La dirigenza imbecille e criminale del cosiddetto partito democratico (se il risultato non è "quello giusto" non è valido!) colpisce ancora
YORK. Iowa? Diciamolo, questo percorso elettorale americano non poteva cominciare peggio. Ieri notte ci si aspettava di tutto, una vittoria a sorpresa, un risultato in pareggio, un forte vantaggio, atteso, per Bernie Sanders, ma non si poteva immaginare che la corsa del partito democratico per detronizzare Donald Trump finisse in paralisi ai blocchi di partenza. Con molte conseguenze. La campagna di Donald Trump ha già ridicolizzato l’incompetenza dei democratici. Questo “non risultato”, questo tilt dei meccanismi per i conteggi elettorali ha già scombinato la coreografia e gli ingranaggi che portano alle primarie del New Hampshire: comunque sia, tutto, riallocazione dei donatori, impostazione della campagna, messaggi dei vincitori, partiranno in ritardo di almeno un giorno. Non si era mai visto o sentito. I conteggi dei caucus sono i più semplici, richiedono al massimo un paio d’ore, ma le ultime notizie ci dicono che «forse si saprà qualcosa martedì in giornata». La spiegazione la troviamo in risultati diversi, incongrui, in arrivo dai nuovi tre diversi metodi per conteggiare il voto 1) gli schieramenti nei caucus, 2) il voto popolare e 3) il numero dei delegati che spettano a ciascun concorrente. I democratici dell’Iowa volevano la trasparenza assoluta, la prova del nove, hanno voluto innovare e sono stati ripagati dal caos. Ed ecco che a notte già fonda, gli scrutatori sono dovuti tornare a un esame manuale della votazione e ricominciare da capo.
Così, per un attimo, in questa prima lunga, anzi lunghissima notte elettorale per la Casa Bianca 2020 è sembrato che in Iowa si cristallizzassero da una parte tutti i limiti della correttezza politica che ha voluto strafare, poi i limiti di una tecnologia digitale che non ha retto lo sforzo e infine, cosa più triste su cui capitalizzeranno in molti, tutti i malesseri dei processi democratici in crisi. E difatti, mentre in Iowa ci si perdeva nella confusione, ciascun candidato era pronto da una parte a dichiarare vittoria («abbiamo fatto storia, abbiamo vinto» è riuscito a dire Buttigieg quando si era all’oscuro di tutto) ma dall’altra a inficiare i risultati in caso di un voto reale sgradito. Come nel caso di Joe Biden che ha addirittura scritto una lettera minacciosa al partito.
Presto queste polemiche e caos che hanno fatto "storia" in Iowa diventeranno irrilevanti. Fra poche ore avremo i risultati, avremo un vincitore, le prospettive della vigilia si faranno più chiare e torneremo ai quesiti di sempre: possibile che Bernie Sanders, comunque il favorito in Iowa, possa davvero correre contro Donald Trump? Possibile che ci sia davvero alle porte una rivoluzione socialista, prima all’interno del partito Democratico e poi in America, come ci hanno raccontato ieri sera prima Bernie Sanders con gli occhi infiammati (Crazy Bernie lo chiama Trump) e poi Elizabeth Warren, determinata combattiva, ma con gli occhi già gonfi?
La risposta è no. Non solo per il ricordo della schiacciante sconfitta di Corbyn in Gran Bretagna che ha già portato molto realismo all’interno del partito. Ma soprattutto perché l’America non è la Finlandia, il modello economico sociale di riferimento di Sanders. Che la differenza fra un modello “nordico” e un modello “americano”, sia incolmabile me l’ha chiarita ieri Bill Clinton molto prima del caos dell’Iowa. Ci siamo trovati in un’altra occasione, simbolica di questi tempi di rottura, di svolta, di imbarbarimento: la cerimonia per ricordare la vita di un’eroe civile americano, Felix Rohatyn, mancato il 14 dicembre scorso. Rohatyn, leggendario banchiere di Lazard Frere, ha salvato dalla bancarotta prima Wall Street e poi New York negli anni Settanta. La sua storia: un fuggiasco dalle persecuzioni razziali naziste con i genitori, scappa prima in Francia poi a Casablanca e poi in Brasile prima di arrivare in America, accolto come rifugiato a 14 anni. Dopo i suoi successi poteva diventare segretario al Tesoro, ma proprio Clinton lo mandò come suo Ambasciatore in Francia. Se Rohatyn, un democratico doc fosse nel pieno delle sue forze, lui democratico acceso, sarebbe un nemico di Bernie Sanders, sarebbe uno di quelli da colpire con formule economiche senza né capo né coda. E’ questo che ieri Bill Clinton mi ha ricordato e mi ha voluto dire quando l’ho incontrato dopo la cerimonia al ricevimento a Carnegie Hall: «Ci mancano i Felix Rohatyn, e non solo per contrastare le pericolose derive di un Donald Trump, ma per contrastare quelle nel nostro partito». Clinton mi ha anche ricordato che lui, democratico, ha impostato politiche per la crescita e puntando al centrismo, ha portato il bilancio in pareggio. Se si seguissero le ricette di Sanders o della Warren, il deficit di oggi diventerebbe astronomico e il debito insostenibile. E allora? Vedremo.
Dopo il caotico appuntamento dell’Iowa avremo il 9 febbraio le primarie in New Hampshire e poi quelle in Nevada e in Carolina del Sud. Il caos, le polemiche, gli scossoni di ieri, porteranno a un “reality check”: possibile «cancellare il debito degli studenti, avere l’università gratis, la sanità riformata per tutti, tutto insieme» come ci ha detto ieri notte Sanders? Forse no. E forse il fallimento del processo elettorale dell’Iowa contribuirà a una riflessione più pacata sulle sfide aperte, che non potranno essere risolte con la demagogia.
