GeishaBalls ha scritto: ↑08/04/2025, 17:33
Osservo curioso l’appassionata difesa della manovra di Trump. Un po’ scontato il tentativo di attribuire la responsabilità all’Europa, visto che si parla di Trump vs Resto del Mondo, sembra lo stesso tipo di spiegazione di Putin che invade l’Ucraina per evitare la guerra (denazificare, proteggere i russofoni, ecc).
In questa narrazione addirittura l’America viene raccontata come di una generosità senza riserve per decenni, ed ora smette di regalare al mondo, tutto un mondo di parassiti, ovviamente. Bah, saranno dei geni incompresi, oppure degli psicopatici che pensano di aver un diritto divino sugli altri.
Intanto dal Sole24ore pare che anche Musk, non Soros, abbia dei dubbi
Musk contro consigliere al commercio di Trump, «un cretino»
Elon Musk contro Peter Navarro. L’amministratore delegato di Tesla ha definito “un cretino” il consigliere al Commercio del presidente statunitense Donald Trump. In precedenza, nel corso di un’intervista alla Cnbc, Navarro aveva detto di Musk: “Alla Casa Bianca lo capiamo tutti, e lo capiscono anche gli americani, che Elon è un produttore di auto. Anzi, è un assemblatore di auto”, considerato che “buona parte” delle batterie delle auto Tesla arriva dal Giappone e dalla Cina. “È più stupido di un sacco di mattoni”, ha aggiunto Musk, ricordando che Tesla è la casa automobilistica con più vetture Made in America.
Non ci vuole poi molto non parla coi morti,riconosce chi ha davanti e non confonde i paesi tra di loro come il suo immediato predecessore (allora si diceva che i filmati che lo testimoniavano erano manipolati da "hacker russi") .Lo scrivente ritiene che i dazi alla Cina (che possiede i mezzi statuali e la coesione politica per resistere a differenza dei paesi satelliti europei pronti ad ingoiare tutto) non sortiranno grandi risultati ma questo lo dirà il tempo.Musk fa i suoi interessi come tutti e si sapeva fosse contrario
La prova che questo piano non sia una fantasia complottista è scritta nero su bianco in un saggio di economia, pubblicato nel novembre 2024 da Hudson Bay Capital Management, una società americana di gestione degli investimenti multistrategia con sede a Greenwich, nel Connecticut. Come quasi sempre avviene, le strategie economico-politiche anglosassoni poggiano, infatti, le loro radici su solide basi accademiche.
Il saggio in questione si intitola A User’s Guide to Restructuring the Global Trading System (Manuale d’uso per la ristrutturazione del sistema commerciale globale), scritto da Stephen Miran, nuovo presidente del Council of Economic Advisors della Casa Bianca, uno degli uomini più vicini al presidente e più influenti nella strategia dei dazi: dottorato a Harvard, una carriera da grande investitore a Hudson Bay Capital, vicino al segretario al Tesoro USA, Scott Bessent.
Ne riportiamo solo un passaggio significativo, dove Miram fa sue le parole di Zoltan Pozsar, economista ungherese-americano noto per la sua analisi del sistema bancario ombra, fondatore e CEO della Ex Uno Plures (società di consulenza macroeconomica), già membro dell’Investment Committee del Credit Suisse, con sede a New York, consulente senior presso il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti e visiting scholar presso il Fondo Monetario Internazionale.
Nel suo saggio, Miram cita Poszar:
«L’interpretazione che dà Poszar sulle intenzioni dei probabili leader della politica economica di una seconda amministrazione Trump (Miram scriveva a fine 2024, NdR) collega esplicitamente la fornitura di un ombrello di sicurezza da parte degli Stati Uniti con il sistema finanziario internazionale e deduce che gli sforzi per ridurre i tassi di interesse possono contribuire a finanziare la zona di sicurezza.
Egli sintetizza così il Mar-a-Lago Accord, il progetto per ristrutturare il sistema finanziario internazionale, redatto da economisti di area trumpiana e consulenti esterni come Zoltan Pozsar:
1) le zone di sicurezza sono un bene pubblico e i Paesi all’interno di essa devono finanziarle acquistando titoli di Stato USA;
2) le zone di sicurezza sono un bene capitale, quindi vanno finanziate con obbligazioni della durata di un secolo (century bonds), non con denaro a breve termine;
3) le zone di sicurezza hanno fili spinati: se non scambiate le vostre banconote con obbligazioni, i dazi vi terranno fuori dalla protezione del recinto».
Pagare (due volte) l’ombrello militare americano
Le minacce dei dazi è solo una delle due morse della tenaglia che Trump sta stringendo sull’Europa. L’altro è il diktat che sia l’Europa a occuparsi della sicurezza dell’Ucraina.
Quindi, da un lato dovremo finanziare il debito americano a tassi irrisori e con durata secolare, per continuare a usufruire dell’ombrello del Pentagono; dall’altra dovremmo sborsare 800 miliardi (per ora…) del piano di ReArme Europe della Von der Leyen: a chi, se non all’industria bellica americana?
Come scrive New Lines Magazine:
«Il mercato e l’influente lobby del complesso militare-industriale statunitense possono avere la meglio, per così dire, su qualsiasi tendenza ideologica della Casa Bianca. Vendere armi all’Europa, anche se l’Europa ha intenzione di donarle o venderle all’Ucraina, è una prospettiva allettante per qualsiasi amministrazione statunitense, tanto più per un’amministrazione che si vanta di gestire l’America come un’azienda affamata di entrate».
Il Club of Gold-Abstainers
Mettere sullo stesso tavolo la gestione della liquidità mondiale e la difesa militare non è un’idea originale di Trump.
È già successo con Lyndon Johnson (36º Presidente USA, 1963-1969) e ha funzionato. Attorno alla metà degli anni Sessanta, una soluzione per contenere il crescente deficit USA e far fronte ai costi del mantenimento delle truppe americane (e inglesi) della NATO in Germania arrivò con il cosiddetto club of gold-abstainers (il club dei Paesi che si astengono dal chiedere la conversione dei dollari in oro, un’anticipazione del dollar standard che sarebbe arrivato solo nel 1971 con Nixon).
Così descrive l’iniziativa Timothy Andrews Sayle, nel suo saggio Enduring Alliance, A History of NATO post War global order, Cornell University Press, 2019:
«I tedeschi accettarono che la Bundesbank acquistasse abbastanza titoli di Stato USA per coprire almeno la metà delle eccedenze estere sostenute dagli americani per mantenere le proprie truppe in Germania. Significativamente, essi promettevano di non chiedere la conversione in oro dei dollari. Questo poneva i tedeschi in un “dollar standard”. A Washington le ricadute non solo per la difesa, ma anche per le spese governative furono enormi. Bator1 disse al presidente Johnson che ora “Non dobbiamo più preoccuparci troppo del nostro deficit”».