[O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
avete meritato di vincere.
quei passaggi indietro fino al portiere erano indegni del bologna.
quei passaggi indietro fino al portiere erano indegni del bologna.
nell'avatar un caloroso saluto da Eveline Dellai.
Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Siamo poca roba, non da poter aspirare al 3 posto a meno di tracolli romani.
...ma fa anal??? (by Trez 2001)
La nostra Clara è troppo avanti, del tipo se uno fa una scoreggia lei l'ha già annusata prima che esca dal buco del culo. (Trez 2015)
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Inter Bologna 2 1 - Calcio in faccia a Costacurta durante la simulazione al fallo su Juan Jeaus
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Io vi consiglio di leggerlo, poi fate un po' quel cazzo che vi pare

[Scopri]Spoiler
27 febbraio 2016. Sabato.
Un uomo di trentacinque anni e un signore di quasi cinquantadue.
Il primo ha la barba lunga, l’altro ha la pancia etilica.
Il primo sta scrivendo, l’altro è segregato in casa.
L’uomo di trentacinque è al PC su una scrivania davanti a una finestra che si affaccia su un cortile – di ghiaia, vuoto da anima viva – e su una borgata di case dignitose, tenute bene. Case da benestanti senza pretese di sfarzo. Oggi è un giorno che ogni anno bussa al portone della sua memoria.
Il signore di quasi cinquantadue sta fumando con il viso tirato. Seduto a terra davanti a una tv spenta in una casa vuota. La testa leggermente di lato, fissa un punto nel vuoto. Oggi è un giorno che ogni anno bussa al portone della sua memoria.
27 febbraio 1994. Domenica.
Un ragazzino di tredici anni e un ragazzo di quasi trenta.
Il primo ha pochi brufoli, ma ben distribuiti, l’altro un fisico statuario da granatiere.
Il primo sta scrivendo un’analisi logica, grammaticale e del periodo con l’orecchio a una radio, l’altro è a San Siro.
Il ragazzino di tredici è seduto a una scrivania davanti a una finestra che si affaccia su un cortile – di ghiaia, lungo il quale si muovono due gatti e un’anitra – e su una borgata di case dignitose. Oggi è un giorno che ogni anno gli busserà al portone della memoria. Una memoria che sarà la sua condanna e la sua salvezza.
Il ragazzo di quasi trenta sta difendendo una rete dalla quale non raccoglie palloni da un’eternità. Oggi è il giorno in cui abbatterà la porta della Leggenda entrandoci di forza, di rabbia. Varcandola con tutte e due i piedi. Con tutte e due le mani.
Il ragazzino di tredici fa il portiere in una squadretta di provincia. Tenta di scimmiottare il ragazzo di quasi trenta. Ma non ne ha né l’altezza, né l’apertura alare. Così non ha altra scelta che imitarne gli atteggiamenti. Dopo ogni parata, si rialza appoggiando entrambe le mani sul ginocchio destro, facendosi leva per rimettersi in piedi. Dopo ogni uscita bassa, se viene appena sfiorato da un avversario, lo insulta andandogli a un palmo dal muso, tenendo il pallone saldo tra la mano destra e il petto. Dopo ogni gol subìto, vorrebbe mangiarsi vivi i propri difensori e uccidere a mani nude il malcapitato che gliel’ha fatto. Cerca la rissa verbale con il pubblico e la panchina avversari che rispondono insultandolo. E lui sorride con una faccia da culo che porta gli altri a offendere più forte. E più lo insultano, più lui si carica e più si carica, più para e più para, più li sfida con sguardi e gesti e grida, “Non passate, pezzi di merda, non passate”. E se qualche avversario si azzarda ad andare a raccogliere il pallone in fondo alla rete per recuperare tempo, addio, finito, vena chiusa. Il ragazzino si è costruito con perizia meticolosa la fama di testa calda e portiere imbattibile. In un campionato giovanile di provincia. Perché quello passava il convento. Ma ancora oggi in parecchi se lo ricordano.
Il ragazzo di quasi trenta di lavoro sta dietro alla fanteria più forte che il mondo abbia mai prodotto: tassottibaresicostacurtamaldini. Una parola unica. Un neologismo che non ha bisogno di definizione: basta la parola stessa. Una parola unica perchè quella linea è di fatto una cosa sola, uniti come un sol uomo, armoniosi nei movimenti perfettamente coordinati e legati uno all’altro. Una specie di pattuglia acrobatica, un corpo di ballo che segue una coreografia impossibile da replicare con altri interpreti. Un drappello invalicabile a protezione di una fortezza. E davanti al ponte levatoio di quella roccaforte, il guardiano, il mostro finale, lui, il ragazzo di quasi trent’anni.
Di lavoro sta dietro alla fanteria. Di lavoro fa i miracoli. Di lavoro sta novantatre minuti senza sfiorare un pallone, passeggiando nervosamente, sputandosi nel palmo degli Uhlsport. Di lavoro sfida le sei, settemila persone che ha dietro di sè ogni domenica e mercoledì, con uno sguardo, una bestemmia, un fumogeno raccolto vicino ai propri piedi e restituito al mittente. Con tanti cari saluti a loro e alle loro famiglie. Di lavoro toglie dalla loro gola l’urlo di gioia pronto a deflagrare, perché superata la linea dei fanti, dopo novantatre minuti di sputi e bestemmie e insulti e fumogeni, il ragazzo di quasi trent’anni ti costringe a infrangerti contro di lui. Perché quando apre le braccia non vedi più un solo spiraglio per bucarlo. Di lavoro fa questo. Poi si alza da terra appoggiando le mani sul ginocchio destro per farsi leva e rimettersi in piedi. Poi picchia i tacchetti sul palo per lasciarti in testa quel rumore che buca le tempie, acuto e ferroso. Perché ti resti bene impresso la prossima volta che oserai, che da qui non si passa.
Novecentoventinove volte. La lancetta ha fatto il giro novecentoventinove volte. Poi un russo di Foggia ha trovato un pertugio e gli ha infilato il cuoio dell’Adidas Etrusco. La fortezza è stata violata. Ma troppo tardi. La leggenda era già stata raggiunta e varcata. E nessuno prima lo aveva fatto così a lungo. E nessuno lo avrebbe mai più fatto.
Il ragazzo di quasi trent’anni è a braccia alzate che ascolta la musica di settantottomila gole che urlano il suo nome e centocinquantaseimila mani che lo applaudono. Eppure la faccia è tirata e torva come al solito. Si gira verso uno spicchio di San Siro, mira non più di trecento persone, li fissa, si porta le mani verso il basso ventre, una, due, dieci volte. Ora sta ridendo di gusto. Non c’è vittoria se non hai un nemico a cui farla pesare. Lui è così. La collera. Il bisogno di un nemico. La rabbia come unico carburante. Lui è così.
Alla radio lo gridano forte. E’ record.
Il ragazzino di tredici anni scoppia in lacrime e inizia a saltare. Prende libri e quaderni di italiano e li fa volare a terra. E’ impazzito di gioia. Prende una penna e sulla tovaglia di carta che ricopre la scrivania verga quattro cifre e quattro lettere: “27/02/1994, Seba, 929“.
27 febbraio 2016
L’uomo di trentacinque anni si tocca la barba e si accende una sigaretta. La finestra davanti a lui proietta sempre la stessa scena, con qualche personaggio in meno.
Smette di scrivere e apre un cassetto. Tira fuori una scatola rossa. Si siede a terra. La apre.
Il signore di quasi cinquantadue spegne la sigaretta e smette di fissare quel punto. Si guarda i palmi delle mani.
L’uomo di trentacinque tira fuori una foto.
Il signore di quasi cinquantadue si sputa nei palmi delle mani.
L’uomo di trentacinque guarda la foto e legge a voce alta cosa c’è scritto sopra “A Matteo con amicizia, Sebastiano Rossi”.
L’uomo e il signore sorridono, all’unisono. Si mettono le mani sul ginocchio destro per farsi leva.
E si rialzano in piedi.
Un uomo di trentacinque anni e un signore di quasi cinquantadue.
Il primo ha la barba lunga, l’altro ha la pancia etilica.
Il primo sta scrivendo, l’altro è segregato in casa.
L’uomo di trentacinque è al PC su una scrivania davanti a una finestra che si affaccia su un cortile – di ghiaia, vuoto da anima viva – e su una borgata di case dignitose, tenute bene. Case da benestanti senza pretese di sfarzo. Oggi è un giorno che ogni anno bussa al portone della sua memoria.
Il signore di quasi cinquantadue sta fumando con il viso tirato. Seduto a terra davanti a una tv spenta in una casa vuota. La testa leggermente di lato, fissa un punto nel vuoto. Oggi è un giorno che ogni anno bussa al portone della sua memoria.
27 febbraio 1994. Domenica.
Un ragazzino di tredici anni e un ragazzo di quasi trenta.
Il primo ha pochi brufoli, ma ben distribuiti, l’altro un fisico statuario da granatiere.
Il primo sta scrivendo un’analisi logica, grammaticale e del periodo con l’orecchio a una radio, l’altro è a San Siro.
Il ragazzino di tredici è seduto a una scrivania davanti a una finestra che si affaccia su un cortile – di ghiaia, lungo il quale si muovono due gatti e un’anitra – e su una borgata di case dignitose. Oggi è un giorno che ogni anno gli busserà al portone della memoria. Una memoria che sarà la sua condanna e la sua salvezza.
Il ragazzo di quasi trenta sta difendendo una rete dalla quale non raccoglie palloni da un’eternità. Oggi è il giorno in cui abbatterà la porta della Leggenda entrandoci di forza, di rabbia. Varcandola con tutte e due i piedi. Con tutte e due le mani.
Il ragazzino di tredici fa il portiere in una squadretta di provincia. Tenta di scimmiottare il ragazzo di quasi trenta. Ma non ne ha né l’altezza, né l’apertura alare. Così non ha altra scelta che imitarne gli atteggiamenti. Dopo ogni parata, si rialza appoggiando entrambe le mani sul ginocchio destro, facendosi leva per rimettersi in piedi. Dopo ogni uscita bassa, se viene appena sfiorato da un avversario, lo insulta andandogli a un palmo dal muso, tenendo il pallone saldo tra la mano destra e il petto. Dopo ogni gol subìto, vorrebbe mangiarsi vivi i propri difensori e uccidere a mani nude il malcapitato che gliel’ha fatto. Cerca la rissa verbale con il pubblico e la panchina avversari che rispondono insultandolo. E lui sorride con una faccia da culo che porta gli altri a offendere più forte. E più lo insultano, più lui si carica e più si carica, più para e più para, più li sfida con sguardi e gesti e grida, “Non passate, pezzi di merda, non passate”. E se qualche avversario si azzarda ad andare a raccogliere il pallone in fondo alla rete per recuperare tempo, addio, finito, vena chiusa. Il ragazzino si è costruito con perizia meticolosa la fama di testa calda e portiere imbattibile. In un campionato giovanile di provincia. Perché quello passava il convento. Ma ancora oggi in parecchi se lo ricordano.
Il ragazzo di quasi trenta di lavoro sta dietro alla fanteria più forte che il mondo abbia mai prodotto: tassottibaresicostacurtamaldini. Una parola unica. Un neologismo che non ha bisogno di definizione: basta la parola stessa. Una parola unica perchè quella linea è di fatto una cosa sola, uniti come un sol uomo, armoniosi nei movimenti perfettamente coordinati e legati uno all’altro. Una specie di pattuglia acrobatica, un corpo di ballo che segue una coreografia impossibile da replicare con altri interpreti. Un drappello invalicabile a protezione di una fortezza. E davanti al ponte levatoio di quella roccaforte, il guardiano, il mostro finale, lui, il ragazzo di quasi trent’anni.
Di lavoro sta dietro alla fanteria. Di lavoro fa i miracoli. Di lavoro sta novantatre minuti senza sfiorare un pallone, passeggiando nervosamente, sputandosi nel palmo degli Uhlsport. Di lavoro sfida le sei, settemila persone che ha dietro di sè ogni domenica e mercoledì, con uno sguardo, una bestemmia, un fumogeno raccolto vicino ai propri piedi e restituito al mittente. Con tanti cari saluti a loro e alle loro famiglie. Di lavoro toglie dalla loro gola l’urlo di gioia pronto a deflagrare, perché superata la linea dei fanti, dopo novantatre minuti di sputi e bestemmie e insulti e fumogeni, il ragazzo di quasi trent’anni ti costringe a infrangerti contro di lui. Perché quando apre le braccia non vedi più un solo spiraglio per bucarlo. Di lavoro fa questo. Poi si alza da terra appoggiando le mani sul ginocchio destro per farsi leva e rimettersi in piedi. Poi picchia i tacchetti sul palo per lasciarti in testa quel rumore che buca le tempie, acuto e ferroso. Perché ti resti bene impresso la prossima volta che oserai, che da qui non si passa.
Novecentoventinove volte. La lancetta ha fatto il giro novecentoventinove volte. Poi un russo di Foggia ha trovato un pertugio e gli ha infilato il cuoio dell’Adidas Etrusco. La fortezza è stata violata. Ma troppo tardi. La leggenda era già stata raggiunta e varcata. E nessuno prima lo aveva fatto così a lungo. E nessuno lo avrebbe mai più fatto.
Il ragazzo di quasi trent’anni è a braccia alzate che ascolta la musica di settantottomila gole che urlano il suo nome e centocinquantaseimila mani che lo applaudono. Eppure la faccia è tirata e torva come al solito. Si gira verso uno spicchio di San Siro, mira non più di trecento persone, li fissa, si porta le mani verso il basso ventre, una, due, dieci volte. Ora sta ridendo di gusto. Non c’è vittoria se non hai un nemico a cui farla pesare. Lui è così. La collera. Il bisogno di un nemico. La rabbia come unico carburante. Lui è così.
Alla radio lo gridano forte. E’ record.
Il ragazzino di tredici anni scoppia in lacrime e inizia a saltare. Prende libri e quaderni di italiano e li fa volare a terra. E’ impazzito di gioia. Prende una penna e sulla tovaglia di carta che ricopre la scrivania verga quattro cifre e quattro lettere: “27/02/1994, Seba, 929“.
27 febbraio 2016
L’uomo di trentacinque anni si tocca la barba e si accende una sigaretta. La finestra davanti a lui proietta sempre la stessa scena, con qualche personaggio in meno.
Smette di scrivere e apre un cassetto. Tira fuori una scatola rossa. Si siede a terra. La apre.
Il signore di quasi cinquantadue spegne la sigaretta e smette di fissare quel punto. Si guarda i palmi delle mani.
L’uomo di trentacinque tira fuori una foto.
Il signore di quasi cinquantadue si sputa nei palmi delle mani.
L’uomo di trentacinque guarda la foto e legge a voce alta cosa c’è scritto sopra “A Matteo con amicizia, Sebastiano Rossi”.
L’uomo e il signore sorridono, all’unisono. Si mettono le mani sul ginocchio destro per farsi leva.
E si rialzano in piedi.
"La regola d'oro : cazzo in tiro non c'ha coscienza."
(I. Welsh)
" Ti ho appena fatto un pompino, non è che puoi fare tanto il sostenuto." (cit.)
"What did you touch? You made me make a mess all over..." (cit.)
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Casa vuota? Se Rossi è caduto in disgrazia son contento..un violento imbecille
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Chi ha avuto in squadra gentaglia come Montero e Pasquale Bruno, dovrebbe avere il buon gusto di tacere su argomenti del genere...theinvoker ha scritto:Casa vuota? Se Rossi è caduto in disgrazia son contento..un violento imbecille
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
C'è differenza tra fare falli duri e fare un braccio teso a uno solo perchè ti ha segnato un rigore
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Due pali clamorosi nella stessa azione... Siamo scarsi e sfigati.
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Un tempo mancavano le palle, l'altro tempo il culo.
An idle mind is the devil's playground/Si, ma la NATO?
"Nel lungo periodo saremo tutti morti" John Maynard Keynes
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- SoTTO di nove
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Manca tutto.
Dòni, sa tirìa e cul indrìa, la capela la'n va avantei / Donne, se tirate il culo indietro, la cappella non va avanti. BITLIS
Quando la fatica supera il gusto e ora di lasciar perdere la Patacca e attaccarsi al lambrusco. Giacobazzi
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Se sostituisci la progettualità con l'improvvisazione; l'unità con la disgregazione; la saldezza con la precarietà; il buon senso con la follia...
Manca una società decorosa.
Tutto nasce e si sviluppa sempre da lì.
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- Lonewolf
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Presi a schiaffi dal Sassuolo, a sbanfare per un pareggio col Chievo. Ma dove cazzo vogliamo andare con sti qua? Ma sul serio sta gente vuole andare a concimare i campi d'Europa?! Ma hanno la minima idea di quanti Sassuolo e Chievo ci sono in Europa League e quanti pure più forti?!
Meglio restare fuori dall'Europa che andarci per rimediare figuracce in serie.
Adesso si attaccheranno ai due pali, ma avrebbero dovuto vincere anche colpendo 15 pali.
Indecenti e indegni.
A parte Romagnoli, Bonaventura e Antonelli, oggi sarebbero da eliminare fisicamente tutti. A cominciare dai vertici societari.
Meglio restare fuori dall'Europa che andarci per rimediare figuracce in serie.
Adesso si attaccheranno ai due pali, ma avrebbero dovuto vincere anche colpendo 15 pali.
Indecenti e indegni.
A parte Romagnoli, Bonaventura e Antonelli, oggi sarebbero da eliminare fisicamente tutti. A cominciare dai vertici societari.
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(I. Welsh)
" Ti ho appena fatto un pompino, non è che puoi fare tanto il sostenuto." (cit.)
"What did you touch? You made me make a mess all over..." (cit.)
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" Ti ho appena fatto un pompino, non è che puoi fare tanto il sostenuto." (cit.)
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- Juan Burrasca
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Ormai il Milan è alla frutta anzi è arrivato anche dopo il dessert.
Altro campionato anonimo ma forse questa volta i rossoneri ritornano in Europa (League).
Altro campionato anonimo ma forse questa volta i rossoneri ritornano in Europa (League).
Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti

"L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, ma incoscienza".
"Non è grave il clamore chiassoso dei violenti, bensì il silenzio spaventoso delle persone oneste".
"Questo è quasi peggio del sottoscritto" - [Paperinik]
"Non è grave il clamore chiassoso dei violenti, bensì il silenzio spaventoso delle persone oneste".
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- lexi_leigh
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Dicevano che la tifoseria dell udinese era una delle migliori d'italia..dicevano