GeishaBalls ha scritto: ↑13/02/2021, 5:44
Qui si parla di Trump e del suo tentativo di sovvertire le elezioni. Qualche anima buona ora pensa sia perseguitato, qualche anima inquieta pensa sia rilevante alla discussione indicare riferimenti a Truman e Sinatra (L ’incapacità di stare su un tema deve essere stata un problema fin dalle scuole elementari, immagino)
Nel frattempo muover rivelazioni, Trump era consapevole di cosa stavano facendo le persone che aveva mandato a Capitol Hill
https://cnn.it/3b57Nae?fbclid=IwAR2kuk0 ... rSVZK7yoUE
“ Washington (CNN) - In an expletive-laced phone call with House Republican leader Kevin McCarthy while the Capitol was under attack, then-President Donald Trump said the rioters cared more about the election results than McCarthy did.“
Con la tua abituale disinvoltura passi da un peana alla Grande Democrazia Americana ad attacchi al sottoscritto vabbè. cmq copio ed incollo la parte interessante di un articolo di "Limes" per lo scenario futuro
Dopo i fatti del Campidoglio, Oltreoceano è stata ordinata la dannazione dell’oligarca newyorkese. Su imbeccata della burocrazia washingtoniana, i Big Tech hanno accettato di sospendere Trump da ogni piattaforma a tempo indefinito. Perfino acconsentendo, per costrizione e narcisismo, di mostrarsi all’estero come unici decisori in materia.
Così, stando alla vulgata mediatica, il fondatore di Twitter Jack Dorsey avrebbe bandito l’ex presidente su sollecitazione dei suoi più stretti collaboratori, dopo due tweet con cui questi annunciava che non avrebbe partecipato all’inaugurazione di Biden e definiva «grandi patrioti» gli insorti. «Conservarne il profilo sarebbe come collaborare con i nazisti» 11, ha lasciato trapelare l’azienda di San Francisco.
E il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, in vacanza alle Hawaii, avrebbe seguito l’esempio di Dorsey perché intimamente convinto che Trump sia stato l’istigatore morale dell’assalto al Campidoglio, al termine di un personale esame di coscienza.
In realtà l’oscuramento è stato ordinato dalla Cia, dall’Fbi e dal Pentagono, nonostante le lamentele dei social network, preoccupati dalle conseguenze finanziarie di tale decisione. Come dimostrato dal tentativo di Twitter, durato appena 48 ore, di ristabilire l’account @realdonaldtrump. E dall’inverosimile comitato per il controllo, composto da 20 membri internazionali di cui cinque americani, incaricato da Zuckerberg di rivedere il caso.
Esito inevitabile in una nazione che vive di potenza e non di profitto, in cui i giganti del Web sono semplici gestori di tecnologie prodotte al Pentagono, da Internet al microprocessore, dal cellulare a Siri. Soggetti sottoposti alle decisioni delle agenzie centrali, dipendenti da queste per la propria sopravvivenza, consapevoli di non poter mancare la prossima invenzione prodotta in ambiente militare 12 – la spesa federale in innovazione resta il doppio di quella del settore privato. Con buona pace dell’Europa occidentale – Italia in testa – a digiuno di geopolitica, ingenuamente convinta siano stati proprio i Big Tech a decidere il nuovo corso, intenta a interrogarsi sui limiti alla libertà d’espressione fissati da sopravvalutate aziende private, invece di cogliere la natura imperiale del provvedimento.
Dopo aver perso l’eloquio, nelle intenzioni degli apparati Trump dovrebbe subire la permanente interdizione dai pubblici uffici. Sviluppo difficoltoso per riluttanza dei senatori conservatori, timorosi di perdere l’enorme elettorato tuttora afferente al fronte trumpiano – per realizzare l’impeachment servono 17 voti repubblicani.
Piuttosto, nel medio periodo il newyorkese resterà sotto costante minaccia giudiziaria, ragione che ha determinato la nomina del giudice Garland. Probabilmente Trump non rischia la vita – una sua fumosa eliminazione provocherebbe l’ulteriore precipitare delle tensioni interne – ma nulla è impossibile in questa fase.
Con lo Stato federale che intende risolvere unilateralmente la questione. Mentre ragiona su come scongiurare il decisivo avvitarsi della nazione.
Al riguardo la grammatica strategica fornisce un’indicazione indisputabile. Per evitare lo stallo conviene trasferire verso l’esterno la turbolenza interna, affinché questa si scateni altrove, affinché la popolazione si coaguli contro un nemico comune. Non necessariamente cominciare una nuova guerra, quanto lanciarsi in una crisi che impegni la popolazione, possibilmente funzionale all’interesse nazionale.
Nei prossimi mesi gli Stati Uniti potrebbero dedicarsi a uno specifico dossier per distrarre l’opinione pubblica, per esaltare l’omogeneità della cittadinanza, per confermarne la disciplina sociale, specie in tempi incerti. La superpotenza potrebbe scatenare la propria ira sul pianeta, come in passato
Anzitutto sull’Asia-Pacifico, sfidando la Cina nei mari rivieraschi, puntellando la difesa di Taiwan, ergendosi a paladina dell’autonomia di Hong Kong, dei diritti degli uiguri. Oppure applicando altra pressione sull’Iran per costringerlo al tavolo delle trattive, sfiorando la guerra prima di ottenere il placet dell’ayatollah Khamenei. O ancora dedicandosi al contenimento della Russia nel suo estero vicino, oppure nel Mediterraneo. Estroversione che dovrebbe ripristinare la materia di cui vive la popolazione americana, ovvero lo status, l’influenza esercitata sugli altri, il prestigio della posizione egemonica.
Manovre intrise di notevoli rischi. La cancellazione di Trump potrebbe acuire la rabbia dei suoi sostenitori, decine di milioni di cittadini reali. Di più. Non sarà la sua fine a risolvere il malessere interno, perché di questo non è l’artefice. Imprenditore yankee, Trump ha saputo dolosamente trasformarsi nel difensore delle istanze sudiste e medioccidentali, elevarsi a rappresentante delle macroregioni più doloranti della nazione, laddove non risiederebbe neppure mezza giornata, prima di fuggire inorridito. Prova inconfutabile di come la tempesta in atto lo preceda, di come questa non si esaurirà con una sua (eventuale) dipartita.
Nel tentativo di andare oltremare, gli Stati Uniti potrebbero impantanarsi in un conflitto mediamente inutile, di cui beneficerebbero i nemici, come negli anni successivi all’11 settembre. Oppure il fallimento dell’operazione potrebbe aumentare la frustrazione dell’opinione pubblica, già incollerita per il complesso rapporto che intrattiene con l’impero, desiderosa di dedicarsi al proprio ombelico.
Il rinnovato impegno nel mondo potrebbe dilaniare il paese, diviso tra il malessere interiore e la tensione originata all’esterno, con la possibilità di prolungare lo strazio. Dimensione tragica della svolta che lo Stato profondo intende imprimere agli eventi. Senza esitazioni.
5. I fatti del Campidoglio potrebbero privare gli Stati Uniti del principale vettore imperiale, centrato sull’esaltazione della democrazia, sull’esportazione del proprio regime istituzionale. Non solo perché nella narrazione sarà assai arduo convertire il tragico assalto al Congresso in una storia a lieto fine, in cui lo Stato di diritto ha sconfitto chi intendeva calpestarlo. Perfino Biden, cui è riconosciuta una insospettabile verginità, faticherà oltremodo a nobilitare i fatti.
Il fronte trumpiano potrebbe denunciare il definitivo avvento degli apparati, popolati di funzionari non eletti. Accusando apertamente il «malvagio Stato profondo» d’aver soppiantato la politica, di voler zittire l’ex presidente, di voler distruggere QAnon – non le milizie che possibilmente saranno riconvertite anziché dismesse, come previsto dalla tradizione statunitense. Finora il commissariamento dell’amministrazione federale non è stato colto all’estero, dove vige la certezza che a dare le carte sia Biden, quasi ottantenne, probabilmente condannato a un solo mandato, affiancato da una vicepresidente che lo scorso anno rinunciò a partecipare alle primarie democratiche per assenza di consenso. Benché di parte, la chiassosa protesta del newyorkese potrebbe squarciare il velo, esponendo ulteriormente l’inconsistente democrazia d’Oltreoceano. O perlomeno causare la paralisi della vita istituzionale.
Specie se Trump continuasse a respingere il preteso buon tono in sprezzo della sua incolumità, offrendo al mondo una claustrofobica immagine della superpotenza. Nulla di sconvolgente in qualsiasi altro contesto. Ogni collettività che punta a salvarsi, come ogni essere umano, non può essere pienamente democratica, giacché animata dalla paura, costretta ad agire con feroce determinazione. Ma tanta antropologica realtà risulta irricevibile laddove la democrazia è stata resa strumento di potenza, archetipo per condannare le manovre altrui.