E' MORTO MARCO PANTANI
Moderatori: Super Zeta, AlexSmith, Pim, Moderatore1
- kiss of medusa
- Impulsi avanzati
- Messaggi: 671
- Iscritto il: 21/04/2002, 2:00
- Località: bologna
Al di la' di chi fosse,di cosa rappresentava e il modo con cui se ne e' andato, credo che quando muore un ragazzo di 34 anni in determinate circostanze sia doveroso per onorare e rispettare la sua memoria rimanere in silenzio.
*
R.I.P.
*
R.I.P.
"Le donne possono fingere l'orgasmo, ma gli uomini riescono a simulare
l'intera relazione".
l'intera relazione".
Allego questo articolo di MICHELE SERRA, che trovo una meravigliosa fotografia del caso in questione:
La caccia al colpevole
nel dramma di Pantani
di MICHELE SERRA
In morte di Marco Pantani si è spesa un'emozione profonda, perchè era giovane, perchè era bravo, perchè lo conoscevamo tutti e tutti avevamo ammirato il suo prodigioso estro motorio. Ma sulla superficie del dolore popolare, in certi epitaffi televisivi in cerca di applauso, in certi titoli teatralmente affranti galleggia anche qualcosa di sbagliato, di infelice e, ahimè, di incurabilmente italiano.
Pantani "ucciso dai giudici" (anche lui?!), Pantani affossato dal Potere Sportivo, Pantani impallinato da "certa stampa", Pantani tradito dall'ambiente, dalla famiglia, dagli amici distratti, dalle donne incuranti, dalla Riviera cinica e gaudente, dalla farmacopea speculatrice, dall'oblio delle folle volubili... Piccole schegge di verità (forse), nessuna bastante a spiegare il precipizio umano del Pirata, che peró vengono ingigantite fino al rango di arma letale. L'innocenza restituita (a tutti) dalla morte non basta a placare questa mentalità puerilmente assolutoria, che imputa sempre e comunque "agli altri" il peso della croce che ciascuno si porta appresso, con minore o maggiore disinvoltura. No, si vuole un Pantani vittima anche in vita, incompreso e bistrattato, quasi condotto al suicidio dall'indifferenza e dalla crudeltà del mondo malvagio.
Non è così, non funziona così per nessuno, nemmeno per Pantani. Intanto la depressione (in genere nominata, con eufemismo letterario, "male oscuro", così come il cancro è "brutto male": terapia dello struzzo) è una malattia, diagnosticabile e spesso curabile, non un malefizio. Non è il lusso romantico e maudit degli eroi caduti, è un tragico tilt che coglie anche operai, massaie, docenti universitari, adolescenti. E nemmeno il più scalcinato terapeuta si sognerebbe di dire al depresso che la causa di quello sprofondo psichico è la malvagità degli altri: sarebbe un tremendo, imperdonabile errore. Piuttosto, cercherebbe di indirizzarlo verso uno scavo interiore, perchè è l'io che diventa nemico, l'io il carceriere che impedisce di aprire le finestre. E dunque tutto questo imputare alla società , alla sfortuna, all'invidia, alla persecuzione di imprecisati poteri ostili la triste fine di Marco Pantani, è un pessimo, diseducativo segnale indirizzato ai tanti (tanti!) che soffrono della sua stessa malattia.
- Pubblicità -
Non per caso, mentre nelle prime ore della scomparsa del campione si è detto e ridetto che era stato abbandonato da tutti, ora emergono, come era logico che fosse, progetti di recupero ideati da qualche amico meno disattento, per esempio quello di don Gelmini. Le amicizie balorde (che pure non mancano mai, specie per i ricchi e famosi) paiono meno devastanti e soprattutto meno esclusive di come piaceva pensare ai teorici del Pantani traviato dai Lucignoli: qualcuno che si preoccupava c'era, qualcuno che ci provava pure, e la traviatura (vedi il viaggio a Cuba) era autoinflitta.
E mentre Maradona (altro genio amatissimo, ma bisognoso di aiuto) dichiara che "la colpa è di tutti", forse specchiandosi nella sua propria giustificazione permanente, pare ovvio e necessario dire che ciascuno porta la sua lanterna, nel buio della vita, e che il passaggio più significativo, per entrare nell'età adulta, è per tutti sempre il medesimo, famosi o non famosi, bravi e meno bravi: accettare i propri errori, la propria incompletezza, l'insopportabile eppure evidente scoperta che possiamo deludere gli altri, dispiacere e non solo piacere, sbagliare e non solo avere ragione, perdere e non solo trionfare. Che questo ostico rendiconto della propria limitatezza sia particolarmente duro per un giovane uomo abituato a svettare tra due ali di folla osannante, è probabilmente vero. Ma additare la fine di Pantani come eclatante esempio di martirio dell'incompreso è davvero scellerato, perchè non solo i depressi, ma milioni di ragazzi alle prese con la propria complicata formazione saranno rafforzati nel loro comodo alibi di eterne vittime del mondo.
Il lutto per Pantani è, nello sgomento e nella tristezza, un lutto bello e consolante: esprime ammirazione, gratitudine e amore per la spettacolosa grazia atletica dell'uomo che sale, supera se stesso, trasforma una bestiale sofferenza in una gloriosa arrampicata sull'Olimpo. Perfino il virilismo romagnolo (struttura psicologico-culturale che non mi è particolarmente cara) assumeva, in Pantani, cadenze quasi spirituali, leggere, femminili quando inanellava i tornanti di asfalto come un morbido gomitolo. Non si addice, a questo lutto concorde, il molle piagnisteo italiota sulle "colpe degli altri". Gli altri, se hanno colpa, e rimorso, dovranno sbrigarsela comunque da soli, pure loro, faticando a prendere sonno come a tutti capita, prima o poi.
Lui merita un compianto profondo, e la memoria intatta di chi aspetterà per sempre, seduto sui prati, di vedere passare il Pirata. Non merita che lo si agiti come uno straccio inerte, come una bandiera bianca, per potere continuare a lamentarci ciascuno della sua debolezza, ad aggrapparsi ciascuno alle sue eterne giustificazioni da bimbo. Siamo spesso soli, tutti, specie nei momenti decisivi: non possiamo chiedere proprio a un uomo che cercava sempre la fuga, l'arrivo solitario, di aiutarci a rimanere intruppati nella desolante mediocrità dei nostri alibi.
SALUTI
La caccia al colpevole
nel dramma di Pantani
di MICHELE SERRA
In morte di Marco Pantani si è spesa un'emozione profonda, perchè era giovane, perchè era bravo, perchè lo conoscevamo tutti e tutti avevamo ammirato il suo prodigioso estro motorio. Ma sulla superficie del dolore popolare, in certi epitaffi televisivi in cerca di applauso, in certi titoli teatralmente affranti galleggia anche qualcosa di sbagliato, di infelice e, ahimè, di incurabilmente italiano.
Pantani "ucciso dai giudici" (anche lui?!), Pantani affossato dal Potere Sportivo, Pantani impallinato da "certa stampa", Pantani tradito dall'ambiente, dalla famiglia, dagli amici distratti, dalle donne incuranti, dalla Riviera cinica e gaudente, dalla farmacopea speculatrice, dall'oblio delle folle volubili... Piccole schegge di verità (forse), nessuna bastante a spiegare il precipizio umano del Pirata, che peró vengono ingigantite fino al rango di arma letale. L'innocenza restituita (a tutti) dalla morte non basta a placare questa mentalità puerilmente assolutoria, che imputa sempre e comunque "agli altri" il peso della croce che ciascuno si porta appresso, con minore o maggiore disinvoltura. No, si vuole un Pantani vittima anche in vita, incompreso e bistrattato, quasi condotto al suicidio dall'indifferenza e dalla crudeltà del mondo malvagio.
Non è così, non funziona così per nessuno, nemmeno per Pantani. Intanto la depressione (in genere nominata, con eufemismo letterario, "male oscuro", così come il cancro è "brutto male": terapia dello struzzo) è una malattia, diagnosticabile e spesso curabile, non un malefizio. Non è il lusso romantico e maudit degli eroi caduti, è un tragico tilt che coglie anche operai, massaie, docenti universitari, adolescenti. E nemmeno il più scalcinato terapeuta si sognerebbe di dire al depresso che la causa di quello sprofondo psichico è la malvagità degli altri: sarebbe un tremendo, imperdonabile errore. Piuttosto, cercherebbe di indirizzarlo verso uno scavo interiore, perchè è l'io che diventa nemico, l'io il carceriere che impedisce di aprire le finestre. E dunque tutto questo imputare alla società , alla sfortuna, all'invidia, alla persecuzione di imprecisati poteri ostili la triste fine di Marco Pantani, è un pessimo, diseducativo segnale indirizzato ai tanti (tanti!) che soffrono della sua stessa malattia.
- Pubblicità -
Non per caso, mentre nelle prime ore della scomparsa del campione si è detto e ridetto che era stato abbandonato da tutti, ora emergono, come era logico che fosse, progetti di recupero ideati da qualche amico meno disattento, per esempio quello di don Gelmini. Le amicizie balorde (che pure non mancano mai, specie per i ricchi e famosi) paiono meno devastanti e soprattutto meno esclusive di come piaceva pensare ai teorici del Pantani traviato dai Lucignoli: qualcuno che si preoccupava c'era, qualcuno che ci provava pure, e la traviatura (vedi il viaggio a Cuba) era autoinflitta.
E mentre Maradona (altro genio amatissimo, ma bisognoso di aiuto) dichiara che "la colpa è di tutti", forse specchiandosi nella sua propria giustificazione permanente, pare ovvio e necessario dire che ciascuno porta la sua lanterna, nel buio della vita, e che il passaggio più significativo, per entrare nell'età adulta, è per tutti sempre il medesimo, famosi o non famosi, bravi e meno bravi: accettare i propri errori, la propria incompletezza, l'insopportabile eppure evidente scoperta che possiamo deludere gli altri, dispiacere e non solo piacere, sbagliare e non solo avere ragione, perdere e non solo trionfare. Che questo ostico rendiconto della propria limitatezza sia particolarmente duro per un giovane uomo abituato a svettare tra due ali di folla osannante, è probabilmente vero. Ma additare la fine di Pantani come eclatante esempio di martirio dell'incompreso è davvero scellerato, perchè non solo i depressi, ma milioni di ragazzi alle prese con la propria complicata formazione saranno rafforzati nel loro comodo alibi di eterne vittime del mondo.
Il lutto per Pantani è, nello sgomento e nella tristezza, un lutto bello e consolante: esprime ammirazione, gratitudine e amore per la spettacolosa grazia atletica dell'uomo che sale, supera se stesso, trasforma una bestiale sofferenza in una gloriosa arrampicata sull'Olimpo. Perfino il virilismo romagnolo (struttura psicologico-culturale che non mi è particolarmente cara) assumeva, in Pantani, cadenze quasi spirituali, leggere, femminili quando inanellava i tornanti di asfalto come un morbido gomitolo. Non si addice, a questo lutto concorde, il molle piagnisteo italiota sulle "colpe degli altri". Gli altri, se hanno colpa, e rimorso, dovranno sbrigarsela comunque da soli, pure loro, faticando a prendere sonno come a tutti capita, prima o poi.
Lui merita un compianto profondo, e la memoria intatta di chi aspetterà per sempre, seduto sui prati, di vedere passare il Pirata. Non merita che lo si agiti come uno straccio inerte, come una bandiera bianca, per potere continuare a lamentarci ciascuno della sua debolezza, ad aggrapparsi ciascuno alle sue eterne giustificazioni da bimbo. Siamo spesso soli, tutti, specie nei momenti decisivi: non possiamo chiedere proprio a un uomo che cercava sempre la fuga, l'arrivo solitario, di aiutarci a rimanere intruppati nella desolante mediocrità dei nostri alibi.
SALUTI
- Inchiostro Simpatico
- Veterano dell'impulso
- Messaggi: 3290
- Iscritto il: 01/05/2001, 2:00
Aldo Grasso vede la vicenda così....e devo dire che sono d'accordo al 100%
Ipocrisia in diretta
di Aldo Grasso
Almeno quando muore un grande campione non potremmo fare un po' di silenzio, misurare le parole, evitare di dare il peggio di noi? Almeno per rispetto, almeno per riconoscenza. D'un tratto ci troviamo di fronte a un mistero così inestricabile come la morte, forse un congedo deliberato, e non sappiamo fare di meglio che andare in tv a dire con pervicacia la nostra, a piazzare il nostro io ubriaco di protagonismo davanti al suo. Speriamo che dall'ultima Cima Coppi, Marco Pantani abbia un po' d'indulgenza nei nostri confronti, perdoni la nostra presunzione, guardi in surplace il nostro vano cavillare. No, Pantani meritava qualcosa di più di quanto abbiamo saputo riservargli, del solito affollato teatrino.
àˆ stato tutto un trionfo di «io lo conoscevo bene», di analisi sulla sua fine, di retorica a buon mercato, di riferimenti al «male oscuro», di pietà ad uso delle telecamere. Il culmine dell'assurdo lo si è raggiunto alla Domenica sportiva quando un conduttore, lì presente nelle improprie vesti di opinionista, ha puntato il dito sui genitori in vacanza in Grecia, rei di non averlo accudito.
Che ne sappiamo noi dell'animo di un sofferente? Che ne sappiamo di cosa gli frulla in testa quando decide di staccare la spina? Che ne sappiamo dei suoi rapporti più stretti? Adesso poi non c'è trasmissione che non abbia il suo psicoanalista di pronto impiego cui chiedere le «vere» ragioni di un dramma. E quello pronto, in un secondo, a spiegare i meandri della psiche, le colpe della società , le terapie non messe in atto: ah, ci fosse stato lui vicino a Pantani! La verità è che tanta retorica, tanto spreco di immagini scosse dal vento arido del dolorismo, tante spiegazioni dimostrano ancora una volta che attingiamo a piene mani all'ipocrisia per nasconderci la realtà .
Domenica abbiamo sentito parecchi commentatori che parlavano apertamente di droga, di brutte compagnie, di perdizione. Eppure erano gli stessi che raccontando le corse del campione sono sempre stati attenti a non infrangere il muro di omertà che i mondi chiusi, come quello dello sport, spesso erigono.
Adesso tutti a dire che il doping è un problema importante, che lo sport rischia l'estinzione se non si fa piazza pulita. Al più presto. Eppure il doping nel ciclismo, a seguire le cronache in tv, sembra non sia mai esistito; a distanza di anni si celebrano ancora record ottenuti a base di emotrasfusioni come se fossero grandi conquiste dell'uomo! Lo sport non è più sport ma show business: l'attenzione degli sponsor e dei media va sollecitata continuamente, abbattendo ogni anno i limiti imposti dal fisico umano, spostando in avanti la soglia di resistenza al dolore. Questa è la suprema impostura e il ricordo di certe scene in cui la polizia francese sequestra al Tour auto piene di infernali beveroni dell'invincibilità è ancora vivo.
La conoscenza di sè si paga sempre troppo cara. Forse Pantani ha visto quello che non doveva vedere, quello che non siamo capaci di vedere, e ha attraversato l'ultimo vecchio ponte. Vengono in mente solo i versi che Fabrizio De Andrè scrisse per il suo amico Luigi Tenco: «Ascolta la sua voce che ormai canta nel vento / Dio di misericordia vedrai, sarai contento».
Ipocrisia in diretta
di Aldo Grasso
Almeno quando muore un grande campione non potremmo fare un po' di silenzio, misurare le parole, evitare di dare il peggio di noi? Almeno per rispetto, almeno per riconoscenza. D'un tratto ci troviamo di fronte a un mistero così inestricabile come la morte, forse un congedo deliberato, e non sappiamo fare di meglio che andare in tv a dire con pervicacia la nostra, a piazzare il nostro io ubriaco di protagonismo davanti al suo. Speriamo che dall'ultima Cima Coppi, Marco Pantani abbia un po' d'indulgenza nei nostri confronti, perdoni la nostra presunzione, guardi in surplace il nostro vano cavillare. No, Pantani meritava qualcosa di più di quanto abbiamo saputo riservargli, del solito affollato teatrino.
àˆ stato tutto un trionfo di «io lo conoscevo bene», di analisi sulla sua fine, di retorica a buon mercato, di riferimenti al «male oscuro», di pietà ad uso delle telecamere. Il culmine dell'assurdo lo si è raggiunto alla Domenica sportiva quando un conduttore, lì presente nelle improprie vesti di opinionista, ha puntato il dito sui genitori in vacanza in Grecia, rei di non averlo accudito.
Che ne sappiamo noi dell'animo di un sofferente? Che ne sappiamo di cosa gli frulla in testa quando decide di staccare la spina? Che ne sappiamo dei suoi rapporti più stretti? Adesso poi non c'è trasmissione che non abbia il suo psicoanalista di pronto impiego cui chiedere le «vere» ragioni di un dramma. E quello pronto, in un secondo, a spiegare i meandri della psiche, le colpe della società , le terapie non messe in atto: ah, ci fosse stato lui vicino a Pantani! La verità è che tanta retorica, tanto spreco di immagini scosse dal vento arido del dolorismo, tante spiegazioni dimostrano ancora una volta che attingiamo a piene mani all'ipocrisia per nasconderci la realtà .
Domenica abbiamo sentito parecchi commentatori che parlavano apertamente di droga, di brutte compagnie, di perdizione. Eppure erano gli stessi che raccontando le corse del campione sono sempre stati attenti a non infrangere il muro di omertà che i mondi chiusi, come quello dello sport, spesso erigono.
Adesso tutti a dire che il doping è un problema importante, che lo sport rischia l'estinzione se non si fa piazza pulita. Al più presto. Eppure il doping nel ciclismo, a seguire le cronache in tv, sembra non sia mai esistito; a distanza di anni si celebrano ancora record ottenuti a base di emotrasfusioni come se fossero grandi conquiste dell'uomo! Lo sport non è più sport ma show business: l'attenzione degli sponsor e dei media va sollecitata continuamente, abbattendo ogni anno i limiti imposti dal fisico umano, spostando in avanti la soglia di resistenza al dolore. Questa è la suprema impostura e il ricordo di certe scene in cui la polizia francese sequestra al Tour auto piene di infernali beveroni dell'invincibilità è ancora vivo.
La conoscenza di sè si paga sempre troppo cara. Forse Pantani ha visto quello che non doveva vedere, quello che non siamo capaci di vedere, e ha attraversato l'ultimo vecchio ponte. Vengono in mente solo i versi che Fabrizio De Andrè scrisse per il suo amico Luigi Tenco: «Ascolta la sua voce che ormai canta nel vento / Dio di misericordia vedrai, sarai contento».
Non sottovalutate la potenza di questo utente
[url=http://www.superzeta.it/viewtopic.php?t=5578&highlight=vademecum]Vademecum sul P2P[/url]
[url=http://www.superzeta.it/viewtopic.php?t=5578&highlight=vademecum]Vademecum sul P2P[/url]
-
- Nuovi Impulsi
- Messaggi: 389
- Iscritto il: 12/12/2003, 11:10
- Località: mantova
sono abbastanza d'accordo con quello che avete scritto o riportato
vorrei peró aggiungere che Marco Pantani ha pagato, anche sul piano sportivo, il conto più salato di tutti e sicuramente non era il peggiore della compagnia
anche se i risvolti sono meno tragici, la dinamica è molto simile a quella di Cecchi Gori: la Fiorentina non era l'unica società calcistica fortemente indebitata, peró sostanzialmente ha pagato anche per le altre, senza dimenticare poi il trattamento che hanno riservato alla persona, con l'irruzione boccaccesca degli agenti in divisa nella sua stanza da letto
vorrei peró aggiungere che Marco Pantani ha pagato, anche sul piano sportivo, il conto più salato di tutti e sicuramente non era il peggiore della compagnia
anche se i risvolti sono meno tragici, la dinamica è molto simile a quella di Cecchi Gori: la Fiorentina non era l'unica società calcistica fortemente indebitata, peró sostanzialmente ha pagato anche per le altre, senza dimenticare poi il trattamento che hanno riservato alla persona, con l'irruzione boccaccesca degli agenti in divisa nella sua stanza da letto
Condivido appieno cioó che scrivi, ma si sa in ITALIA funziona così, va tutto bene finchè non disturbi qualcuno che te la fa pagare......ecco xchè il centrismo va per la maggiore.
Io la chiamerei IPOCRISIA...............e FURFANTERIA.
Non devi mai emergere dalla massa, altrimenti sono guai.
E' il motivo anche per cui molti geni se ne vanno all'estero, qui è tutto mediocre e controllato dalla mafia spesso invisibile.
Saluti
Io la chiamerei IPOCRISIA...............e FURFANTERIA.
Non devi mai emergere dalla massa, altrimenti sono guai.
E' il motivo anche per cui molti geni se ne vanno all'estero, qui è tutto mediocre e controllato dalla mafia spesso invisibile.
Saluti
- DON CHISCIOTTE
- Storico dell'impulso
- Messaggi: 14322
- Iscritto il: 20/11/2002, 16:12
oggi hanno fatto i funerali, hanno detto che c'erano circa 20.000 persone..
più ci penso e non capisco come abbia fatto a morire così...
è la cocaina che lo ha ridotto così
o sono state tutte le grane sportive che lo hanno portato alla cocaina?
era finito come atleta..magari non era stato neanche un campione ,,ma sicuramente come uomo doveva essere salvato...indipendentemente dal fatto che era un debole..
chi sapeva che era ridotto a tal punto come ha fatto a far finta di niente??
qualcuno dovrebbe vergognarsi..
più ci penso e non capisco come abbia fatto a morire così...
è la cocaina che lo ha ridotto così
o sono state tutte le grane sportive che lo hanno portato alla cocaina?
era finito come atleta..magari non era stato neanche un campione ,,ma sicuramente come uomo doveva essere salvato...indipendentemente dal fatto che era un debole..
chi sapeva che era ridotto a tal punto come ha fatto a far finta di niente??
qualcuno dovrebbe vergognarsi..
- Husker_Du
- Storico dell'impulso
- Messaggi: 13931
- Iscritto il: 30/11/2003, 21:56
- Località: United Kingdom
Pensare che la stessa fine l'ha fatta uno dei migliori amici di Pantani (nel gruppo dei ciclisti), vale a dire Jose Maria Jimenez (grandissimo scalatore anche se non come Pantani), morto l'anno scorso per arresto cardiaco. Malato di depressione e con problemi di cocaina......
"Signori benpensanti, spero non vi dispiaccia,
se in cielo in mezzo ai Santi, Dio fra le sue braccia, soffochera' il singhiozzo di quelle labbra smorte che all'odio e all'ignoranza preferirono la morte"
se in cielo in mezzo ai Santi, Dio fra le sue braccia, soffochera' il singhiozzo di quelle labbra smorte che all'odio e all'ignoranza preferirono la morte"
Acc... non lo sapevo!
Triste la sua morte indubbiamente e soprattutto il modo in cui se ne è andato (34 anni sigh!).
Credo che a questo mondo quando ti viene meno la speranza, hai delle grosse chances in meno di poter passare attraverso i problemi della vita senza lasciarci qualcosa....
Non ha voluto lasciarsi aiutare, questo ha contribuito ad ucciderlo dentro sempre di più.
Saluti
Triste la sua morte indubbiamente e soprattutto il modo in cui se ne è andato (34 anni sigh!).
Credo che a questo mondo quando ti viene meno la speranza, hai delle grosse chances in meno di poter passare attraverso i problemi della vita senza lasciarci qualcosa....
Non ha voluto lasciarsi aiutare, questo ha contribuito ad ucciderlo dentro sempre di più.
Saluti
marco pantani
Marco hai dimostrato il tuo valore ,difficile pensare ad1fragilità di carattere vedendo come scalavi le montagne resistendo ad una fatica esagerata senza paura,facile pensare perció che qualcuno l'ha fatta grossa e la pagherà ,qualcuno ti ha ucciso e ti avrà sulla coscienza per sempre mentre tu avrai le grandi vittorie meritate 2 giri d'italia (uno vinto sul campo l'altro moralmente)e1 tour de france da record lo stesso anno del giro impresa unica e l'amore enorme che hai suscitato in tutta l'italia,Marco riposa in pace..........
- balkan wolf
- Storico dell'impulso
- Messaggi: 32697
- Iscritto il: 07/07/2003, 23:26
- Località: Balkan caverna
- Contatta:
sinceramente m'importa sega
sottoscrivo la tesi di trez eroe-mostro ancora eroe
ma andate a cacare ( non voi in generale )
l'unica pagina di sport SERIO recente sono le 50 pere che gli inglesi hanno rifilato ad un arrogante itaGlietta nel sei nazioni di rugby
una vittoria SERIA fatta da una squadra SERIA in uno sport SERIO... il resto sono puttanate per riempire i giornali...
cristo santo oggi giocava la francia e me la perdo ( in bulgaria non sanno manco cosa cazzo è il rugby )
p.s. il "personaggio" pantani mi era pure simpatico ma ovv. non è questo il punto
sottoscrivo la tesi di trez eroe-mostro ancora eroe
ma andate a cacare ( non voi in generale )
l'unica pagina di sport SERIO recente sono le 50 pere che gli inglesi hanno rifilato ad un arrogante itaGlietta nel sei nazioni di rugby
una vittoria SERIA fatta da una squadra SERIA in uno sport SERIO... il resto sono puttanate per riempire i giornali...
cristo santo oggi giocava la francia e me la perdo ( in bulgaria non sanno manco cosa cazzo è il rugby )
p.s. il "personaggio" pantani mi era pure simpatico ma ovv. non è questo il punto
“Quando il treno dei tuoi pensieri sferraglia verso il passato e le urla si fanno insopportabili, ricorda che c’è sempre la follia. La follia è l’uscita d’emergenza!”
Alan Moore the killing joke
Alan Moore the killing joke
- Husker_Du
- Storico dell'impulso
- Messaggi: 13931
- Iscritto il: 30/11/2003, 21:56
- Località: United Kingdom
Dubito che la nazionale di Rugby italiana possa scendere in campo in modo arrogante....non puo' permetterselo....gli inglesi invece si!
"Signori benpensanti, spero non vi dispiaccia,
se in cielo in mezzo ai Santi, Dio fra le sue braccia, soffochera' il singhiozzo di quelle labbra smorte che all'odio e all'ignoranza preferirono la morte"
se in cielo in mezzo ai Santi, Dio fra le sue braccia, soffochera' il singhiozzo di quelle labbra smorte che all'odio e all'ignoranza preferirono la morte"
- balkan wolf
- Storico dell'impulso
- Messaggi: 32697
- Iscritto il: 07/07/2003, 23:26
- Località: Balkan caverna
- Contatta:
husk mi riferivo al clima che c'era a roma e ai ridicoli commenti pre partita dei giornalisti...
i giocatori italiani sono stati serissimi dopo la partita e hanno semplicemente ammesso di aver fatto qualche cazzata di troppo con un avversario severo che appena sgarri ti punisce... fine della storia
i giocatori italiani sono stati serissimi dopo la partita e hanno semplicemente ammesso di aver fatto qualche cazzata di troppo con un avversario severo che appena sgarri ti punisce... fine della storia
“Quando il treno dei tuoi pensieri sferraglia verso il passato e le urla si fanno insopportabili, ricorda che c’è sempre la follia. La follia è l’uscita d’emergenza!”
Alan Moore the killing joke
Alan Moore the killing joke
- Drogato_ di_porno
- Storico dell'impulso
- Messaggi: 77510
- Iscritto il: 20/06/2002, 2:00
Da www.cicloweb.it un articolo che condivido pienamente
Sciacalli ci fate schifo
Quello che proprio ti fa incazzare è che ne vieni fagocitato, senza neanche rendertene conto. Stai lì a guardare inebetito e non ti ricordi neanche che hai il telecomando, che se vuoi puoi cambiare canale. Nel mondo dei media, insegnano i sociologi della comunicazione, tutto va al contrario: è l'offerta che genera la domanda. Non sei tu che hai voglia di una mela, e allora il negoziante se la procura e te la offre. No, nel mondo dei media è il negoziante che decide, per chissà quali interessi, che tu devi mangiare 10 mele al giorno, e allora te le propina e a te sembra di non poterne più fare a meno. Ma in realtà non ne fai a meno perchè non conosci, o hai dimenticato, il sapore delle arance, delle angurie, delle pesche. Con tutto il rispetto per la frutta, stiamo parlando di tv.
Televisione. Televisione italiana, per la precisione.
Marco Pantani è morto tragicamente. Ne siamo sconvolti, distrutti, non ci capacitiamo di come un uomo che, nel bene e nel male, ha significato così tanto per noi e per quest'ultimo decennio, sia potuto finire così. Ci siamo chiusi nel nostro dolore, abbiamo versato in silenzio le nostre lacrime, abbiamo cercato un moto di conforto nei messaggi che quelli come noi, distrutti da un lutto comune eppure così intimo, avevano lasciato nei vari forum, sui vari siti. Un modo come un altro per condividere un momento difficile.
Poi c'è l'altro modo di affrontare certe questioni. Speculando, parlandosi addosso, elucubrando, promuovendo le proprie verità assolute, dando per scontate cose che in realtà non si conoscono affatto; così facendo, calpestando la dignità di chi è morto, di chi è rimasto vivo e piange, e vorrebbe silenzio e sobrietà e invece gli tocca questo mercato volgare, chiassoso e squalificante.
Dalla sera di sabato in poi è stato tutto un susseguirsi, in televisione, di trasmissioni mostruose, incapaci di focalizzare alcunchè all'infuori dello smisurato ego di chi le frequenta e ha sempre una sentenza, una dichiarazione, un punto di vista su ogni cosa. Personaggi che parlano e opinano solo perchè hanno la lingua in bocca (e perchè qualcuno li paga per farlo, ahinoi), ma senza alcuna cognizione di causa su qualsiasi fatto; che sentenziano per sentito dire, senza mai verificare la fondatezza di una convinzione; che chiacchierano da anni e ancora siamo qui ad aspettare che dicano una, una cosa interessante, degna di essere ascoltata.
Avevamo un disperato bisogno di ricordare, di stringerci (in ritardo) intorno a Pantani, di sentirci parte di una comunità che ha condiviso le magiche e successivamente tragiche emozioni della sua vita. Invece ci imbattevamo da una parte (li facciamo i nomi, li facciamo) in Piccinini che, indossata la faccia della contrizione, si sforzava di porre domande non scontate a Cipollini nell'attesa di mandare il solito autospot-truffa sul suo giornale Controcampo, e passava la palla ai suoi retori Mughini e Ordine che a malincuore dovevano rinviare a dopo le loro arguzie su Juve e Milan.
E dall'altra in Giletti e Zazzaroni (non stiamo a spiegare quali facce ci siano dietro a tutti questi nomi: se li conoscete bene, se non li conoscete vi invidiamo) che pontificavano e svisceravano una questione di cui erano visibilmente digiuni, con Zucconi collegato via satellite e con il solito spettinato psichiatra pronto alla bisogna (Andreoli, si chiama così?), il quale naturalmente non si faceva pregare per avanzare ipotesi e tracciare addirittura il profilo psicologico di un uomo che a stento aveva sentito nominare prima di domenica.
E poi ancora, figurarsi se poteva esimersi Biscardi dal dedicare mezza trasmissione al fatto del giorno! Figurarsi se il saccente Ferrara e l'insipida Palombelli potevano non ricamare sulla vicenda, magari mascherando la cosa con un'intervista al giornalista-scrittore di turno. Figurarsi se Bruno Vespa poteva mancare l'appuntamento con il ricordo, e siamo già fortunati che non avesse in studio il plastico del residence Le Rose di Rimini.
Quel che è peggio, "quelli del ciclismo" si sono prestati ai teatrini. Forse per voler dare la loro versione, certo più attendibile di quelle di conduttori, nani e ballerine. E invece non si sono resi conto di aver fatto solo il gioco della televisione che tutto ingurgita e tutto mastica e poi sputa dopo due giorni. Si sono messi nelle mani di gente che è abituata a trasformare in merda tutto quello che tocca (scusate l'espressione. L'indirizzo mail è in alto, mandatecene di più efficaci, se ne siete capaci).
Tony Lo Schiavo, vicedirettore di Bicisport, quale impulso ti ha spinto ad andare al Processo di Biscardi, in mezzo a personaggi che settimanalmente si scannano (per finta) su rigori non dati e arbitri venduti, e che da decenni dimostrano quanto puó regredire la civiltà del genere umano? Che bisogno c'era? Speravi che il pubblico di Biscardi sentisse la tua voce in mezzo a quella cagnara?
Davide Cassani, non ti perdoneremo il tuo sfogo alla Domenica Sportiva. Sapevi, temevi, intuivi ma non hai fatto niente per fermare la spirale autodistruttiva di Marco. Stai malissimo. Rispettiamo il tuo dolore, ci mancherebbe; ma perchè andarlo a spiattellare in televisione? Cosa volevi ottenere? Quale cultura soggiace a quelle lacrime, a quelle autoaccuse davanti alle telecamere? La cultura dei Costanzo, delle De Filippi, delle D'Eusanio, delle Vite in diretta, degli Stranamore, di quelli che credono (e ne hanno convinto il pubblico, dannazione!) che la tv sia il lavacro di ogni male, che basti passare da un tubo catodico per rifarsi una coscienza, che basti esibire un lutto davanti a milioni di occhi avidi (resi avidi) di real-tv per elaborarlo.
Quella macchietta di Diego Maradona ha detto che siamo tutti colpevoli per la morte di Pantani. Niente paura, è la solita accusa generica che non fa male a nessuno, il solito grido di vittimismo inutile. Eppure è anche vero, per certi versi. Siamo colpevoli di aver permesso questo genere di industria culturale, capace di partorire simili vergogne; di non essercene accorti in tempo (e ormai è troppo tardi) e di aver accettato supinamente il sopruso televisivo.
Marco Pantani è morto. Ecco che cosa ci sarebbe piaciuto, una volta piante le nostre lacrime: ci sarebbe piaciuto che la Rai ripescasse una tappa del Giro o del Tour del '98, e la riproponesse per intero, con la voce di Adriano a commentarla, senza sottotitoli, o presentazioni, o superflue specificazioni. Ci sarebbe piaciuto che Italia1 facesse eco e ci facesse rivedere il Mortirolo nel '94 (il Giro quell'anno era di Mediaset), quando Pantani malmenó nientemeno che Indurain e si presentó al mondo che senza saperlo era avido di lui. Anche lì, la tappa per intero, senza fronzoli.
Sarebbe stato il modo migliore per onorare il campione che non c'è più. Sarebbe stato, sì. Sarebbe stata anche una scelta civile, ma, dobbiamo aver pazienza e farci coraggio, qui intorno, in questo declino e questa decadenza, di civiltà se ne respira proprio poca.
Marco Grassi
Sciacalli ci fate schifo
Quello che proprio ti fa incazzare è che ne vieni fagocitato, senza neanche rendertene conto. Stai lì a guardare inebetito e non ti ricordi neanche che hai il telecomando, che se vuoi puoi cambiare canale. Nel mondo dei media, insegnano i sociologi della comunicazione, tutto va al contrario: è l'offerta che genera la domanda. Non sei tu che hai voglia di una mela, e allora il negoziante se la procura e te la offre. No, nel mondo dei media è il negoziante che decide, per chissà quali interessi, che tu devi mangiare 10 mele al giorno, e allora te le propina e a te sembra di non poterne più fare a meno. Ma in realtà non ne fai a meno perchè non conosci, o hai dimenticato, il sapore delle arance, delle angurie, delle pesche. Con tutto il rispetto per la frutta, stiamo parlando di tv.
Televisione. Televisione italiana, per la precisione.
Marco Pantani è morto tragicamente. Ne siamo sconvolti, distrutti, non ci capacitiamo di come un uomo che, nel bene e nel male, ha significato così tanto per noi e per quest'ultimo decennio, sia potuto finire così. Ci siamo chiusi nel nostro dolore, abbiamo versato in silenzio le nostre lacrime, abbiamo cercato un moto di conforto nei messaggi che quelli come noi, distrutti da un lutto comune eppure così intimo, avevano lasciato nei vari forum, sui vari siti. Un modo come un altro per condividere un momento difficile.
Poi c'è l'altro modo di affrontare certe questioni. Speculando, parlandosi addosso, elucubrando, promuovendo le proprie verità assolute, dando per scontate cose che in realtà non si conoscono affatto; così facendo, calpestando la dignità di chi è morto, di chi è rimasto vivo e piange, e vorrebbe silenzio e sobrietà e invece gli tocca questo mercato volgare, chiassoso e squalificante.
Dalla sera di sabato in poi è stato tutto un susseguirsi, in televisione, di trasmissioni mostruose, incapaci di focalizzare alcunchè all'infuori dello smisurato ego di chi le frequenta e ha sempre una sentenza, una dichiarazione, un punto di vista su ogni cosa. Personaggi che parlano e opinano solo perchè hanno la lingua in bocca (e perchè qualcuno li paga per farlo, ahinoi), ma senza alcuna cognizione di causa su qualsiasi fatto; che sentenziano per sentito dire, senza mai verificare la fondatezza di una convinzione; che chiacchierano da anni e ancora siamo qui ad aspettare che dicano una, una cosa interessante, degna di essere ascoltata.
Avevamo un disperato bisogno di ricordare, di stringerci (in ritardo) intorno a Pantani, di sentirci parte di una comunità che ha condiviso le magiche e successivamente tragiche emozioni della sua vita. Invece ci imbattevamo da una parte (li facciamo i nomi, li facciamo) in Piccinini che, indossata la faccia della contrizione, si sforzava di porre domande non scontate a Cipollini nell'attesa di mandare il solito autospot-truffa sul suo giornale Controcampo, e passava la palla ai suoi retori Mughini e Ordine che a malincuore dovevano rinviare a dopo le loro arguzie su Juve e Milan.
E dall'altra in Giletti e Zazzaroni (non stiamo a spiegare quali facce ci siano dietro a tutti questi nomi: se li conoscete bene, se non li conoscete vi invidiamo) che pontificavano e svisceravano una questione di cui erano visibilmente digiuni, con Zucconi collegato via satellite e con il solito spettinato psichiatra pronto alla bisogna (Andreoli, si chiama così?), il quale naturalmente non si faceva pregare per avanzare ipotesi e tracciare addirittura il profilo psicologico di un uomo che a stento aveva sentito nominare prima di domenica.
E poi ancora, figurarsi se poteva esimersi Biscardi dal dedicare mezza trasmissione al fatto del giorno! Figurarsi se il saccente Ferrara e l'insipida Palombelli potevano non ricamare sulla vicenda, magari mascherando la cosa con un'intervista al giornalista-scrittore di turno. Figurarsi se Bruno Vespa poteva mancare l'appuntamento con il ricordo, e siamo già fortunati che non avesse in studio il plastico del residence Le Rose di Rimini.
Quel che è peggio, "quelli del ciclismo" si sono prestati ai teatrini. Forse per voler dare la loro versione, certo più attendibile di quelle di conduttori, nani e ballerine. E invece non si sono resi conto di aver fatto solo il gioco della televisione che tutto ingurgita e tutto mastica e poi sputa dopo due giorni. Si sono messi nelle mani di gente che è abituata a trasformare in merda tutto quello che tocca (scusate l'espressione. L'indirizzo mail è in alto, mandatecene di più efficaci, se ne siete capaci).
Tony Lo Schiavo, vicedirettore di Bicisport, quale impulso ti ha spinto ad andare al Processo di Biscardi, in mezzo a personaggi che settimanalmente si scannano (per finta) su rigori non dati e arbitri venduti, e che da decenni dimostrano quanto puó regredire la civiltà del genere umano? Che bisogno c'era? Speravi che il pubblico di Biscardi sentisse la tua voce in mezzo a quella cagnara?
Davide Cassani, non ti perdoneremo il tuo sfogo alla Domenica Sportiva. Sapevi, temevi, intuivi ma non hai fatto niente per fermare la spirale autodistruttiva di Marco. Stai malissimo. Rispettiamo il tuo dolore, ci mancherebbe; ma perchè andarlo a spiattellare in televisione? Cosa volevi ottenere? Quale cultura soggiace a quelle lacrime, a quelle autoaccuse davanti alle telecamere? La cultura dei Costanzo, delle De Filippi, delle D'Eusanio, delle Vite in diretta, degli Stranamore, di quelli che credono (e ne hanno convinto il pubblico, dannazione!) che la tv sia il lavacro di ogni male, che basti passare da un tubo catodico per rifarsi una coscienza, che basti esibire un lutto davanti a milioni di occhi avidi (resi avidi) di real-tv per elaborarlo.
Quella macchietta di Diego Maradona ha detto che siamo tutti colpevoli per la morte di Pantani. Niente paura, è la solita accusa generica che non fa male a nessuno, il solito grido di vittimismo inutile. Eppure è anche vero, per certi versi. Siamo colpevoli di aver permesso questo genere di industria culturale, capace di partorire simili vergogne; di non essercene accorti in tempo (e ormai è troppo tardi) e di aver accettato supinamente il sopruso televisivo.
Marco Pantani è morto. Ecco che cosa ci sarebbe piaciuto, una volta piante le nostre lacrime: ci sarebbe piaciuto che la Rai ripescasse una tappa del Giro o del Tour del '98, e la riproponesse per intero, con la voce di Adriano a commentarla, senza sottotitoli, o presentazioni, o superflue specificazioni. Ci sarebbe piaciuto che Italia1 facesse eco e ci facesse rivedere il Mortirolo nel '94 (il Giro quell'anno era di Mediaset), quando Pantani malmenó nientemeno che Indurain e si presentó al mondo che senza saperlo era avido di lui. Anche lì, la tappa per intero, senza fronzoli.
Sarebbe stato il modo migliore per onorare il campione che non c'è più. Sarebbe stato, sì. Sarebbe stata anche una scelta civile, ma, dobbiamo aver pazienza e farci coraggio, qui intorno, in questo declino e questa decadenza, di civiltà se ne respira proprio poca.
Marco Grassi