[O.T.] Le feste di Natale (ma diverse)
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[O.T.] Le feste di Natale (ma diverse)
Apro un Topic sul Natale, nonostante ce ne siano almeno una mezza dozzina, perchè questo Natale che vorrei trattare e commentare con Voi, è un Natale diverso.
Lo spunto me lo ha dato nientepopódimenochè Dostoevskij !
Mesi fà ,infatti, ho avuto modo di (ri)leggere Memorie di una casa mortae all'interno di questo bellissimo libro, c'è un capitolo che parla delle feste natalizie.
Questo capitolo è quasi un diario delle festività natalizie vissute in un carcere russo.
Questo è il racconto.
Buona Lettura e Buon Natale.
LA FESTA DEL NATALE
Finalmente giunsero anche le feste. Già alla vigilia i detenuti quasi non
andarono fuori a lavorare. Andarono ai laboratori di sartoria, alle officine;
gli altri si trovarono solo allo smistamento e, pur essendo stati destinati qua e là , quasi tutti, uno per volta o a gruppi tornarono subito nel reclusorio e dopo desinare nessuno più ne uscì. E anche la mattina la maggior parte erano andati fuori soltanto per faccende loro e non per cose del governo: taluni a darsi da fare per portardentro acquavite e ordinarne di nuova; altri a vedere i compari e le comari di conoscenza, o a riscuotere per la festa i piccoli crediti per i lavori da essi eseguiti in precedenza; Bakluscin e i partecipanti allo spettacolo per fare il
giro di certi conoscenti, in prevalenza servi di ufficiali, e procurarsi i travestimenti necessari. Taluni giravano con aria pensierosa e affaccendata unicamente perchè anche altri erano pensierosi e affaccendati, e benchè certuni per esempio, non avessero denaro da ricevere da nessuna parte, tuttavia anch'essi avevano un aspetto come
se da qualcuno dovessero riceverne; insomma pareva che tutti si aspettassero per il giorno seguente un qualche mutamento, qualcosa di straordinario. Verso sera gli invalidi che andavano al mercato per le commissioni dei detenuti tornarono portando con sè molta roba da mangiare d'ogni genere: carne di manzo, porcellini, perfino oche. Molti detenuti, anche i più modesti ed economi che durante tutto l'anno
avevano raggranellato le loro copeche, si stimavano in dovere di slacciare la borsa per una simile giornata e di celebrare degnamente la rottura del digiuno. La giornata di domani era un'autentica inalienabile festa del detenuto, riconosciutagli formalmente dalla legge. ln quel giorno il detenuto non poteva essere mandato al lavoro, e di simili giorni nell'anno ce n'erano tre in tutto.
E infine chi sa quanti ricordi dovevano svegliarsi nelle anime di quei reietti
nell'imminenza di un tal giorno! Le giornate di festa solenne s'imprimono
nettamente, sin dall'infanzia, nella memoria delle persone del popolo. Sono giorni di riposo dai loro duri lavori, giorni di adunanze familiari. Nel reclusorio, poi, essi dovevano venir ricordati con pena, con angoscia. Il rispetto per la giornata solenne si trasformava nei detenuti perfino in una specie di formalismo, pochi facevano baldoria;
tutti erano seri e come intenti a qualche occupazione, sebbene molti non
avessero proprio quasi nulla da fare. Ma anche i bisboccioni oziosi si
sforzavano di conservare una certa gravità ... Le risate parevano proibite. Lo stato d'animo generale era
arrivato a una specie di meticolosità e di irritabile intolleranza, e chi
turbava il tono generale, fosse pure inavvertitamente, veniva subito messo a posto con grida e ingiurie, e contro di lui ci si adirava come se avesse mancato di rispetto alla
festa medesima. Questo stato d'animo dei detenuti era degno di nota e perfino commovente. Oltre questa innata reverenza per il gran giorno, il detenuto provava inconsapevolmente la sensazione che, con siffatta osservanza della festa, egli veniva a essere come in contatto con tutto il mondo, che, per conseguenza, non era del tutto un uomo ripudiato e perduto, un brandello tagliato via, che nel reclusorio come fra gli uomini quel giorno era uguale. Essi lo sentivano, e questo si poteva vedere e
capire.
Akim Akimic' si preparava anche lui intensamente per la festa.
Egli non aveva ricordi familiari, perchè era cresciuto orfano in casa altrui e
quasi fin dai quindici anni aveva cominciato a prestare un duro servizio; nella sua vita non c'erano state nemmeno gioie particolari, perchè aveva trascorso tutta la sua vita in modo regolare, uniforme, temendo sempre di sgarrare non fosse che di un capello dai doveri a lui assegnati. Non era nemmeno particolarmente religioso, perchè la correttezza pareva avere in lui assorbito tutte le sue altre doti e qualità umane, tutte le passioni e i desideri, buoni e cattivi. In conseguenza di tutto ció, egli si apprestava a salutare la solenne giornata senza affannarsi, senza agitarsi, senza essere turbato da angosciosi e del tutto inutili ricordi, ma con una quieta e metodica correttezza che egli possedeva nella misura esattamente
necessaria per il compimento del dovere e di un rito una volta per sempre
insegnatogli. E poi in generale non gli piaceva riflettere molto.
Il significato di un fatto pareva non sfiorare mai la sua mente, ma egli
osservava le norme una volta indicategli con religioso scrupolo. Se il giorno dopo gli avessero ordinato di fare esattamente l'opposto, l'avrebbe fatto con la stessa docilità e meticolosità della vigilia. Una volta, una sola volta nella vita si era provato ad agire di sua testa, ed era finito in galera. La lezione non era andata perduta per lui. E sebbene non gli fosse riservato dalla sorte di poter capire un giorno quale precisamente fosse stata la sua colpa, aveva peró tratto dalla sua avventura una
regola salutare: non ragionare mai e in nessuna circostanza, perchè il ragionare "non era fatto per la sua testa", come si esprimevano tra loro i detenuti.
Ciecamente ligio alla forma, egli considerava con un certo qual pregiudiziale rispetto perfino il suo porcellino natalizio, che aveva imbottito di "kascia" e fatto arrostire (di propria mano, perchè sapeva anche arrostire), come se quello non fosse un ordinario porcellino che in ogni momento si sarebbe potuto comprare e cuocere arrosto, ma un porcellino tutto speciale, natalizio. Forse fin dall'infanzia si era abituato a vedere sulla tavola in quel giorno un porcellino, e ne aveva dedotto che
questo fosse indispensabile per tale giornata, e io sono sicuro che, se anche solo una volta non avesse in quell'occasione mangiato il porcellino, gli sarebbe rimasto per tutta la vita un rimorso di coscienza per il non compiuto dovere.
Prima della festa aveva sempre portato la sua vecchia casacca e i suoi vecchi calzoni, decorosamente rattoppati, sì, ma ormai del tutto frusti. Si vide ora che la nuova muta, consegnatagli fin da quattro mesi avanti, l'aveva custodita gelosamente nel suo bauletto e non l'aveva mai toccata, nel pensiero, che gli sorrideva in cuor suo, di inaugurarla solennemente per la festività . E così egli fece. Fin dalla sera tiró fuori la sua muta nuova, la spiega, la esaminó, la spolveró, ci soffió sopra e, fatto tutto questo, se la misuró preventivamente. Vide che la muta gli andava a pennello, era tutta decorosa e si abbottonava strettamente fino in
cima, e il colletto, come se fosse di cartone, teneva ben alto il mento; alla
vita si era formato addirittura qualcosa di simile al garbo di un'uniforme, e
Akim Akimic' sorrise perfino dal piacere e non senza baldanza si rigiró davanti a un suo minuscolo specchietto, intorno al quale, di sua mano e già da molto tempo, aveva incollato in un momento libero un orlino dorato. Solo un gangheretto del collo
della casacca gli era parso che non fosse al suo posto. Fatta tale
considerazione, Akim
Akimic' decise di spostare il gangheretto; lo spostó, misuró nuovamente la
casacca e vide che ormai tutto andava bene. Allora ripiegó ogni cosa come prima e con l'animo tranquillo ripose la muta nel bauletto fino al giorno dopo. La sua testa era rasa in maniera soddisfacente; ma,guardatosi con attenzione nello specchietto,egli notó che la testa non pareva del tutto liscia: ne spuntavano dei peli appena visibili, ed egli andó subito dal "maggiore" per farsi radere in modo perfettamente corretto e regolamentare. E sebbene nessuno dovesse il giorno dopo passare
l'ispezione ad Akim Akimic', egli si fece radere unicamente per la tranquillità della propria coscienza, per compiere, in vista di una simile giornata, tutti i suoi doveri.
La reverenza di fronte a un bottone, a una controspallina, a un occhiello si era stampata incancellabilmente nel suo spirito sin dall'infanzia come un
incontestabile dovere e nel suo cuore come un'immagine del supremo grado di bellezza che un uomo perbene puó raggiungere. Sbrigata ogni cosa, egli, quale detenuto anziano della camerata, ordinó che si portasse del fieno e osservó con cura come lo si sparpagliava sul pavimento. La stessa cosa avveniva anche nelle altre camerate.
Non so perchè, ma per il Natale sempre si spargeva nella nostra camerata del fieno.
Poi, terminate tutte le sue fatiche, Akim Akimic' pregó Dio, si stese sulla sua
cuccetta e subito si addormentó del sonno placido di un bimbo, per svegliarsi il mattino dopo il più possibile di buon'ora. Proprio così fecero del resto anche gli altri detenuti.
In tutte le camerate si coricarono molto prima del solito. I consueti lavori
serali furono disertati; del "majdà n" nemmeno si fece parola.
Tutti attendevano
il mattino seguente.
Lo spunto me lo ha dato nientepopódimenochè Dostoevskij !
Mesi fà ,infatti, ho avuto modo di (ri)leggere Memorie di una casa mortae all'interno di questo bellissimo libro, c'è un capitolo che parla delle feste natalizie.
Questo capitolo è quasi un diario delle festività natalizie vissute in un carcere russo.
Questo è il racconto.
Buona Lettura e Buon Natale.
LA FESTA DEL NATALE
Finalmente giunsero anche le feste. Già alla vigilia i detenuti quasi non
andarono fuori a lavorare. Andarono ai laboratori di sartoria, alle officine;
gli altri si trovarono solo allo smistamento e, pur essendo stati destinati qua e là , quasi tutti, uno per volta o a gruppi tornarono subito nel reclusorio e dopo desinare nessuno più ne uscì. E anche la mattina la maggior parte erano andati fuori soltanto per faccende loro e non per cose del governo: taluni a darsi da fare per portardentro acquavite e ordinarne di nuova; altri a vedere i compari e le comari di conoscenza, o a riscuotere per la festa i piccoli crediti per i lavori da essi eseguiti in precedenza; Bakluscin e i partecipanti allo spettacolo per fare il
giro di certi conoscenti, in prevalenza servi di ufficiali, e procurarsi i travestimenti necessari. Taluni giravano con aria pensierosa e affaccendata unicamente perchè anche altri erano pensierosi e affaccendati, e benchè certuni per esempio, non avessero denaro da ricevere da nessuna parte, tuttavia anch'essi avevano un aspetto come
se da qualcuno dovessero riceverne; insomma pareva che tutti si aspettassero per il giorno seguente un qualche mutamento, qualcosa di straordinario. Verso sera gli invalidi che andavano al mercato per le commissioni dei detenuti tornarono portando con sè molta roba da mangiare d'ogni genere: carne di manzo, porcellini, perfino oche. Molti detenuti, anche i più modesti ed economi che durante tutto l'anno
avevano raggranellato le loro copeche, si stimavano in dovere di slacciare la borsa per una simile giornata e di celebrare degnamente la rottura del digiuno. La giornata di domani era un'autentica inalienabile festa del detenuto, riconosciutagli formalmente dalla legge. ln quel giorno il detenuto non poteva essere mandato al lavoro, e di simili giorni nell'anno ce n'erano tre in tutto.
E infine chi sa quanti ricordi dovevano svegliarsi nelle anime di quei reietti
nell'imminenza di un tal giorno! Le giornate di festa solenne s'imprimono
nettamente, sin dall'infanzia, nella memoria delle persone del popolo. Sono giorni di riposo dai loro duri lavori, giorni di adunanze familiari. Nel reclusorio, poi, essi dovevano venir ricordati con pena, con angoscia. Il rispetto per la giornata solenne si trasformava nei detenuti perfino in una specie di formalismo, pochi facevano baldoria;
tutti erano seri e come intenti a qualche occupazione, sebbene molti non
avessero proprio quasi nulla da fare. Ma anche i bisboccioni oziosi si
sforzavano di conservare una certa gravità ... Le risate parevano proibite. Lo stato d'animo generale era
arrivato a una specie di meticolosità e di irritabile intolleranza, e chi
turbava il tono generale, fosse pure inavvertitamente, veniva subito messo a posto con grida e ingiurie, e contro di lui ci si adirava come se avesse mancato di rispetto alla
festa medesima. Questo stato d'animo dei detenuti era degno di nota e perfino commovente. Oltre questa innata reverenza per il gran giorno, il detenuto provava inconsapevolmente la sensazione che, con siffatta osservanza della festa, egli veniva a essere come in contatto con tutto il mondo, che, per conseguenza, non era del tutto un uomo ripudiato e perduto, un brandello tagliato via, che nel reclusorio come fra gli uomini quel giorno era uguale. Essi lo sentivano, e questo si poteva vedere e
capire.
Akim Akimic' si preparava anche lui intensamente per la festa.
Egli non aveva ricordi familiari, perchè era cresciuto orfano in casa altrui e
quasi fin dai quindici anni aveva cominciato a prestare un duro servizio; nella sua vita non c'erano state nemmeno gioie particolari, perchè aveva trascorso tutta la sua vita in modo regolare, uniforme, temendo sempre di sgarrare non fosse che di un capello dai doveri a lui assegnati. Non era nemmeno particolarmente religioso, perchè la correttezza pareva avere in lui assorbito tutte le sue altre doti e qualità umane, tutte le passioni e i desideri, buoni e cattivi. In conseguenza di tutto ció, egli si apprestava a salutare la solenne giornata senza affannarsi, senza agitarsi, senza essere turbato da angosciosi e del tutto inutili ricordi, ma con una quieta e metodica correttezza che egli possedeva nella misura esattamente
necessaria per il compimento del dovere e di un rito una volta per sempre
insegnatogli. E poi in generale non gli piaceva riflettere molto.
Il significato di un fatto pareva non sfiorare mai la sua mente, ma egli
osservava le norme una volta indicategli con religioso scrupolo. Se il giorno dopo gli avessero ordinato di fare esattamente l'opposto, l'avrebbe fatto con la stessa docilità e meticolosità della vigilia. Una volta, una sola volta nella vita si era provato ad agire di sua testa, ed era finito in galera. La lezione non era andata perduta per lui. E sebbene non gli fosse riservato dalla sorte di poter capire un giorno quale precisamente fosse stata la sua colpa, aveva peró tratto dalla sua avventura una
regola salutare: non ragionare mai e in nessuna circostanza, perchè il ragionare "non era fatto per la sua testa", come si esprimevano tra loro i detenuti.
Ciecamente ligio alla forma, egli considerava con un certo qual pregiudiziale rispetto perfino il suo porcellino natalizio, che aveva imbottito di "kascia" e fatto arrostire (di propria mano, perchè sapeva anche arrostire), come se quello non fosse un ordinario porcellino che in ogni momento si sarebbe potuto comprare e cuocere arrosto, ma un porcellino tutto speciale, natalizio. Forse fin dall'infanzia si era abituato a vedere sulla tavola in quel giorno un porcellino, e ne aveva dedotto che
questo fosse indispensabile per tale giornata, e io sono sicuro che, se anche solo una volta non avesse in quell'occasione mangiato il porcellino, gli sarebbe rimasto per tutta la vita un rimorso di coscienza per il non compiuto dovere.
Prima della festa aveva sempre portato la sua vecchia casacca e i suoi vecchi calzoni, decorosamente rattoppati, sì, ma ormai del tutto frusti. Si vide ora che la nuova muta, consegnatagli fin da quattro mesi avanti, l'aveva custodita gelosamente nel suo bauletto e non l'aveva mai toccata, nel pensiero, che gli sorrideva in cuor suo, di inaugurarla solennemente per la festività . E così egli fece. Fin dalla sera tiró fuori la sua muta nuova, la spiega, la esaminó, la spolveró, ci soffió sopra e, fatto tutto questo, se la misuró preventivamente. Vide che la muta gli andava a pennello, era tutta decorosa e si abbottonava strettamente fino in
cima, e il colletto, come se fosse di cartone, teneva ben alto il mento; alla
vita si era formato addirittura qualcosa di simile al garbo di un'uniforme, e
Akim Akimic' sorrise perfino dal piacere e non senza baldanza si rigiró davanti a un suo minuscolo specchietto, intorno al quale, di sua mano e già da molto tempo, aveva incollato in un momento libero un orlino dorato. Solo un gangheretto del collo
della casacca gli era parso che non fosse al suo posto. Fatta tale
considerazione, Akim
Akimic' decise di spostare il gangheretto; lo spostó, misuró nuovamente la
casacca e vide che ormai tutto andava bene. Allora ripiegó ogni cosa come prima e con l'animo tranquillo ripose la muta nel bauletto fino al giorno dopo. La sua testa era rasa in maniera soddisfacente; ma,guardatosi con attenzione nello specchietto,egli notó che la testa non pareva del tutto liscia: ne spuntavano dei peli appena visibili, ed egli andó subito dal "maggiore" per farsi radere in modo perfettamente corretto e regolamentare. E sebbene nessuno dovesse il giorno dopo passare
l'ispezione ad Akim Akimic', egli si fece radere unicamente per la tranquillità della propria coscienza, per compiere, in vista di una simile giornata, tutti i suoi doveri.
La reverenza di fronte a un bottone, a una controspallina, a un occhiello si era stampata incancellabilmente nel suo spirito sin dall'infanzia come un
incontestabile dovere e nel suo cuore come un'immagine del supremo grado di bellezza che un uomo perbene puó raggiungere. Sbrigata ogni cosa, egli, quale detenuto anziano della camerata, ordinó che si portasse del fieno e osservó con cura come lo si sparpagliava sul pavimento. La stessa cosa avveniva anche nelle altre camerate.
Non so perchè, ma per il Natale sempre si spargeva nella nostra camerata del fieno.
Poi, terminate tutte le sue fatiche, Akim Akimic' pregó Dio, si stese sulla sua
cuccetta e subito si addormentó del sonno placido di un bimbo, per svegliarsi il mattino dopo il più possibile di buon'ora. Proprio così fecero del resto anche gli altri detenuti.
In tutte le camerate si coricarono molto prima del solito. I consueti lavori
serali furono disertati; del "majdà n" nemmeno si fece parola.
Tutti attendevano
il mattino seguente.
Non votate per me. Io sono fuori dal Cerchio Magico.
- El Diablo
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- Iscritto il: 26/10/2007, 1:16
- Località: Abruzzo,Texas,Inferno
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Mi è piaciuto,un retrogusto dolceamaro che tocca il cuore.
Si spera sempre che sia un Natale buono per tutti,ma gli auguri veri ce li faremo tra qualche giorno
Hai preso il racconto in qualche sito? Si potrebbe avere il link,per favore?
Grazie
Si spera sempre che sia un Natale buono per tutti,ma gli auguri veri ce li faremo tra qualche giorno

Hai preso il racconto in qualche sito? Si potrebbe avere il link,per favore?
Grazie

"Più le cose cambiano, più restano le stesse"
"I lesbo sono migliori se leggermente asimmetrici" Gargarozzo
"I lesbo sono migliori se leggermente asimmetrici" Gargarozzo
El Diablo ha scritto:Mi è piaciuto,un retrogusto dolceamaro che tocca il cuore.
Si spera sempre che sia un Natale buono per tutti,ma gli auguri veri ce li faremo tra qualche giorno
Hai preso il racconto in qualche sito? Si potrebbe avere il link,per favore?
Grazie
http://www.readme.it/libri/9/9002040.shtml
La parte che ho postato ( capitolo 10,parte) è quella che mi fa riflettere ( ma,a quanto pare, non solo più solo

Ma tutto il Libro è straordinario.
Il Nostro Fede Dosto è un tipo davvero interessante....

Non votate per me. Io sono fuori dal Cerchio Magico.
No, Ser J , mai.
I Libri li compro e li regalo (non li presto praticamente mai).
In questo caso ho dovuto cercare il libro in rete per non doverlo scrivere tutto io nel Topic
.
Se ti interessa la discussione, quì puoi farti un'idea di come l'argomento sia abbondantemente trattato anche quì da Noi...
viewtopic.php?t=23995&highlight=libri
e anche quì....
viewtopic.php?t=17628&highlight=libro
I Libri li compro e li regalo (non li presto praticamente mai).
In questo caso ho dovuto cercare il libro in rete per non doverlo scrivere tutto io nel Topic

Se ti interessa la discussione, quì puoi farti un'idea di come l'argomento sia abbondantemente trattato anche quì da Noi...
viewtopic.php?t=23995&highlight=libri
e anche quì....
viewtopic.php?t=17628&highlight=libro
Non votate per me. Io sono fuori dal Cerchio Magico.
Da un bel po' di anni detesto il Natale, a causa di vari motivi...
Ezechiele 25,17. "Il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dall'iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre perchè egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti e la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e distruggere i miei fratelli e tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farà calare la mia vendetta sopra di te."
- jhonnybuccia
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- Messaggi: 6603
- Iscritto il: 28/07/2007, 18:37