ggi la Francia si ferma per lo sciopero generale: non funzioneranno treni, metropolitane, aerei, molte scuole e alcuni ospedali in una protesta organizzata da mesi contro la riforma delle pensioni annunciata dal presidente Emmanuel Macron. Si tratta di un nuovo grande momento di opposizione al capo dello Stato dopo la rivolta dei gilet gialli. Che torneranno in piazza, assieme purtroppo agli inevitabili black bloc ma stavolta anche ai sindacati, che sperano di cogliere l’occasione per risorgere, e ai partiti — dal Rassemblement National di Marine Le Pen a quel che resta dei socialisti —, uniti nella lotta al potere. Il senso della riforma è abolire i 42 regimi speciali, fonte di eterni privilegi e ingiustizie, e arrivare a un sistema di «pensioni a punti» più equo, razionale e sostenibile per le casse dello Stato.
I dettagli non sono ancora delineati, e questo lascia lo spazio per eventuali aggiustamenti nelle prossime settimane, ma nella logica dello scontro che domina la politica anche francese non sono in discussione tanto le singole misure, quanto l’ordine socio-economico su cui ancora si fonda il Paese. Nel 1995 lo sciopero contro un precedente tentativo di riforma bloccò la Francia per tre settimane, ma allora la protesta si rivolgeva contro provvedimenti precisi proposti dal premier Alain Juppé, mentre il neoeletto presidente Jacques Chirac si teneva a prudente distanza. Oggi si insorge contro un piano ancora vago ma comunque soprattutto contro Macron e il suo governo «neoliberale e autoritario», come scrivono in un appello su Le Monde 180 intellettuali e artisti — da Annie Ernaux a Robert Guédiguian, da Édouard Louis a Thomas Piketty —, vicini «alle donne e agli uomini che lottano».
