e vedi che ti scopro (in grassetto la parte che reputo piu interessante)
[b:f3c515844c]I maestri stranieri del trionfo cinese
Tecnici, allenatori, preparatori dall'estero: così la Cina è cresciuta in fretta in tante discipline[/b:f3c515844c]
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
PECHINO - Per diventare grande, la Cina dello sport ha saputo guardare anche fuori dai propri confini. Già prima della febbre dell'oro che ha preceduto i Giochi di Pechino. Allenatori, preparatori, maestri: chi poteva garantire la resa degli atleti-patrioti è stato chiamato a dare il suo contributo. Molte delle medaglie dell'Olimpiade appena chiusa portano il marchio di tecnici venuti da fuori, anche se non sempre la convivenza è stata lineare e serena.
Non è un fenomeno solo recente. Quando ai Giochi di Tokio la nazionale nipponica femminile di volley si aggiudicò l'oro (a spese dell'odiata Urss), a rimanere colpito fu anche l'allora premier della Repubblica Popolare, Zhou Enlai. Era il 1964, e uno dei più rispettati leader comunisti cinesi non si fece scrupolo di far contattare l'artefice di quello storico trionfo. Si chiamava Daimatsu Hirofumi, un allenatore durissimo che chiedeva alle sue atlete sei ore di training quotidiano sette giorni su sette, vietava una vita sentimentale, ricorreva a insulti e maniere forti. Scorie del vecchio militarismo giapponese, a detta di molti. Zhou si fidò del tecnico fenomeno, benché figlio di un Paese detestato dai cinesi. Hirofumi fu per un mese assistente speciale della nazionale femminile di volley, la Rivoluzione culturale maoista si sarebbe scatenata solo l'anno dopo, aperture così erano ancora possibili. Quanto alla durezza, è rimasta, anzi in Cina è legge.
Adesso le scelte sono meno avventurose e più sistematiche. Lo sport cinese è (ed è stato) abitato e animato da una costellazione di figure anche efficaci, mercenari più o meno di successo. Il serbo Bora Milutinovic, fra le cinque nazionali guidate, vanta la Cina (qualificazione ai Mondiali nippo-coreani, 2002), e prima di lui era stata la volta del tedesco Klaus Schlapner, tuttora una mezza celebrità . Ma è sulle discipline più propriamente olimpiche che si è concentrato lo sforzo di Pechino. [b:f3c515844c]Con l'assegnazione dei Giochi nel 2001, poi, venne delineata una strategia per conquistare medaglie là dove tradizionalmente si falliva o non si era neppure in corsa: si chiamò Progetto 119, dal numero totale delle medaglie cui puntare nei territori vergini di atletica leggera, nuoto, canottaggio, canoa, vela. Pechino 2008 dimostra che lo sforzo ha funzionato.[/b:f3c515844c]
Tra gli stranieri c'è di tutto, una babele, dall'hockey su prato con il coreano Kim Chang-Back al nuoto sincronizzato femminile con la giapponese Masayo Imura, dallo spagnolo Juan Jane Giralt (pallanuoto donne) ai lituani Igor Gringo (canottaggio) e Jonas Kazlauskas (basket maschile) fino al baseball dell'americano Jim Lefebvre. Non tutti si adattano a una logica che vede nell'allenamento esasperato il cardine del lavoro, il guru della canoa tedesca Josef Capousek ha mollato a ridosso dei Giochi dopo aver vissuto dal 2006, ha raccontato, "con la valigia pronta". Lo ha rimpiazzato un connazionale, Marek Ploch, più organico ai desideri cinesi. Il transalpino Christian Bauer, maestro della scherma prima francese (Sydney) e poi italiana (Atene) si è accasato a Pechino l'anno scorso. E' uno che capisce e non si adegua. Di fronte alla depressione delle sue sciabolatrici battute dalle francesi in finali imprecava: "Non è un oro perso, ma un argento vinto, per la miseria!". Vallo a spiegare ai cinesi, anche se ti pagano lo stipendio.
da corriere.it
come avevo visto da prima delle olimpiadi....
pero non ero a conoscenza del progetto 119..
