposto con traduzione di Jole Bertolazzi, introduzione di Alberto Burgio e note di Andrea Marchili.
Emilio, Jean-Jacques Rousseau Ordina da iBS Italia
Insieme al "Contratto sociale" "Emilio" è l'opera più famosa e diffusa di Jean-Jacques Rousseau. A distanza di oltre due secoli dalla pubblicazione, avvenuta nel 1762, il testo risulta ancora attuale e la necessità - espressa dal filosofo - di difendere la naturalità dell'uomo dalle sovrastrutture che minacciano di soffocarlo universalmente riconosciuta.
La nuova Eloisa (1761)
Romanzo di J.-J. Rousseau in forma epistolare (Il titolo completo è: Julie, o la nuova Eloisa, lettere di due amanti abitanti di una cittadina ai piedi delle Alpi) || L'azione si svolge in Svizzera, sulle rive del lago Lemano. Attraverso la corrispondenza tra Julie d'Etanges, il suo precettore Saint Preux e la cugina di Julie, Claire, si delinea la storia di una passione. Saint Preux si è accorto di amare l'allieva e vorrebbe rinunciare all'incarico di precettore: mai infatti il padre di Julie acconsentirà a farle sposare un uomo senza fortuna e senza nobiltà . Ma anche Julie lo ama, invano ammonita dalla saggia Claire. Dopo un tentativo di separazione, Saint Preux si stabilisce a Meillerie, sui monti, di fronte alla cittadina di Julie e i due giovani si incontrano segretamente. Claire stessa richiama Saint Preux. Un inglese, Lord Bomston, col quale Saint Preux si è legato di stretta amicizia, cerca di perorare la causa di Julie presso suo padre, la cui reazione è peró tanto violenta da costringere Saint Preux a partire. Julie, passato qualche tempo, accetta, col consenso di Saint Preux, il marito propostole dal padre, M. de Wolmar, che l'ama da tempo. A Clarens, accanto al marito, è serena. Nascono due figli. M. de Wolmar invita Saint Preux a vivere con loro. Dopo una lunga lotta per non soccombere alla passione Saint Preux parte. Interviene peró un incidente: durante una passeggiata il figlio di Julie cade nel lago. La madre si butta nell'acqua, lo salva ma si ammala gravemente. Richiamato da Claire, Saint Preux accorre e, prima di morire, Julie gli chiede di rimanere nella sua casa per occuparsi dell'educazione dei suoi figli.
Fonte della voce: Enciclopedia della Letteratura Garzanti (III ed. - 1997)
Le confessioni (1782-89)
Romanzo autobiografico di → J.J. Rousseau || Sin dalle pagine iniziali dell'opera l'autore dichiara di voler tracciare, attraverso le sue memorie, un ritratto di se stesso il più possibile fedele alla verità . Con le miserie e le debolezze, riscoperte attraverso un impietoso esame di coscienza, i dodici libri che compongono l'opera rievocano, inoltre, i momenti felici del passato che Rousseau racconta, convinto di poterne, in questo modo, attuare il recupero. Il libro i comincia con la nascita e si conclude con la fuga di Rousseau sedicenne da Ginevra, per evitare il lavoro d'incisore. I libri seguenti (ii-iv) narrano le peregrinazioni successive alla fuga: recatosi ad Annecy, il giovane Rousseau incontra la donna destinata ad esercitare sulla sua vita un'influenza sempre più grande, Madame de Warens, che si preoccupa di favorire le sue inclinazioni per gli studi e la sua passione per la musica.
Ma la vita avventurosa del giovane Rousseau riprende; durante un'assenza improvvisa della sua protettrice, infatti, è costretto a girare di città in città ; nel 1731 fa, comunque, ritorno presso Madame de Warens, la quale, trasferitasi nel frattempo a Chambèry, lo invita ad accettare per alcuni mesi un lavoro di segretario al catasto della casa reale di Savoia.
Sensibilmente diversa nel tono e nel contenuto è la seconda parte dell'opera, per quanto concepita, dal punto di vista cronologico, come una continuazione della precedente: la prima parte costituisce, infatti, l'autobiografia degli anni compresi tra il 1712 e il 1741, la seconda quella degli anni tra il 1741 e il 1765. Con il libro vii Rousseau intraprende la ricostruzione dei suoi rapporti con la società parigina, con la vita intellettuale e mondana dell'epoca, a partire dal suo arrivo nella capitale francese. Rousseau frequenta il salotto di Madame Dupin e alcuni scrittori, tra i quali Diderot. Al libro viii corrisponde l'epoca dei primi successi letterari e musicali di Rousseau e, con essi, delle prime inimicizie che egli avverte nel mondo degli intellettuali con cui via via entra in contatto. Rousseau acconsente allora ad installarsi con Thèrèse Lavasseur (una giovane di umili origini dalla quale ha avuto un figlio poi abbandonato all'orfanotrofio) all'Ermitage, una piccola dimora appartenente all'amica Madame d'Epinay, vicino alla foresta di Montmorency. Qui, lontano dalla società parigina, i cui vizi suscitano la sua indignazione, sembrano crearsi, come l'autore racconta nel libro ix, le condizioni ideali perchè possa lavorare alle diverse opere filosofiche (il Contratto sociale e l'Emilio) e letterarie (il romanzo La Nuova Eloisa) la cui genesi risale a quell'epoca. Ma si deteriorano ben presto, oltre ai rapporti con Diderot, e soprattutto con l'amico di questi, Grimm, anche quelli con Madame d'Epinay. Al periodo trascorso abitando con Thèrèse in un padiglione isolato della residenza del maresciallo di Lussemburgo a Montmorency e frequentando personaggi illustri dell'epoca, ospiti del maresciallo, Rousseau dedica il libro x. I libri xi e xii con cui si chiude l'opera rievocano, invece, il rapido susseguirsi di avvenimenti che coinvolgono l'autore a solo un anno dal vivo successo che accompagna la pubblicazione della Nuova Eloisa nel 1761. L'Emilio, apparso nel maggio del 1762, un mese dopo il Contratto sociale, viene infatti confiscato e denunciato dalla polizia, poi condannato dal Parlamento. Rousseau, sul quale pesa un decreto d'arresto, è obbligato a fuggire dalla Francia; si rifugia, allora, a Mà´tiers-Travers, nel principato di Neuchà¢tel appartenente alla Prussia, dove Thèrèse lo raggiunge e dove, almeno inizialmente, puó condurre una vita calma e ritirata che gli consente di iniziare a scrivere le sue memorie grazie all'appoggio di George Keith, maresciallo di Scozia che governa il paese in nome di Federico ii. Ma dopo la partenza di quest'ultimo, scosso da nuove polemiche e dall'ostilità della popolazione del luogo, Rousseau lascia Mà´tiers per l'isola di Saint-Pierre sul lago di Bienne; rifugio che non tarda a rivelarsi ancora più precario del precedente, poichè, dopo solo due mesi, su ordine del senato di Bienne, Rousseau si vede costretto a riprendere la strada dell'esilio.
Fonte della voce: Enciclopedia della Letteratura Garzanti (III ed. - 1997)
"La nuova Eloisa è un romanzo filosofico in cui Rousseau dibatte in modo aperto se sia più giusto abbandonarsi alla pura passione amorosa, sacra espressione della natura e dunque inalienabile diritto dell'individuo, oppure tenere più conto delle convenzioni sociali, solido fondamento della convivenza umana. Giulia d'Etange, figlia unica di una famiglia di nobili origini, ama il suo giovane precettore, Saint-Preux, dotato delle più belle qualità dell'anima, ma povero e inferiore socialmente. Saint-Preux è l'amore-passione. Dall'altra parte c'è Wolmar, uomo ricco e solido, vecchio amico del padre di Giulia che promette un sicuro vincolo coniugale. Da questa vicenda si snodano, come in una serie di cerchi concentrici, i grandi temi del pensiero di Rousseau: la teoria delle passioni quale fondamento della teoria morale, e la prefigurazione, attraverso la descrizione della comunità di Clarens, del complesso intreccio tra autoritarismo ed egualianza; la concezione della donna come moglie e come madre sulla base del principio di una radicale differenza dei sessi, e il progetto pedagogico dell'educazione naturale e domestica, che sarà compiutamente tratteggiata nell'Emilio; come pure il tema dell'interiorità e della solitudine che ispirerà , a partire dalle ""Confessioni"", gli scritti autobiografici. L'introduzione di Elena Pulcini (autrice di ""Amour-passion e amore coniugale"", 1990) illumina tutte questa tematiche."
Romanzo o diario? Fantasticazione romanzesca o registrazione meticolosa della realtà ? Ricerca del tempo perduto o ripensamento per l'avvenire? Lettera ai contemporanei o messaggio per i posteri? Pubblicate pustume nel 1781, "Le confessioni" di Rousseau diedero luogo, dalle prime letture pubbliche agli amici fino ad oggi, alle più disparate e contraddittorie interpretazioni. In queste pagine Rousseau, ripercorrendo le tappe della propria formazione morale e spirituale, racconta "con natura e verità " la propria vita, senza nasconderne gli aspetti negativi e i lati oscuri: l'infanzia trascorsa con il padre tra letture romantiche e appassionate, l'incontro con la signora Warens, amante e insieme dolce figura materna, la conversione al cattolicesimo, gli amori e il difficile rapporto con le donne, i viaggi a Venezia e a Parigi, gli scontri con gli enciclopedisti e le polemiche con Voltaire, la fuga disperata in Inghilterra e il ritorno a Parigi e, infine, la bruciante delusione della lettura delle "Confessioni" ad un gruppo di intimi. Testimonianza di una vita romazesca e contraddittoria, "Le confessioni" riassumono i temi fondamentali dell'ideologia di un autore che ha esercitato uno straordinario influsso sul pensiero e la sensibilità dei moderni.
Letterato, musicista e filosofo ginevrino (Ginevra, 1712 - Ermenonville, 1778).
Passeggiatore solitario, Rousseau pensa e passeggia, e lascia che il suo pensiero si sviluppi spontaneamente nella natura che percorre, che si formi di fronte alla società che fugge e di cui teme il peggio. Alla ricerca perpetua di un riposo impossibile, il suo spirito si infiamma, sensibile ed appassionato, rigoroso e risentito. Non potendo proporre al mondo nient'altro che una rottura radicale, si vedrà respinto e rinviato al suo Io, alle sue lacrime ed alla sua austera virtù. «Rousseau non ha inventato nulla, ma ha infiammato tutto», scriverà la sua concittadina M.me de Staà«l.
Infanzia
àˆ a Ginevra, repubblica indipendente, in mezzo a cittadini austeri, calvinisti e fieri delle proprie prerogative, che Jean-Jacques Rousseau viene al mondo. Nasce il 28 giugno 1712 sotto il segno della musica e del ritmo per parte di padre, Isaac, orologiaio, violinista e maestro di danza e sotto quello della sensibilità e del tragico per parte di madre, Suzanne, che muore mettendolo al mondo. Jean-Jacques bambino asseconda il padre nel culto della madre defunta; con lui fa l'apprendistato della lettura, romanzi soprattutto, fino a che Isaac è costretto a lasciare Ginevra, senza potere portare con sè i propri figli: il piccolo mondo ginevrino crolla.
Fughe e viaggi
Allevato fin dall'età di dieci anni presso il ministro del culto Lambercier, apprende l'ingiustizia delle sculacciate non meritate; studiando presso un usciere, a dodici anni, sa che non farà mai l'impiegato; apprendista presso un incisore scappa, a quindici anni, per una prima fuga. Deciso a convertirsi alla religione cattolica, è accolto ad Annecy presso M.me de Warens: la chiamerà sempre "maman" e l'amore per questa donna più anziana di Jean-Jacques - ma non aveva che trent'anni! - costituirà il punto di riferimento per gli amori ipergamici letterari francesi (Tracce si rinvengono in M.me de Ràªnal e nella Sanseverina della Certosa di Parma di Stendhal, nella Donna di trent'anni di Balzac, nella M.me Arnoux dell'Educazione sentimentale di Flaubert).
M.me de Warens lo invia ben presto all'Ospizio dei Catecumeni di Torino per esservi battezzato. Dopo essere stato, senza successo, segretario di alcune signore della città italiana (tra queste la Sig.ra di Vercelli), riprende la strada fuori, fuori dalle città , in perenne rottura, in una eterna bohème (il tema dell'erranza, della natura, della campagna, contrapposte alla stasi e alla corruzione delle città sarà centrale in Rousseau). Ancora uno scacco, il seminario, che abbandona, ed una passione che lo cattura: la musica. Non si fermerà molto nemmeno presso il coro della cattedrale di Annecy, ma continuerà a cantare e comporre. Nuove strade, nuovi viaggi, lungo gli anni 1730 -1731, infine raggiunge Parigi, per esserne infinitamente deluso (non gli propongono - ad un uomo orgoglioso che sa di essere Jean-Jacques Rousseau e che soffre del complesso del roturier, del plebeo - che un posto di servo), e ritornare presso "maman", nei pressi di Chambèry, che lo accoglie nel suo cenacolo, nel 1733. Da pseudo-madre essa
gli diventa amante, per quattro anni: ma nel 1737 trascura Jean-Jacques per un altro, pur lasciandogli la sua proprietà , Charmettes, con la sua biblioteca.
Da Lione alla Parigi dei Lumi. Il noviziato letterario
Immerso nella solitudine fa letture di ogni tipo: filosofia, romanzi, trattati di matematica, il giovane Jean-Jacques divora ogni genere di libro. Abita per un anno a Lione, diventa precettore, è licenziato, ma ha già scritto una prima bozza dell'Emilio: teoria e pratica non coincidono sempre, in Rousseau ancor meno. Nuova solitudine alle Charmettes, nuovi tentativi, delle epistole, un libretto d'Opera, l'elaborazione di un nuovo sistema di annotazione musicale, prima di ripartire per Parigi nella speranza di trovarvi il successo. Incontra Fontenelle e ne prende lezioni di morale, Marivaux con l'aiuto del quale corregge i libretti d'opera. Di Rameau segue i consigli di teoria musicale, con Diderot gioca a scacchi. Rousseau s'impadronisce molto rapidamente della Parigi dei Lumi. Precettore dei figli di un consigliere del re, s'innamora, ancora una volta, della padrona di casa. Si vede nuovamente licenziato, cade malato, e trova, finalmente, nel 1742, un posto di segretario presso l'ambasciatore di Francia a Venezia. Nuovi fiaschi: le donne («Senti Zaneto, lascia star le donne e studia la matematica!», vedi le Confessioni), la diplomazia del piccolo cabotaggio, l'incontro stordente col bel canto e la musica italiana. Ma l'ambasciatore è irritato dalle pretese del suo assistente. Rousseau è di ritorno a Parigi l'anno successivo: la gloria tarda ad arrivare. Ingaggiato per adattare alla musica di Rameau un libretto di Voltaire, le Feste di Ramira, è ferito dalla freddezza mostratagli dall'autore e dalle resistenze frappostegli al suo lavoro di riscrittura che poi Rameau porterà a termine. Ancora solitudine: lega allora il suo destino a quello di una serva di ventitre anni, di dieci più giovane, Thèrèse Levasseur, che più tardi diventerà sua moglie e che sarà la mansueta e fedele moglie di tutta la vita.
L'impresa dell'Enciclopedia
A fianco di Diderot, di d'Alembert e di Condillac, partecipa alla lotta filosofica ed all'elaborazione dell'Enciclopedia, dove lavora come segretario e documentarista. Ma il suo apporto sarà marginale e in senso stretto Rousseau non puó definirsi un "enciclopedista". Studia chimica. Partecipa ad alcune feste dove le Gran Dame si giocano di lui , mentre Thèrèse partorisce un bambino che i Rousseau abbandoneranno senza rammarico, come anche gli altri quattro che seguiranno. Fin dal 1747, Diderot gli affida la redazione degli articoli dell'Enciclopedia riguardanti la musica, e, nel 1749, Rousseau si impegna risolutamente a fianco del suo amico imprigionato a Vincennes nella sua battaglia contro i falsi poteri. àˆ in questo torno di tempo che apprende che l'Accademia di Digione propone come tema da trattare, per il premio dell'anno 1750, di determinare se il progresso delle arti ha contribuito a corrompere o a purificare i costumi. «Al momento di questa lettura, afferma nelle Confessioni, vedo un altro universo e divento un altro uomo». Si affretta a redigere, nel suo Discorso sulle scienze e le arti, una requisitoria vibrante contro la Storia, che, nel suo corso implacabile, respinge il mondo della povertà e nasconde i privilegi scandalosi dei potenti sotto la maschera delle arti e delle scienze. Prende avvio qui la polemica antintellettualistica e anticulturale di Rousseau. Scriverà : «Popoli, sappiate dunque una buona volta che la natura ci ha voluto preservare dalla scienza, come una madre strappa un'arma pericolosa dalle mani del suo figliolo; che tutti i segreti che essa ci nasconde sono altrettanti mali da cui ci garantisce, e che la pena che voi incontrate nell'istruirvi non è il minore dei suoi benefici. Gli uomini sono perversi, ma sarebbero peggiori, se avessero avuto la disgrazia di nascere dotti». Consegue il premio, è pubblicato, un successo: accede infine alla gloria. Nel frattempo litiga con D'Alembert cui contesta la voce "Ginevra" dell'Enciclopedia, e abbandona l'impresa.
Il "cittadino di Ginevra"
Malato nuovamente tende a isolarsi, lascia i suoi protettori, si fa copista di musica e compone in alcuni giorni un'opera, L'indovino del villaggio (1752), dove canta l'amore impossibile nella menzogna delle città . Il pubblico è entusiasta, e Rousseau se ne preoccupa. Rifiutando di essere presentato al re, fa ingresso a corte, per la prima dell'Indovino, travestito con una barba e una buffa parrucca. àˆ riassicurato tuttavia dal fallimento della prima opera che aveva scritto, Narciso o l'Amante di se stesso - (1752), rappresentato in forma anonima. Anche nell'ambivalenza dei comportamenti verso lo "spettacolo", Rousseau, manifesta, alla sua maniera fortemente contraddittoria, il suo pensiero ricco di umori. Ritiene che gli spettacoli siano fonte di corruzione degli animi e dei costumi (come più tardi i romanzi), ma non resisterà a scrivere testi per spettacoli e più tardi romanzi. àˆ attratto dalla verità e sincerità della natura e della campagna, ma è alla menzognera e artificiale città che chiederà riconoscimenti e gloria...e scriverà un trattato di pedagogia l'uomo che aveva abbandonato i propri figli.
Per completare il quadro provocatorio del suo pensiero, prende posizione contro la musica francese affermando che al contrario degli italiani i francesi «non hanno affatto musica», e forse aveva ragione se l'inglese Burney negli stessi anni poteva affermare, alludendo alla musica spettacolare di Lully, che è «Un paradiso per gli occhi, un inferno per gli orecchi»
Nel 1755, il suo Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini in risposta a un nuovo concorso indetto dall'Accademia di Digione (che non vincerà ), gli permette di andare ancora più lontano: la differenza naturale degli uomini non spiega affatto la loro disuguaglianza sociale, è la storia che li rende disuguali, non la loro natura. L'uomo in natura è libero, è in società che è in catene. Colui che tracciando un segno per terra disse: «Questo è mio», aveva posto d'emblèe il fondamento della società e della disuguaglianza. Questo Discorso prepara i temi del Contratto sociale.
Il "cittadino di Ginevra", come gli piace firmare, torna allora nel suo paese, abiura dal cattolicesimo per ritornare all'austerità calvinista, ma raggiunge di nuovo Parigi nel 1754 per fare pubblicare il suo Discorso. Voltaire già attaccato nel 1750, ed anch'egli cittadino ginevrino, lo sfotte meschinamente, lo tratta da cinico, da misantropo, e dileggia il suo orgoglio.
Nei fatti lo scontro tra i due è spia di qualcosa di più di una semplice insofferenza reciproca. Voltaire è immerso negli splendori del proprio tempo (vedi Le mondain) quanto Rousseau è con gli occhi rivolti all'indietro, verso le prische virtù dei romani, se non verso un ipotetico e ferino stato di natura (Voltaire gli scriverà : «Signore, vien voglia di camminare a quattro zampe quando si legge la vostra opera»). Voltaire ha appreso la lezione liberale inglese, Rousseau insegue i miti della democrazia diretta degli Antichi. Voltaire guarda al futuro, Rousseau al passato. Voltaire sposa le forme eleganti e raggelate del classicismo, dove l'intelligenza è esercitata con sovrana ironia, Rousseau è avvolto dalle spire di un sentimentalismo tangeroso, romantico e disperato che tutto passa nel suo inconfondibile stile. L'estensore anonimo della lettera-pamphlet al Doct. Pansophe (forse lo stesso Voltaire) andrà giù piatto, destando in Rousseau l'ossessione del complotto: « Giudizioso ammiratore della bestialità e della brutalità dei selvaggi - scrive - voi avete gridato contro le scienze e coltivato le scienze. Voi avete trattato gli autori e i filosofi da ciarlatani e, per provare con l'esempio, siete stato autore. Voi avete scritto contro la commedia con la devozione di un cappuccino e avete fatto delle cattive commedie. Voi avete scribacchiato un romanzo noioso dove un pedagogo suborna onestamente la sua allieva insegnandole la virtù. Voi vi siete fatto il precettore di un Emilio che formate insensibilmente con mezzi impraticabili»
Spesso spaventato egli stesso dal suo radicalismo filosofico, regolarmente infelice per via del suo concubinaggio con Thèrèse (che sposerà soltanto il 30 agosto 1762, un mese dopo la morte di M.me de Warens), perde anche gli amici sempre più insofferenti della sua intransigenza. A Jean-Jacques non resta che chiudersi sempre più nella sua solitudine altera, diventare sempre più ció che è: Jean-Jacques, ma soprattutto esserlo per gli altri, con tutto il carico della propria disperata autenticità e con la catena delle proprie contraddizioni. àˆ stato scritto: «La sua personalità è qualcosa di distinto e di emergente dall'opera ma [...] essa conserverebbe integro il proprio significato e il proprio valore anche se l'opera fosse intellettualmente caduca» (De Ruggiero) Vero: caduca sotto più aspetti, eppure siamo qui ad occuparci di Jean-Jacques Rousseau.
Le tre grandi opere dell'eremita Rousseau
Lascia Parigi per meditare in campagna, non lontano da Montmorency, nell'eremo di M.me d'à‰pinay. Nel 1757, litiga con Diderot, che, nel Figlio naturale, stigmatizza gli eremiti ed afferma che "l'uomo retto vive in società ". Lo stesso anno, è agitato da un amore infelice e terribile per M.me d'Houdetot (che si supporrà essere il modello di Julie de La nuova Eloisa), ma abbandona il campo dinanzi alla passione del suo amico Saint-Lambert per la giovane donna, e lascia l'eremo per andare a vivere nei pressi, a Montlouis, in una casa in rovina, con Thèrèse. Di nuovo ridotto in solitudine, si oppone a d' Alembert nella sua Lettera a d' Alembert sugli spettacoli (1758), sostenendo che il teatro asseconda le cattive inclinazioni degli uomini e non puó portarli alla virtù. Il successo di questa Lettera induce M.de Lussemburgo ad interessarsi delle sue condizioni e a fargli ristrutturare con ogni comfort il suo buon ritiro di Montlouis una dipendenza del castello di Montmorency, dove scrive l' Emilio, Il contratto sociale e Giulia o la Nuova Eloisa.
A partire dal 1756, per cinque anni, lavora al romanzo epistolare Giulia o la Nuova Eloisa, che gli permette di rappresentare, attraverso la passione di Julie e di Saint-Preux, la distanza tra l'amore scritto, letto, e l'amore vissuto; tra l'amore puro, assoluto, e la sua realizzazione sociale. Nel 1761, all'atto della pubblicazione, tutta Parigi si infiamma e versa lacrime nel constatare lo scarto delle passioni: Gliulia o la Nuova Eloisa costituirà per oltre un secolo il romanzo più letto e più venduto, e segnerà nella storia del sentimento amoroso occidentale una data spartiacque. Oggi possiamo leggerlo solo come un documento storico (perso è in gran parte il fascino che invece promana dal romanzo epistolare perfetto, Le relazioni pericolose di Laclos). Tuttavia da esso discenderanno i Sorel, Werther, gli Ortis, gli Adolphe, i Renè, quel modo nuovo di amare, di vivere la passione amorosa, dove, alla concezione sensuale e distaccata, galante e gelida del sentimento aristocratico, succede quella appassionata e "romantica" del ceto borghese in ascesa. Il romanzo si connette anche al risentito mondo morale del filosofo Jean-Jacques. L'amore contrastato fra Julie e Saint- Preux è tale anche per l'incolmabile divario sociale: lei è nobile e lui non altro che un istitutore ("No, basta. Ancora valletto?" Esclamerà Jean-Jacques nelle Confessioni). Puó darsi che oggi il differenziale di classe o di reddito non costituisca un impedimento al libero dispiegarsi del sentimento amoroso - e se è così lo è anche grazie al sentimentalismo democratico di Rousseau, se non è così ancora una volta s'è illuso e ci ha illusi Rousseau - ma ai tempi di Rousseau e degli istitutori Hegel e Wilhelm Schlegel solo per fare qualche esempio ( a cui occorrerà aggiungere il precettore Julien Sorel de "Il rosso e il nero") era un ostacolo insormontabile, fonte di risentimento sociale da una parte e di rabbiosa esclusione classista dall'altra.
L'Emilio, scritto dal 1758 a 1762, è un trattato pedagogico che si avvale delle lunghe esperienze di precettore fatte da Rousseau. Vi sostiene che occorre preparare soprattutto un futuro cittadino alla virtù, ma che la virtù non è possibile senza una società equa. Affermando che il bambino già possiede la giusta legge naturale e che si tratta di rivelargliela senza rudezza, trasforma l'insegnante in un amico e fa del vicario savoiardo un uomo di fede che apre il bambino a dio, in piena libertà .
Il contratto sociale
Alla società corrotta Rousseau oppone Il Contratto sociale (1762), con il quale intende rovesciare i pensieri politici: "(..) trovare un modulo d'associazione che difenda e protegga con tutta la forza possibile la persona ed i beni di ogni socio, e per la quale ciascuno unendosi a tutti non obbedisca tuttavia che soltanto a se stesso e resti così libero come prima". àˆ nell'ambito della dottrina giusnaturalistica (Grozio, Pufendorf, Hobbes) che Rousseau fonda la sua dottrina sociale. Il Lanson ha scorto una triade dialettica nel Contratto: lo stato di natura la tesi, l'antitesi lo stato sociale, la sintesi il contratto. Una volta che gli uomini sottoscrivono il patto sociale differiscono alla sovranità tutta la propria volontà e libertà . La sovranità così costituita, non essendo che l'esercizio della volontà generale , non puó essere alienata, nè divisa. E se qualcuno non è d'accordo? Non è possibile che qualcuno non sia d'accordo quando è tutto il suo bene che la collettività promuove. Il dissenziente non è previsto nello stato roussoviano: che sia allontanato o messo a morte. « Pur non obbligando nessuno a credergli, puó bandire dallo stato chiunque non vi creda; puó bandirlo non come empio, ma come asociale. Che, se qualcuno, dopo aver riconosciuto pubblicamente questi dogmi, si comporta come se non vi credesse, sia punito a morte; egli ha commesso il più grande dei delitti: ha mentito dinanzi alla legge». Fatte salve le buone intenzioni, nei fatti, è il certificato di nascita della democrazia totalitaria. (J.L.Talmon). La democrazia, ci hanno insegnato gli inglesi, non è come costruire il consenso, ma come gestire il dissenso, non fondare una maggioranza, ma prevedere un'opposizione.
Gli autodafè e il complotto Le Confessioni
Dinanzi al successo, allo scandalo e alla malattia, è tempo per Rousseau di fare il bilancio della propria vita. Tenta di riparare al proprio comportamento nei confronti dei suoi cinque bambini abbandonati cercando di riconoscerli, innanzitutto; assicurandosi che Thèrèse abbia sempre di che vivere, in seguito. Ma arriva a considerare che il mondo intero complotta per perderlo. Al limite della paranoia, nella sua sempre più nevrotica personalità , giunge la presunta persecuzione della "cricca di d'Holbach", fonte di insanabile dolore negli ultimi anni.
Infatti, la violenza delle sue opinioni religiose e politiche preoccupa sempre più i suoi protettori ed amici che si sfilano rapidamente e lo tengono distante. Lo stesso Malesherbes - suo entusiasta ammiratore e direttore della Censura, non è più in grado di difenderlo. La corte e le istituzioni religiose tuonano, il Parlamento condanna l'Emilio a essere strappato e bruciato e Rousseau a essere arrestato. Occorre fuggire da Parigi, la Svizzera. Il principato prussiano di Neuchà¢tel lo accoglie a Mà´tiers-Travers e Federico II gli garantisce la sua protezione, mentre l'Europa cattolica e calvinista, dalla Sorbona a Roma, ad Amsterdam, condanna le sue tesi e brucia i suoi lavori. Ginevra lo respinge: Rousseau si dimette dai suoi diritti di borghese e di cittadino della Repubblica calvinista e, in nome di un cristianesimo tollerante, si difende, nel 1764, con le sue Lettere scritte dalla montagna contro tutti coloro che censurano l'Emilio. Redige nel 1764 un Progetto di costituzione per la Corsica, su richiesta di emissari venuti dall'isola, dove tuttavia nessuno leggerà il suo lavoro sulla democrazia contadina. Voltaire colpisce ancor più: rivela l'abbandono dei cinque bambini di Rousseau alla ruota; gli dà del sedizioso, cosa che avrà per effetto di mettere all'indice le sue Lettere scritte dalla montagna. Cacciato da Mà´tiers, esiliato nell'isola San Pietro, sul lago di Bienne, gli resta la botanica, la scrittura e l'autobiografia: saranno le Confessioni. Libro indimenticabile, vero romanzo di una vita quando invece pretende d'essere solo il racconto sincero di un'intera esistenza, che non ha davvero uguali. Intus et in cute porta in esergo il grosso libro, e mai così "dentro e sulla pelle" ha colpito, come in quest'uomo, il dolore di vivere. Il racconto di una vita: la fiera attestazione di un'esistenza come nessun'altra condotta tra sentimento e ragione. «Due cose quasi inconciliabili - scrive qui - si uniscono in me, senza che io possa concepirne il modo: un temperamento ardentissimo, delle passioni vive e impetuose, e delle idee lente a nascere, imbarazzate, le quali non si presentano che après coup. Si direbbe che il mio cuore e il mio intelletto non appartengano allo stesso individuo». àˆ l'enigma Rousseau: passione commista a ragione, sensibilità quasi femminea saldata a una acuta logica (arricchita da tutte le astuzie retoriche di uno stile haletant quasi sempre teso a colpire più l'immaginazione che l'intelletto), ragione imbevuta di sentimento. Ma, anche, è il momento dell'epopea personale, di un uomo che ha guadagnato la considerazione del mondo, dell'aristocrazia, delle teste coronate, con la sola forza del pensiero, da semplice valletto che era. Un modello per tutti i sognatori, i dèracinès, i malnati. (Julien Sorel porta sempre al seguito, come talismano, le Confessioni di Rousseau)
Ritorno a Parigi. Epilogo
Espulso dalla sua isola, erra nuovamente, tra Strasburgo, che lo festeggia nel 1765 e Parigi, che deve tuttavia lasciare (nella sua condizione di proscritto non puó dare all'occhio). Raggiunge l'Inghilterra, dove moltiplica gli incidenti nonostante la buona volontà degli inglesi e di Hume che lo ospita. Sente attorno a sè stringersi il "complotto", paventa i rischi reali ed immaginari di indagini poliziesche, teme le offese dei nemici di sempre, la cricca di d'Holbach. Ritorna infine a Parigi nel 1770, dopo avere errato quasi due anni in Francia sotto falsa identità . Si stabilisce un tacito accordo con le autorità : se non pubblica non è perseguito. Allora si dà al suo vecchio lavoro di copista, mai abbandonato, compone delle canzoni, scrive lettere sulla botanica e redige un lavoro politico destinato a salvare la Polonia smembrata, istruisce il processo dei suoi detrattori, i suoi vecchi amici. Le letture in pubblico delle Confessioni, nei salotti parigini, colpiscono a tal punto che M.me d'à‰pinay riesce a farle proibire. Termina Rousseau giudice di Jean-Jacques nel 1776, e compone, per frammenti, Le fantasticherie di un passeggiatore solitario, testo che rimarrà incompiuto.
Stanco di Parigi, dove vede con piacere solamente Bernardin de Saint-Pierre, accetta l'invito del marchese di Girardin a Ermenonville. Esausto, deluso e sempre perseguitato, passeggia, erborizza, riprende la redazione delle Fantasticherie, muore tra le braccia di Thèrèse, il 2 luglio 1778, non senza avere appreso, due mesi prima, la morte del suo grande nemico Voltaire.
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Il contratto sociale, Jean-Jacques Rousseau Ordina da iBS Italia
Il classico di Jean-Jacques Rousseau, assunto dai giacobini a riferimento teorico e accusato da liberali e critici della rivoluzione francese di essere l'ispiratore della "democrazia totalitaria", viene qui proposto con traduzione di Jole Bertolazzi, introduzione di Alberto Burgio e note di Andrea Marchili.
Emilio, Jean-Jacques Rousseau Ordina da iBS Italia
Insieme al "Contratto sociale" "Emilio" è l'opera più famosa e diffusa di Jean-Jacques Rousseau. A distanza di oltre due secoli dalla pubblicazione, avvenuta nel 1762, il testo risulta ancora attuale e la necessità - espressa dal filosofo - di difendere la naturalità dell'uomo dalle sovrastrutture che minacciano di soffocarlo universalmente riconosciuta.
La nuova Eloisa (1761)
Romanzo di J.-J. Rousseau in forma epistolare (Il titolo completo è: Julie, o la nuova Eloisa, lettere di due amanti abitanti di una cittadina ai piedi delle Alpi) || L'azione si svolge in Svizzera, sulle rive del lago Lemano. Attraverso la corrispondenza tra Julie d'Etanges, il suo precettore Saint Preux e la cugina di Julie, Claire, si delinea la storia di una passione. Saint Preux si è accorto di amare l'allieva e vorrebbe rinunciare all'incarico di precettore: mai infatti il padre di Julie acconsentirà a farle sposare un uomo senza fortuna e senza nobiltà . Ma anche Julie lo ama, invano ammonita dalla saggia Claire. Dopo un tentativo di separazione, Saint Preux si stabilisce a Meillerie, sui monti, di fronte alla cittadina di Julie e i due giovani si incontrano segretamente. Claire stessa richiama Saint Preux. Un inglese, Lord Bomston, col quale Saint Preux si è legato di stretta amicizia, cerca di perorare la causa di Julie presso suo padre, la cui reazione è peró tanto violenta da costringere Saint Preux a partire. Julie, passato qualche tempo, accetta, col consenso di Saint Preux, il marito propostole dal padre, M. de Wolmar, che l'ama da tempo. A Clarens, accanto al marito, è serena. Nascono due figli. M. de Wolmar invita Saint Preux a vivere con loro. Dopo una lunga lotta per non soccombere alla passione Saint Preux parte. Interviene peró un incidente: durante una passeggiata il figlio di Julie cade nel lago. La madre si butta nell'acqua, lo salva ma si ammala gravemente. Richiamato da Claire, Saint Preux accorre e, prima di morire, Julie gli chiede di rimanere nella sua casa per occuparsi dell'educazione dei suoi figli.
Fonte della voce: Enciclopedia della Letteratura Garzanti (III ed. - 1997)
Le confessioni (1782-89)
Romanzo autobiografico di → J.J. Rousseau || Sin dalle pagine iniziali dell'opera l'autore dichiara di voler tracciare, attraverso le sue memorie, un ritratto di se stesso il più possibile fedele alla verità . Con le miserie e le debolezze, riscoperte attraverso un impietoso esame di coscienza, i dodici libri che compongono l'opera rievocano, inoltre, i momenti felici del passato che Rousseau racconta, convinto di poterne, in questo modo, attuare il recupero. Il libro i comincia con la nascita e si conclude con la fuga di Rousseau sedicenne da Ginevra, per evitare il lavoro d'incisore. I libri seguenti (ii-iv) narrano le peregrinazioni successive alla fuga: recatosi ad Annecy, il giovane Rousseau incontra la donna destinata ad esercitare sulla sua vita un'influenza sempre più grande, Madame de Warens, che si preoccupa di favorire le sue inclinazioni per gli studi e la sua passione per la musica.
Ma la vita avventurosa del giovane Rousseau riprende; durante un'assenza improvvisa della sua protettrice, infatti, è costretto a girare di città in città ; nel 1731 fa, comunque, ritorno presso Madame de Warens, la quale, trasferitasi nel frattempo a Chambèry, lo invita ad accettare per alcuni mesi un lavoro di segretario al catasto della casa reale di Savoia.
Sensibilmente diversa nel tono e nel contenuto è la seconda parte dell'opera, per quanto concepita, dal punto di vista cronologico, come una continuazione della precedente: la prima parte costituisce, infatti, l'autobiografia degli anni compresi tra il 1712 e il 1741, la seconda quella degli anni tra il 1741 e il 1765. Con il libro vii Rousseau intraprende la ricostruzione dei suoi rapporti con la società parigina, con la vita intellettuale e mondana dell'epoca, a partire dal suo arrivo nella capitale francese. Rousseau frequenta il salotto di Madame Dupin e alcuni scrittori, tra i quali Diderot. Al libro viii corrisponde l'epoca dei primi successi letterari e musicali di Rousseau e, con essi, delle prime inimicizie che egli avverte nel mondo degli intellettuali con cui via via entra in contatto. Rousseau acconsente allora ad installarsi con Thèrèse Lavasseur (una giovane di umili origini dalla quale ha avuto un figlio poi abbandonato all'orfanotrofio) all'Ermitage, una piccola dimora appartenente all'amica Madame d'Epinay, vicino alla foresta di Montmorency. Qui, lontano dalla società parigina, i cui vizi suscitano la sua indignazione, sembrano crearsi, come l'autore racconta nel libro ix, le condizioni ideali perchè possa lavorare alle diverse opere filosofiche (il Contratto sociale e l'Emilio) e letterarie (il romanzo La Nuova Eloisa) la cui genesi risale a quell'epoca. Ma si deteriorano ben presto, oltre ai rapporti con Diderot, e soprattutto con l'amico di questi, Grimm, anche quelli con Madame d'Epinay. Al periodo trascorso abitando con Thèrèse in un padiglione isolato della residenza del maresciallo di Lussemburgo a Montmorency e frequentando personaggi illustri dell'epoca, ospiti del maresciallo, Rousseau dedica il libro x. I libri xi e xii con cui si chiude l'opera rievocano, invece, il rapido susseguirsi di avvenimenti che coinvolgono l'autore a solo un anno dal vivo successo che accompagna la pubblicazione della Nuova Eloisa nel 1761. L'Emilio, apparso nel maggio del 1762, un mese dopo il Contratto sociale, viene infatti confiscato e denunciato dalla polizia, poi condannato dal Parlamento. Rousseau, sul quale pesa un decreto d'arresto, è obbligato a fuggire dalla Francia; si rifugia, allora, a Mà´tiers-Travers, nel principato di Neuchà¢tel appartenente alla Prussia, dove Thèrèse lo raggiunge e dove, almeno inizialmente, puó condurre una vita calma e ritirata che gli consente di iniziare a scrivere le sue memorie grazie all'appoggio di George Keith, maresciallo di Scozia che governa il paese in nome di Federico ii. Ma dopo la partenza di quest'ultimo, scosso da nuove polemiche e dall'ostilità della popolazione del luogo, Rousseau lascia Mà´tiers per l'isola di Saint-Pierre sul lago di Bienne; rifugio che non tarda a rivelarsi ancora più precario del precedente, poichè, dopo solo due mesi, su ordine del senato di Bienne, Rousseau si vede costretto a riprendere la strada dell'esilio.
Fonte della voce: Enciclopedia della Letteratura Garzanti (III ed. - 1997)
"La nuova Eloisa è un romanzo filosofico in cui Rousseau dibatte in modo aperto se sia più giusto abbandonarsi alla pura passione amorosa, sacra espressione della natura e dunque inalienabile diritto dell'individuo, oppure tenere più conto delle convenzioni sociali, solido fondamento della convivenza umana. Giulia d'Etange, figlia unica di una famiglia di nobili origini, ama il suo giovane precettore, Saint-Preux, dotato delle più belle qualità dell'anima, ma povero e inferiore socialmente. Saint-Preux è l'amore-passione. Dall'altra parte c'è Wolmar, uomo ricco e solido, vecchio amico del padre di Giulia che promette un sicuro vincolo coniugale. Da questa vicenda si snodano, come in una serie di cerchi concentrici, i grandi temi del pensiero di Rousseau: la teoria delle passioni quale fondamento della teoria morale, e la prefigurazione, attraverso la descrizione della comunità di Clarens, del complesso intreccio tra autoritarismo ed egualianza; la concezione della donna come moglie e come madre sulla base del principio di una radicale differenza dei sessi, e il progetto pedagogico dell'educazione naturale e domestica, che sarà compiutamente tratteggiata nell'Emilio; come pure il tema dell'interiorità e della solitudine che ispirerà , a partire dalle ""Confessioni"", gli scritti autobiografici. L'introduzione di Elena Pulcini (autrice di ""Amour-passion e amore coniugale"", 1990) illumina tutte questa tematiche."
Romanzo o diario? Fantasticazione romanzesca o registrazione meticolosa della realtà ? Ricerca del tempo perduto o ripensamento per l'avvenire? Lettera ai contemporanei o messaggio per i posteri? Pubblicate pustume nel 1781, "Le confessioni" di Rousseau diedero luogo, dalle prime letture pubbliche agli amici fino ad oggi, alle più disparate e contraddittorie interpretazioni. In queste pagine Rousseau, ripercorrendo le tappe della propria formazione morale e spirituale, racconta "con natura e verità " la propria vita, senza nasconderne gli aspetti negativi e i lati oscuri: l'infanzia trascorsa con il padre tra letture romantiche e appassionate, l'incontro con la signora Warens, amante e insieme dolce figura materna, la conversione al cattolicesimo, gli amori e il difficile rapporto con le donne, i viaggi a Venezia e a Parigi, gli scontri con gli enciclopedisti e le polemiche con Voltaire, la fuga disperata in Inghilterra e il ritorno a Parigi e, infine, la bruciante delusione della lettura delle "Confessioni" ad un gruppo di intimi. Testimonianza di una vita romazesca e contraddittoria, "Le confessioni" riassumono i temi fondamentali dell'ideologia di un autore che ha esercitato uno straordinario influsso sul pensiero e la sensibilità dei moderni.
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DEMOCRAZIA
Regime politico in cui i governi sono espressione dei governati, o meglio della maggioranza di essi.
DEMOCRAZIA DIRETTA E OLIGARCHIE. In epoca storica la democrazia sorse presso alcune polis greche, segnatamente le colonie ioniche dell'Asia minore (VII-VI secolo a.C.) e soprattutto Atene dal V secolo. In queste comunità ristrette le responsabilità politiche venivano delegate a singoli o a magistrature collegiali dall'assemblea di tutti i cittadini (maschi e liberi) o per sorteggio e per periodi in genere non superiori all'anno. La formulazione teorica venne da Aristotele (IV secolo a.C.), che contrappose la democrazia alla "monarchia" (governo di uno solo) e all'"aristocrazia" (governo di uno strato sociale superiore). Anche a Roma, caduti nell'VIII secolo a.C. i re, il populus aveva base ristretta: le massime magistrature erano elette dagli uomini in grado di portare le armi. Le magistrature, tutte collegiali, non esercitavano peró poteri totali. La direzione politica fu per secoli (VIII-I a.C.) saldamente in mano al Senato, rigorosamente riservato ereditariamente (quindi non elettivo) a un ristretto gruppo di famiglie "nobili" (poi gradualmente ampliato). Magistrati e Senato avevano dal 494 a.C. un limite nell'invalicabile potere di veto del tribuno della plebe, elettivo. Gli stranieri assoggettati ottennero il diritto di partecipare alla democrazia romana attraverso la cittadinanza man mano che si ampliavano i domini di Roma (finchè nel 212 d.C., quando aveva ormai perduto ogni influenza sul potere reale, essa fu estesa a tutti i sudditi liberi dell'impero), ma donne e schiavi continuarono a esserne esclusi. Il declino e il crollo delle democrazie antiche non consistette nella distruzione delle loro istituzioni (piuttosto snaturate e svuotate che abolite). Esse erano fatte per pochi (oligarchia), che ne persero il controllo, mentre se ne avvantaggiarono molti altri che erano stati ammessi a parteciparvi, ma che non trovarono in quegli istituti strumenti adeguati di rappresentanza. Da qui il sorgere di poteri personali di mediazione (cesarismo, principatus). L'elezione del re, sia pure a vita, da parte dei guerrieri presso le popolazioni germaniche che penetrarono nei territori dell'impero romano (III-VIII secolo) conferma l'origine oligarchica della democrazia prevista per comunità limitate. Il meccanismo feudale, dai Carolingi (IX secolo) in poi, adattó l'esigenza di controlli incrociati e di limiti ai privilegi personali a una società etnicamente, religiosamente e socialmente mutata nel profondo in seguito all'avvento del cristianesimo, al declino dello schiavismo e alla fissazione della forza lavoro alla condizione sociale di nascita. Il messaggio evangelico fomentó tuttavia per tutto il Medioevo una ricorrente predicazione egualitarista che sfoció spesso nella creazione di comunità , ancora una volta ristrette, rette a democrazia diretta, non di rado estese anche alle donne, ma sempre perseguitate spietatamente come eretiche dal potere politico-religioso, che se ne sentiva minacciato. Anche nei comuni, nelle repubbliche cittadine, nelle città libere dell'impero, dopo il Mille il potere venne parzialmente delegato da un'oligarchia, spesso con strumenti elettivi sofisticati misti al sorteggio (come nel caso di Venezia), ad apposite magistrature (talvolta assegnate, per maggior cautela, a forestieri, come nel caso dei podestà ), che non furono mai espressione di tutti gli strati della società . Qui peró il "popolo", pur escludendo sempre le donne, assunse contorni e consistenza più precisi man mano che all'aristocrazia feudale ed ecclesiastica si contrappose la borghesia, particolarmente gelosa delle proprie immunità corporative e appellantesi a un potere superiore contro la prepotenza aristocratica. Proprio allora la sovranità popolare venne teorizzata da giuristi regalisti, per i quali cioè il "popolo", astratto insieme di soggetti sociali non precisati, delegava una volta per tutte il proprio potere al sovrano, re o imperatore che fosse. D'altronde, in ambito germanico, la monarchia rimase fino alla caduta del Sacro romano impero (1806) formalmente elettiva, ma ovviamente il corpo elettorale era ridotto a un ristrettissimo novero di grandi signori e prevaleva la consuetudine di ratificare elettivamente, salvo eccezioni, una successione ereditaria. Perfino l'elezione del pontefice non si sottrasse mai, eccettuata l'ereditarietà , a questa regola. La disputa interna ai regalisti (e, per la chiesa, tra conciliaristi e non conciliaristi) consisteva semmai sulla revocabilità o meno del potere da parte del corpo elettorale. La democrazia funzionava cioè a quegli alti livelli come funzionava all'interno di ciascun corpo in cui era suddivisa la società di ordini, ciascuno dei quali sovrano nel proprio ambito e al di sopra dei quali faticó a imporsi lo stato come cosa di tutti. Questo pensava invece N. Machiavelli (1469-1527) quando contrapponeva al principato (regime monocratico) la repubblica (regime, anche monarchico, ma articolato e con pluralismo di poteri). La Riforma protestante riprese il concetto di democrazia estendibile a tutti i fedeli come comunità di credenti, ma ben presto prevalsero o il modello gerarchico cattolico o quello settario-teocratico delle singole confessioni. Anche la rivoluzione inglese della metà del XVIII secolo, per tanta parte alimentata dal calvinismo, represse con ferocia le sue frange più accanitamente egualitariste e democraticiste (levellers) e sfoció in una dittatura (O. Cromwell) che volle addirittura farsi ereditaria, ma che non potè resistere all'organismo di rappresentanza di ordini tipicamente medievale, il parlamento. In seguito (1688) quest'ultimo ottenne una monarchia costituzionale limitata da un sistema di contrappesi istituzionali. In questo senso già J. Althusius (1557-1638) aveva corretto l'indicazione machiavelliana, parlando di poliarchia invece che di repubblica (1603).
VOLONTà
Regime politico in cui i governi sono espressione dei governati, o meglio della maggioranza di essi.
DEMOCRAZIA DIRETTA E OLIGARCHIE. In epoca storica la democrazia sorse presso alcune polis greche, segnatamente le colonie ioniche dell'Asia minore (VII-VI secolo a.C.) e soprattutto Atene dal V secolo. In queste comunità ristrette le responsabilità politiche venivano delegate a singoli o a magistrature collegiali dall'assemblea di tutti i cittadini (maschi e liberi) o per sorteggio e per periodi in genere non superiori all'anno. La formulazione teorica venne da Aristotele (IV secolo a.C.), che contrappose la democrazia alla "monarchia" (governo di uno solo) e all'"aristocrazia" (governo di uno strato sociale superiore). Anche a Roma, caduti nell'VIII secolo a.C. i re, il populus aveva base ristretta: le massime magistrature erano elette dagli uomini in grado di portare le armi. Le magistrature, tutte collegiali, non esercitavano peró poteri totali. La direzione politica fu per secoli (VIII-I a.C.) saldamente in mano al Senato, rigorosamente riservato ereditariamente (quindi non elettivo) a un ristretto gruppo di famiglie "nobili" (poi gradualmente ampliato). Magistrati e Senato avevano dal 494 a.C. un limite nell'invalicabile potere di veto del tribuno della plebe, elettivo. Gli stranieri assoggettati ottennero il diritto di partecipare alla democrazia romana attraverso la cittadinanza man mano che si ampliavano i domini di Roma (finchè nel 212 d.C., quando aveva ormai perduto ogni influenza sul potere reale, essa fu estesa a tutti i sudditi liberi dell'impero), ma donne e schiavi continuarono a esserne esclusi. Il declino e il crollo delle democrazie antiche non consistette nella distruzione delle loro istituzioni (piuttosto snaturate e svuotate che abolite). Esse erano fatte per pochi (oligarchia), che ne persero il controllo, mentre se ne avvantaggiarono molti altri che erano stati ammessi a parteciparvi, ma che non trovarono in quegli istituti strumenti adeguati di rappresentanza. Da qui il sorgere di poteri personali di mediazione (cesarismo, principatus). L'elezione del re, sia pure a vita, da parte dei guerrieri presso le popolazioni germaniche che penetrarono nei territori dell'impero romano (III-VIII secolo) conferma l'origine oligarchica della democrazia prevista per comunità limitate. Il meccanismo feudale, dai Carolingi (IX secolo) in poi, adattó l'esigenza di controlli incrociati e di limiti ai privilegi personali a una società etnicamente, religiosamente e socialmente mutata nel profondo in seguito all'avvento del cristianesimo, al declino dello schiavismo e alla fissazione della forza lavoro alla condizione sociale di nascita. Il messaggio evangelico fomentó tuttavia per tutto il Medioevo una ricorrente predicazione egualitarista che sfoció spesso nella creazione di comunità , ancora una volta ristrette, rette a democrazia diretta, non di rado estese anche alle donne, ma sempre perseguitate spietatamente come eretiche dal potere politico-religioso, che se ne sentiva minacciato. Anche nei comuni, nelle repubbliche cittadine, nelle città libere dell'impero, dopo il Mille il potere venne parzialmente delegato da un'oligarchia, spesso con strumenti elettivi sofisticati misti al sorteggio (come nel caso di Venezia), ad apposite magistrature (talvolta assegnate, per maggior cautela, a forestieri, come nel caso dei podestà ), che non furono mai espressione di tutti gli strati della società . Qui peró il "popolo", pur escludendo sempre le donne, assunse contorni e consistenza più precisi man mano che all'aristocrazia feudale ed ecclesiastica si contrappose la borghesia, particolarmente gelosa delle proprie immunità corporative e appellantesi a un potere superiore contro la prepotenza aristocratica. Proprio allora la sovranità popolare venne teorizzata da giuristi regalisti, per i quali cioè il "popolo", astratto insieme di soggetti sociali non precisati, delegava una volta per tutte il proprio potere al sovrano, re o imperatore che fosse. D'altronde, in ambito germanico, la monarchia rimase fino alla caduta del Sacro romano impero (1806) formalmente elettiva, ma ovviamente il corpo elettorale era ridotto a un ristrettissimo novero di grandi signori e prevaleva la consuetudine di ratificare elettivamente, salvo eccezioni, una successione ereditaria. Perfino l'elezione del pontefice non si sottrasse mai, eccettuata l'ereditarietà , a questa regola. La disputa interna ai regalisti (e, per la chiesa, tra conciliaristi e non conciliaristi) consisteva semmai sulla revocabilità o meno del potere da parte del corpo elettorale. La democrazia funzionava cioè a quegli alti livelli come funzionava all'interno di ciascun corpo in cui era suddivisa la società di ordini, ciascuno dei quali sovrano nel proprio ambito e al di sopra dei quali faticó a imporsi lo stato come cosa di tutti. Questo pensava invece N. Machiavelli (1469-1527) quando contrapponeva al principato (regime monocratico) la repubblica (regime, anche monarchico, ma articolato e con pluralismo di poteri). La Riforma protestante riprese il concetto di democrazia estendibile a tutti i fedeli come comunità di credenti, ma ben presto prevalsero o il modello gerarchico cattolico o quello settario-teocratico delle singole confessioni. Anche la rivoluzione inglese della metà del XVIII secolo, per tanta parte alimentata dal calvinismo, represse con ferocia le sue frange più accanitamente egualitariste e democraticiste (levellers) e sfoció in una dittatura (O. Cromwell) che volle addirittura farsi ereditaria, ma che non potè resistere all'organismo di rappresentanza di ordini tipicamente medievale, il parlamento. In seguito (1688) quest'ultimo ottenne una monarchia costituzionale limitata da un sistema di contrappesi istituzionali. In questo senso già J. Althusius (1557-1638) aveva corretto l'indicazione machiavelliana, parlando di poliarchia invece che di repubblica (1603).
VOLONTà
Trova il sillogismo della vita
Illuminismo
Movimento ideologico e culturale (dal francese illuminisme, capacità illuminatrice della ragione), che informó di sè tutto il Settecento, inteso a portare i lumi della ragione in ogni campo dell'attività umana, allo scopo di rinnovare non soltanto gli studi e le varie discipline, ma la vita sociale intera, la cultura e le istituzioni, combattendo per mezzo della critica gli infiniti pregiudizi, frutto d'interessato inganno, che impediscono il cammino della civiltà e si oppongono al progresso e alla felicità degli uomini. L'illuminismo fu il modo di pensiero organico della borghesia nella lotta per la completa conquista del potere economico e politico e dell'egemonia ideologica: come tale, lo si puó vedere storicamente crescere per circa un secolo dai tempi della Rivoluzione inglese del 1688 sino alla grande Rivoluzione francese del 1789, stabilendo ben presto il suo fulcro e divenendo il vessillo di un vero parti philosophe in quella Francia in cui alla preponderanza economica della borghesia e alla crescente coscienza, da parte di tale classe, della propria funzione sociale propulsiva si opponevano tenacemente i radicati poteri politici e privilegi civili dei nobili e del clero, alleati della monarchia assoluta. Meno impetuosa e radicale fu la fioritura dell'illuminismo nella stessa Inghilterra, dove pure esso era sorto con Locke, perchè il nuovo equilibrio fra aristocrazia e borghesia stabilì un clima favorevole al conservatorismo ideologico, che in filosofia si rispecchiava esemplarmente nell'involuzione dall'empirismo lockiano all'idealismo soggettivo del vescovo Berkeley e all'agnosticismo del tory Hume. Per il condizionamento di una relativa arretratezza economico-sociale, risultano complessivamente minori, e talvolta parzialmente debitori, rispetto al francese, l'illuminismo tedesco (Aufklà¤rung), che pure conta personalità come Wolff, Lessing e Mendelssohn, e l'illuminismo italiano, nei suoi centri principali di Milano, con i fratelli Verri e Beccaria, e Napoli, con Genovesi, Galiani e Filangieri. L'illuminismo si presenta come movimento sostanzialmente unitario nella sua pars destruens, e invece variegato di contrasti interni nella sua pars construens, così come diversi erano aspirazioni e interessi degli strati della borghesia di cui gli illuministi si facevano interpreti. Così, in filosofia, i bersagli della critica erano la metafisica della Scolastica e la dottrina cartesiana delle idee innate; ma dal comune convincimento che le conoscenze vadano fondate tutte e unicamente sull'esperienza si dipartono due correnti metodologiche: l'una, fatta propria per esempio da d'Alembert, tende a restringere il compito della scienza all'analisi e alla sistemazione rigorosa e descrittiva dei fenomeni, mentre l'altra, che ha il suo più geniale fautore in Diderot, mira all'ardita escogitazione di ampie ipotesi teoriche che hanno lo scopo di consentire l'esplorazione di nuove zone del sapere e il progressivo disegno di un quadro unitario dell'universo. A questo contrasto si accompagna, pur nella generale avversione per il fanatismo e il pernicioso fideismo delle religioni positive, l'opposizione fra deisti, come Voltaire, e materialisti atei, come Diderot e d'Holbach. Ancora più articolate in diverse tendenze sono le dottrine politiche dell'illuminismo: a Montesquieu, teorico del liberalismo moderato, si contrappone Rousseau, ispiratore col suo Contratto sociale del giacobinismo prima e poi delle più avanzate forme di democrazia borghese; mentre, raccogliendo l'attacco mosso da Rousseau alla proprietà privata nel suo secondo Discorso, si spingono fino a posizioni di socialismo utopistico Mably e Morelly, e Diderot denuncia l'ingiustizia sociale con grande sensibilità ed efficacia in articoli dell'Encyclopèdie e nelle opere di narrativa. Vario fu dunque il modo d'intendere i tre valori di Libertè, à‰galitè, Fraternitè, che campeggeranno sulle bandiere della Rivoluzione, ma la loro rivendicazione costituì comunque una tappa fondamentale nella storia dell'umanità . La morale, sganciata dalla religione, si poneva come obiettivo la "felicità per il maggior numero", riconoscendo i diritti dei sentimenti e dei sensi e indicando nell'utilità sociale o bienfaisance la virtù essenziale. Da questa visione della vita scaturiva la nuova dissacratoria concezione del diritto penale, di cui Beccaria fu il primo rigoroso sostenitore, concezione che nella pena non vedeva più l'espiazione di un peccato, ma semplicemente l'equilibrato strumento di difesa dell'ordine e del benessere sociali. E a questa stessa matrice ideologica, intrecciata alla giustificazione e propulsione dei concreti interessi economici della borghesia capitalista, si rifanno le dottrine economiche liberiste dei fisiocrati e di A. Smith. Da parte idealistica e romantica si è tacciato di antistoricismo l'aspro antitradizionalismo degli illuministi. L'illuminismo ebbe invece il merito, in particolare con Voltaire, di elaborare una categoria essenziale per l'interpretazione della storia: quella di progresso, difficile e rischioso, opera degli uomini e non di un disegno provvidenziale; mentre, d'altronde, Montesquieu, Voltaire e Gibbon offrirono i primi validi esempi di una storiografia moderna più scientificamente fondata e condotta.
RIFORME POLITICO-SOCIALI DELL'ILLUMINISMO
L'illuminismo attuó le sue prime conquiste politiche e sociali nella sua stessa patria d'origine, l'Inghilterra, con la concezione di un nuovo diritto dello Stato che segnó l'ascesa della borghesia e la sua affermazione non solo politica ma anche economica. In Francia quegli stessi principi costituirono la premessa ideologica della Rivoluzione che portó alla proclamazione dei "diritti dell'uomo". In Germania Federico II di Prussia accolse la lezione illuministica dell'amico Voltaire e razionalizzó le strutture del suo Stato, affrancandolo da un feudalesimo agrario, impegnando la nobiltà nella nuova organizzazione militare e dando alla borghesia maggior respiro per abbinare le attività commerciali a quelle ormai insufficienti dell'agricoltura. Il suo esempio ebbe imitatori in Caterina II di Russia e in Maria Teresa e Giuseppe II d'Austria. Esperienze politiche ispirate all'illuminismo si ebbero anche in Spagna, in Portogallo, in Danimarca e in Svezia. Sebbene limitato da un preciso disegno di accentramento dello Stato, l'illuminismo dei vari sovrani portó a una maggiore tolleranza religiosa, ridusse lo strapotere della Chiesa cattolica, limitó i privilegi della nobiltà , i diritti delle comunità rurali a favore dell'individualismo agrario; promosse le sorgenti attività industriali annullando i privilegi delle corporazioni; favorì l'aumento demografico per la colonizzazione delle terre vergini o abbandonate e aprì l'istruzione a nuovi ceti. In definitiva lo Stato si trovó rafforzato, ma con sudditi meno poveri e meno oppressi; caddero anche numerose barriere politiche e sociali. In Italia le riforme ispirate all'illuminismo trovarono applicazione in Lombardia, nella Toscana e nel Regno di Napoli: esse portarono all'abolizione del diritto d'asilo e dell'Inquisizione, allo sviluppo della libertà di commercio, al potenziamento dell'istruzione elementare e superiore; alle riforme delle amministrazioni locali; alla creazione di una piccola proprietà contadina.
L'ILLUMINISMO IN LETTERATURA
Il culto della ragione, la condanna del trascendentalismo religioso, l'esigenza di riforme politiche e sociali, che formavano il patrimonio pratico dell'illuminismo, trovarono larga applicazione anche in campo letterario. A. Pope definiva grande l'opera letteraria che sapeva incitare l'umanità al bene. Si riscoprì nei classici antichi un esempio di saggezza, che disciplina la fantasia e la soggettività , dando il gusto dell'intelligenza. S'ispirarono alle nuove idee illuministiche gli scritti di J. Swift, improntati a una satira acre della società , la Favola delle api di B. Mandeville, il Robinson Crusoe di D. De Foe, che voleva esaltare l'uomo in quanto costruttore di un suo mondo in cui sopravvivere. Spunti polemici e auspicanti una nuova società illuminata dalla ragione si trovano nei periodici di R. Steele e di J. Addison, in particolare nello Spectator; nelle opere narrative di H. Fielding e di T. Smollet è esaltata l'intraprendenza individuale; una speranza di tempi nuovi si trova in S. Johnson. In Francia s'ispirarono alle forme più vive dell'illuminismo il dramma borghese di Diderot, le Lettere persiane di Montesquieu e molte altre opere, dal romanzo alla satira sociale. In Italia, nonostante la sua subordinazione a quello francese e inglese, l'illuminismo ebbe notevoli manifestazioni letterarie: lo si riscontra con grandi esigenze di rinnovamento civile nella satira di Parini, nelle affermazioni umanitarie di Muratori e di Beccaria, in perorazioni e squarci storici di Filangieri e di Spedalieri; per effetto dell'illuminismo l'Arcadia ritornó alla ragione, esaltó l'amore per la natura e predilesse le opere della pace. In Germania l'illuminismo trovó particolare manifestazione nell'opera di Lessing (Nathan il Saggio, il Laocoonte, la Drammaturgia di Amburgo), come in tutto il dramma borghese. Nella stessa Spagna furono presenti motivi d'ispirazione illuministica, per esempio nelle Lettere marocchine di Cadalso.
Movimento ideologico e culturale (dal francese illuminisme, capacità illuminatrice della ragione), che informó di sè tutto il Settecento, inteso a portare i lumi della ragione in ogni campo dell'attività umana, allo scopo di rinnovare non soltanto gli studi e le varie discipline, ma la vita sociale intera, la cultura e le istituzioni, combattendo per mezzo della critica gli infiniti pregiudizi, frutto d'interessato inganno, che impediscono il cammino della civiltà e si oppongono al progresso e alla felicità degli uomini. L'illuminismo fu il modo di pensiero organico della borghesia nella lotta per la completa conquista del potere economico e politico e dell'egemonia ideologica: come tale, lo si puó vedere storicamente crescere per circa un secolo dai tempi della Rivoluzione inglese del 1688 sino alla grande Rivoluzione francese del 1789, stabilendo ben presto il suo fulcro e divenendo il vessillo di un vero parti philosophe in quella Francia in cui alla preponderanza economica della borghesia e alla crescente coscienza, da parte di tale classe, della propria funzione sociale propulsiva si opponevano tenacemente i radicati poteri politici e privilegi civili dei nobili e del clero, alleati della monarchia assoluta. Meno impetuosa e radicale fu la fioritura dell'illuminismo nella stessa Inghilterra, dove pure esso era sorto con Locke, perchè il nuovo equilibrio fra aristocrazia e borghesia stabilì un clima favorevole al conservatorismo ideologico, che in filosofia si rispecchiava esemplarmente nell'involuzione dall'empirismo lockiano all'idealismo soggettivo del vescovo Berkeley e all'agnosticismo del tory Hume. Per il condizionamento di una relativa arretratezza economico-sociale, risultano complessivamente minori, e talvolta parzialmente debitori, rispetto al francese, l'illuminismo tedesco (Aufklà¤rung), che pure conta personalità come Wolff, Lessing e Mendelssohn, e l'illuminismo italiano, nei suoi centri principali di Milano, con i fratelli Verri e Beccaria, e Napoli, con Genovesi, Galiani e Filangieri. L'illuminismo si presenta come movimento sostanzialmente unitario nella sua pars destruens, e invece variegato di contrasti interni nella sua pars construens, così come diversi erano aspirazioni e interessi degli strati della borghesia di cui gli illuministi si facevano interpreti. Così, in filosofia, i bersagli della critica erano la metafisica della Scolastica e la dottrina cartesiana delle idee innate; ma dal comune convincimento che le conoscenze vadano fondate tutte e unicamente sull'esperienza si dipartono due correnti metodologiche: l'una, fatta propria per esempio da d'Alembert, tende a restringere il compito della scienza all'analisi e alla sistemazione rigorosa e descrittiva dei fenomeni, mentre l'altra, che ha il suo più geniale fautore in Diderot, mira all'ardita escogitazione di ampie ipotesi teoriche che hanno lo scopo di consentire l'esplorazione di nuove zone del sapere e il progressivo disegno di un quadro unitario dell'universo. A questo contrasto si accompagna, pur nella generale avversione per il fanatismo e il pernicioso fideismo delle religioni positive, l'opposizione fra deisti, come Voltaire, e materialisti atei, come Diderot e d'Holbach. Ancora più articolate in diverse tendenze sono le dottrine politiche dell'illuminismo: a Montesquieu, teorico del liberalismo moderato, si contrappone Rousseau, ispiratore col suo Contratto sociale del giacobinismo prima e poi delle più avanzate forme di democrazia borghese; mentre, raccogliendo l'attacco mosso da Rousseau alla proprietà privata nel suo secondo Discorso, si spingono fino a posizioni di socialismo utopistico Mably e Morelly, e Diderot denuncia l'ingiustizia sociale con grande sensibilità ed efficacia in articoli dell'Encyclopèdie e nelle opere di narrativa. Vario fu dunque il modo d'intendere i tre valori di Libertè, à‰galitè, Fraternitè, che campeggeranno sulle bandiere della Rivoluzione, ma la loro rivendicazione costituì comunque una tappa fondamentale nella storia dell'umanità . La morale, sganciata dalla religione, si poneva come obiettivo la "felicità per il maggior numero", riconoscendo i diritti dei sentimenti e dei sensi e indicando nell'utilità sociale o bienfaisance la virtù essenziale. Da questa visione della vita scaturiva la nuova dissacratoria concezione del diritto penale, di cui Beccaria fu il primo rigoroso sostenitore, concezione che nella pena non vedeva più l'espiazione di un peccato, ma semplicemente l'equilibrato strumento di difesa dell'ordine e del benessere sociali. E a questa stessa matrice ideologica, intrecciata alla giustificazione e propulsione dei concreti interessi economici della borghesia capitalista, si rifanno le dottrine economiche liberiste dei fisiocrati e di A. Smith. Da parte idealistica e romantica si è tacciato di antistoricismo l'aspro antitradizionalismo degli illuministi. L'illuminismo ebbe invece il merito, in particolare con Voltaire, di elaborare una categoria essenziale per l'interpretazione della storia: quella di progresso, difficile e rischioso, opera degli uomini e non di un disegno provvidenziale; mentre, d'altronde, Montesquieu, Voltaire e Gibbon offrirono i primi validi esempi di una storiografia moderna più scientificamente fondata e condotta.
RIFORME POLITICO-SOCIALI DELL'ILLUMINISMO
L'illuminismo attuó le sue prime conquiste politiche e sociali nella sua stessa patria d'origine, l'Inghilterra, con la concezione di un nuovo diritto dello Stato che segnó l'ascesa della borghesia e la sua affermazione non solo politica ma anche economica. In Francia quegli stessi principi costituirono la premessa ideologica della Rivoluzione che portó alla proclamazione dei "diritti dell'uomo". In Germania Federico II di Prussia accolse la lezione illuministica dell'amico Voltaire e razionalizzó le strutture del suo Stato, affrancandolo da un feudalesimo agrario, impegnando la nobiltà nella nuova organizzazione militare e dando alla borghesia maggior respiro per abbinare le attività commerciali a quelle ormai insufficienti dell'agricoltura. Il suo esempio ebbe imitatori in Caterina II di Russia e in Maria Teresa e Giuseppe II d'Austria. Esperienze politiche ispirate all'illuminismo si ebbero anche in Spagna, in Portogallo, in Danimarca e in Svezia. Sebbene limitato da un preciso disegno di accentramento dello Stato, l'illuminismo dei vari sovrani portó a una maggiore tolleranza religiosa, ridusse lo strapotere della Chiesa cattolica, limitó i privilegi della nobiltà , i diritti delle comunità rurali a favore dell'individualismo agrario; promosse le sorgenti attività industriali annullando i privilegi delle corporazioni; favorì l'aumento demografico per la colonizzazione delle terre vergini o abbandonate e aprì l'istruzione a nuovi ceti. In definitiva lo Stato si trovó rafforzato, ma con sudditi meno poveri e meno oppressi; caddero anche numerose barriere politiche e sociali. In Italia le riforme ispirate all'illuminismo trovarono applicazione in Lombardia, nella Toscana e nel Regno di Napoli: esse portarono all'abolizione del diritto d'asilo e dell'Inquisizione, allo sviluppo della libertà di commercio, al potenziamento dell'istruzione elementare e superiore; alle riforme delle amministrazioni locali; alla creazione di una piccola proprietà contadina.
L'ILLUMINISMO IN LETTERATURA
Il culto della ragione, la condanna del trascendentalismo religioso, l'esigenza di riforme politiche e sociali, che formavano il patrimonio pratico dell'illuminismo, trovarono larga applicazione anche in campo letterario. A. Pope definiva grande l'opera letteraria che sapeva incitare l'umanità al bene. Si riscoprì nei classici antichi un esempio di saggezza, che disciplina la fantasia e la soggettività , dando il gusto dell'intelligenza. S'ispirarono alle nuove idee illuministiche gli scritti di J. Swift, improntati a una satira acre della società , la Favola delle api di B. Mandeville, il Robinson Crusoe di D. De Foe, che voleva esaltare l'uomo in quanto costruttore di un suo mondo in cui sopravvivere. Spunti polemici e auspicanti una nuova società illuminata dalla ragione si trovano nei periodici di R. Steele e di J. Addison, in particolare nello Spectator; nelle opere narrative di H. Fielding e di T. Smollet è esaltata l'intraprendenza individuale; una speranza di tempi nuovi si trova in S. Johnson. In Francia s'ispirarono alle forme più vive dell'illuminismo il dramma borghese di Diderot, le Lettere persiane di Montesquieu e molte altre opere, dal romanzo alla satira sociale. In Italia, nonostante la sua subordinazione a quello francese e inglese, l'illuminismo ebbe notevoli manifestazioni letterarie: lo si riscontra con grandi esigenze di rinnovamento civile nella satira di Parini, nelle affermazioni umanitarie di Muratori e di Beccaria, in perorazioni e squarci storici di Filangieri e di Spedalieri; per effetto dell'illuminismo l'Arcadia ritornó alla ragione, esaltó l'amore per la natura e predilesse le opere della pace. In Germania l'illuminismo trovó particolare manifestazione nell'opera di Lessing (Nathan il Saggio, il Laocoonte, la Drammaturgia di Amburgo), come in tutto il dramma borghese. Nella stessa Spagna furono presenti motivi d'ispirazione illuministica, per esempio nelle Lettere marocchine di Cadalso.
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