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TIRANNICIDIO PDF Stampa E-mail
Scritto da Paola Vasconi
Per chi di noi ha fatto studi classici, sui banchi di scuola ci si dannava (o ci si divertiva) su versioni di greco che narravano le gesta di Armodio e Aristogitone, i due tirannicidi che nel 514 a.C. avevano cercato di eliminare il tiranno Ippia di Atene, riuscendo ad uccidere solo il suo "braccio destro" Ipparco e trovando la morte, il primo durante l'attentato e il secondo in un'esecuzione. Per chi quegli studi non ha fatto, altri due personaggi del mondo classico latino stanno a ricordarci che l'eliminazione diretta di chi stava per arrogarsi il potere assoluto rese celebri Bruto e Cassio, gli assassini di Cesare alle idi di marzo del 44 a.C. Con Bruto e Cassio inizia anche la possibile duplice interpretazione che si può dare di chi si macchia dell'assassinio per eliminare il tiranno: egli può diventare un eroe oppure il più spregevole dei traditori, e in tal caso il tiranno può trasformarsi in martire. E' il caso di Giulio Cesare, oggetto secondo Shakespeare, nella tragedia Giulio Cesare, addirittura di un "tirannicidio preventivo": Bruto parla dell'uccisione di Cesare come della distruzione dell' "uovo del serpente", prima che nascendo possa seminare la morte. In entrambi i casi del mondo classico si tratta di quello che in termini moderni diremmo un attentato, un omicidio per eliminare un oppressore che ha il potere sovrano.
Ma non facciamo della semplice storia della letteratura classica. Perché ad un certo punto la questione del tirannicidio è entrata prepotentemente sulla scena politica europea quando il diritto di resistenza all'oppressione dei monarchi ha dominato la scena delle rivoluzioni europee del Seicento e del Settecento. Centrale da questo punto di vista appare la vicenda di Carlo I d'Inghilterra, il re Stuart decapitato nel 1642 dopo essere stato processato. Ed è a questo proposito che risulta interessante riandare alle radici del dibattito sul tirannicidio nell'Inghilterra del diciassettesimo secolo. Perché inizia una pratica che compare tra i Puritani di Cromwell, ma che ritorna nell'idea contemporanea della possibilità di sottopporre anche il sovrano al giudizio del popolo quando i suoi crimini siano particolarmente efferati, e che si afferma in particolare dopo il processo di Norimberga.
L'uomo che sostiene la pubblica accusa contro Carlo I Stuart si chiama John Cooke . Egli ha il coraggio di accusare in nome del popolo inglese re Carlo I di tirannia, di assassinio di massa del suo popolo e di negazione delle libertà religiose, e per questo ne chiede e ne ottiene la condanna a morte. Considerato "regicida" come Cromwell, John Cooke verrà a sua volta processato e giustiziato al ritorno degli Stuart, e i suoi visceri saranno dati in pasto ai cani. Lo scempio sul cadavere dei regicidi si ripeterà anche sulla tomba di Cromwell, morto per malattia prima che finisse il potere rivoluzionario antimonarchico, antitirannico.
Nel 1648 sul continente europeo le cose stanno andando diversamente che in Gran Bretagna e in America, nelle terre della cultura anglosassone. Paradossalmente l'incompleta separazione tra religione e politica dell'orizzonte anglosassone conduce alla giustificazione puritana del tirannicidio, mentre l'avviarsi del processo di separazione tra religione e politica che prende piede sul continente con la pace e il trattato di Vestfalia porta con sé le basi del diritto che si oppone al tirannicidio. Come col processo di Cooke nasce il precedente del processo legittimo a capi di Stato, negli Stati post-vestfaliani il trionfo della non ingerenza nei rapporti tra nazioni porta al principio della totale immunità internazionale di capi di Stato, ministri degli Esteri e ambasciatori, che sopravvive fino ai giorni nostri. Questo percorso di secolarizzazione del potere, la nascita dello Stato assoluto che concede la libertà di religione, porta con sé l'immunità del potere sovrano. Occorrerà la secolarizzazione del potere sovrano popolare nella rivoluzione francese a rimetterne in questione l'immunità (come sappiamo in una breve parentesi, il Terrrore rivoluzionario). Comunque sia nel caso della prima rivoluzione inglese che della rivoluzione francese la novità nel "tirannicidio" è questa: che vi si arriva in entrambi i casi con un processo.
Si tratta di vedere ora che cosa cambia nel nostro tempo rispetto a questi due modelli di "tirannicidio".
Il primo modello di tirannicidio, quello per intenderci di Aristogitone e Bruto, è quello che in termini moderni si configura come un attentato terroristico per eliminare capi di Stato o aspiranti tali che vogliano instaurare un regime tirannico. In termini moderni potremmo far ricadere sotto di esso il tentativo fallito di attentato a Hitler oppure quello riuscito da parte dell'organizzazione rivoluzionaria basca, l'Eta, contro il braccio destro di Franco, il ministro Carrero Blanco. In questo caso è senz'altro quasi impossibile disegnare la linea di demarcazione tra terrorismo e tirannicidio. Per un fanatico ortodosso israeliano il tiranno era rappresentato dal premier Begin, considerato traditore del proprio popolo per la pace con l'Egitto e per questo assassinato; nella logica del tirannicidio potremmo leggere in campo opposto i cosiddetti "assassini mirati" di ministri palestinesi leader del movimento terroristico Hamas. E potremmo allungare la lista per tutti i movimenti politici che ammettono l'uso della violenza. La difficoltà di giustificare l'omicidio politico come arma contro i tiranni si riscontra nella legislazione internazionale. Con l'aumento degli episodi di terrorismo negli anni '70 l'Onu ha cercato di stabilire dei parametri per definire come l'assassinio politico andasse trattato in ambito di legge internazionale. Di fatto non c'è distinzione in questo senso tra omicidio premeditato e tirannicidio. Le relazioni tra gli Stati possono entrare in campo se l'attentatore è straniero rispetto alla personalità politica che viene uccisa, perché in tal caso può esserne richiesta l'estradizione. In generale, l'omicidio politico rappresenta un'eccezione rispetto al semplice omicidio solo in casi specifici che lo regolamentano allo stesso modo in cui è regolamentata la guerra. E' il codice della guerra, o diritto "umanitario", che può regolamentare questi omicidi, nel senso che vengono considerati atti di guerra, e in casi particolari, quelli della guerra sotto copertura internazionale (i cosiddetti "interventi umanitari"), come atti di "ingerenza umanitaria". Insomma, per farla breve, il tirannicidio come attentato non è terrorismo o semplice omicidio se è un atto di guerra (legittima o di aggressione).
Passiamo invece al secondo modello di tirannicida, John Cooke che accusa e ottiene la condanna a morte di Carlo I d'Inghilterra. Questo è il modello che è stato accolto nel diritto internazionale contemporaneo. Questo è il modello che è passato per i tribunali speciali internazionali del XX secolo, da Norimberga, ai più recenti tribunali speciali per i crimini commessi nella ex Jugoslavia, nel Ruanda o per il processo a Saddam Hussein. Carlo I Stuart non viene eliminato da un Bruto, ma sottoposto al giudizio di una Alta Corte Speciale di Giustizia, presieduta da un giudice e con una giuria di settanta giurati. Di fronte a questa Corte re Carlo si comporta nello stesso modo in cui di recente si sono comportati imputati come Slobodan Milosevic o Saddam Hussein: negando la legittimità della corte cui erano sottoposti.
Il principio cui si appellano le alte cariche dello Stato messe sotto processo è sostanzialmente il diritto all'immunità nell'esercizio delle proprie funzioni. In particolare il sovrano assoluto, in quanto fonte della legge, si sente anche al di sopra della legge stessa. L'idea dell'immunità dei sovrani si afferma nell' Europa degli Stati successivi al trattato di Vestfalia, e lascia tracce fino ai nostri giorni. Comincia a vacillare proprio dopo Hitler, al tempo del processo di Norimberga. E' in occasione infatti del processo di Norimberga contro i crimini perpetrati dal nazismo che si afferma il principio che va contro l'impunità per gravi crimini compiuti anche dalle autorità politiche. Questo principio viene sancito successivamente il 10 dicembre 1948 con la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, dove viene stabilito il principio che per la violazione di tali diritti non possa sussistere alcuna immunità per qualsivoglia stato, gruppo o persona. La Dichiarazione seguiva di un giorno la convenzione sul genocidio, che auspicava già a partire dal 1948 la creazione di un tribunale penale internazionale per perseguire questo genere di reati estremi.
Fino all'istituzione il 17 luglio 1998 del Tribunale Penale Internazionale non si poneva il caso della giurisdizione universale, anche per casi di grave crimine, che sono tipicamente i casi di reati che si profilano in situazioni estreme quale lo stato di guerra o guerra civile. Con l'istituzione del Tribunale permanente internazionale per il perseguimento degli individui responsabili di gravi violazioni del diritto umanitario internazionale nel territorio della ex Jugoslavia dal 1991 (ICTY: approvato dal Consiglio di Sicurezza con Risoluzione 827/1993), e del Tribunale penale internazionale per il perseguimento degli individui responsabili di genocidio e di altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel territorio del Ruanda e di cittadini ruandesi responsabili di genocidio e altre analoghe violazioni commesse nel territorio di Stati limitrofi, istituito nel 1994 (ICTR: Risoluzione 955/1994) inizia la pratica del giudizio attraverso organi giudiziari penali internazionali. Il Tribunale Penale Internazionale Permanente (ICC), la cui istituzione è stata firmata da 124 paesi, è entrato in vigore al deposito della sessantesima ratifica nel luglio del 2002.
Si è passati quindi a una categoria di diritti umani dotati di garanzia internazionale penale, la cui violazione può implicare la responsabilità penale degli individui che hanno commesso il fatto davanti a una corte internazionale istituita a complemento o in sostituzione della giurisdizione statale. Questi crimini sono di quattro tipi: il genocidio, i crimini contro l'umanità , i crimini di guerra, il crimine di aggressione. Viene sancito quindi una volta per tutte il principio affermato a Norimberga che esistano dei crimini indipendenti dalla legislazione particolare, ma appunto contro l'umanità .
E' precisamente per questo tipo di crimini (come la tortura, il genocidio, lo stupro etnico) che non può sussistere nessuna impunità per capi di governo, ministri o ambasciatori. Il principio è contenuto nell'articolo 27 dello Statuto del Tribunale Internazionale Permanente: " 1. Il presente Statuto si applica a tutti in modo uguale senza qualsivoglia distinzione basata sulla qualifica ufficiale. In modo particolare la qualifica ufficiale di capo di Stato o di governo, di membro di un governo o di un parlamento, di rappresentante eletto o di agente di uno Stato non esonera in alcun caso una persona dalla sua responsabilità penale per quanto concerne il presente Statuto e non costituisce in quanto tale motivo di riduzione della pena. 2. Le immunità o regole di procedura speciale eventualmente inerenti alla qualifica ufficiale di una persona in forza del diritto interno o del diritto internazionale non vietano alla Corte di esercitare la sua competenza nei confronti di questa persona".
Un principio di questo genere ci condurrebbe infine alla legalizzazione del tirannicidio sulle orme di John Cooke o di Robespierre. E in un certo senso questo accade, quando lo Statuto nell'art. 80 non vieta contro questi gravi crimini di comminare altri tipi di pene previste dal diritto interno degli Stati (ad esempio quella di morte). Ma questo documento firmato nella terra di Beccaria prende atto che nei sistemi moderni la pena più grave è l'ergastolo, e questa è la massima pena che contempla all'art. 77. Questa rimane la strada battuta dalla diplomazia italiana anche nel recente percorso all'Onu culminato a dicembre 2007 col documento sulla moratoria della pena di morte. Ma è sempre raccomandabile accontentarsi del "tirannicidio" simbolico del carcere a vita per personaggi del calibro di Milosevic e Saddam?