IMHO anche al nazareno lavorava su silvione sottotavolo per convincerlo ad adottare un modello di Senato formato esclusivamente dai parenti di Renzi
Riforma del Senato, Maria Elena Boschi e la missione foulard per conquistare i peones di Forza Italia
Quando alle 12 e 30 in punto Maria Elena Boschi è entrata nel cortile di Sant’Ivo alla Sapienza, molti si sono voltati sorpresi. Lei ha sorriso, e ha capito. Dalla borsetta ha tirato fuori un foulard trasparente blue marin a pois bianchi e si è coperta le spalle nude entrando nella chiesa disegnata da Francesco Borromini, come l’etichetta impone anche ai turisti che vengono a visitarla ogni giorno. Non si aspettavano la Boschi alla messa di trigesima in ricordo del povero Donato Bruno, il senatore di Forza Italia scomparso all’improvviso giusto un mese fa. Quell’omaggio ha colpito molto il sinedrio azzurro (non foltissimo, a dire la verità) che era lì per la triste commemorazione. E pace per qualche pettegolezzo di troppo in fondo alla chiesa, dove un piccolo capannello di donne malignava sulla mise - foulard compreso - non adattissima alla triste celebrazione. Gli altri azzurri erano davvero colpiti, e si sono profusi in ringraziamenti al ministro delle Riforma istituzionali. Solo in pochi restati convinti che anche quel gesto facesse parte di una strategia dell’attenzione che da ore occupa il backstage della discussione pubblica.
È quel backstage che sta occupando in queste ore la vera scena della politica. Bisogna dimenticare quel che appare in prima linea, di fronte a tutti, nelle ore calde della discussione sulla riforma del Senato. Il film che scorre è noto e da giorni riempe le cronache della politica. Matteo Renzi, che con i suoi tiene duro, mostra sufficienza, si dice sicuro di avere i numeri per fare passare quello che vuole, fa trapelare quasi con violenza l’intenzione di regolare una volta per tutti i conti con quella minoranza Pd che il gruppo di potere ormai sbeffeggia (a una cena del Giglio magico martedì sera a un partecipante è scappata la battuta un po’ sgradevole: «i minorati Pd»). Dire «abbiamo in tasca la riforma» non è la verità, ma serve alla vera strategia dell’attenzione che sta andando in scena nel back-stage, e che ha come obiettivo principale il ventre molle di Forza Italia.
Bastava dare un’occhiata ai riccioli scapigliati di Luca Lotti ieri, un paio d’ore dopo l’inattesa apparizione della Boschi alla commemorazione di Bruno. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio è entrato con un giovane amico poco dopo le 14 al ristorante “Galleria” dentro la galleria Alberto Sordi di piazza Colonna. Ha dispensato sorrisi, stretto mani, mostrato sicurezza, e chiacchierato con più di un esponente dell’opposizione azzurra che affollava i tavoli a quell’ora. Mostrare sicurezza, fare trapelare la vittoria in tasca è ingrediente fondamentale per quella strategia dell’attenzione. Il ventre parlamentare di Forza Italia è molle come il burro, mai insensibile al fascino del potere. In fondo all’animo alberga in quegli eletti il dna dei “responsabili”, e scorre in quelle vene sangue “nazareno”. Per questo è importante seguire i gesti-simbolo e quel che avviene nel back stage: lì si gioca la vera partita.
Raramente in questi anni la coerenza è stata virtù principale della vita politica, ma il protocollo prevede tempi morbidi e passi felpati quando si imbocca senza ritorno anche la più clamorosa delle giravolte. Questa volta il tempo non è alleato, e le decisioni vanno prese in fretta. Lo si sa, eppure ha colpito molto il ventre molle di Forza Italia la plastica e acrobatica giravolta di un azzurro sui generis (infatti si iscrisse al gruppo di Gal) come il campano Vincenzo D’Anna. Nelle orecchie degli azzurri rimbombava ancora quell’intervento che D’Anna fece a fine gennaio 2015 nell’aula del Senato contro i colleghi azzurri che si prestavano a votare sì alla grande riforma di Renzi: «Io credo che un paio di centinaia bastino per indossare una livrea, per sentirsi dire: quanto sei bello e intelligente; sei un genio. Sapete bene che il fumo più tossico per la mente dell’uomo è l’incenso. Qua avete un sacco di persone che si sono intossicati dei salamelecchi e degli inchini talmente profondi che a molti di loro gli si vede il culo a furia di abbassarsi e non è un bel vedere, cari amici». Ora D’Anna è il primo a inchinarsi, a votare quella riforma che infilzava con epiteti così coloriti, ad essere entrato nel gruppo scelto dei “verdiniani”, dopo avere frequentato quello dei “fittiani”, e ad annunciare l’appoggio a Renzi anche per il futuro partito della nazione. Una giravolta così fa effetto su uno spettatore comune, ma colpisce assai di più l’immaginario del peone berlusconiano. Che sussurra al vicino di banca: «Sai che i renziani gli hanno già garantito un posto da sottosegretario?». E si favoleggia su ricchi premi e cotillons che arriverebbero mai si volesse seguirne le orme.
A cercare di arginare la voglia matta dei suoi in questo momento c’è solo Silvio Berlusconi, che si appoggia ai pochi di cui si fida davvero. In Senato ha dato a Maurizio Gasparri il compito di serrare le staccionate dell’ovile e andare subito a prendere qualche pecorella smarrita. Il leader stesso appena può dà una mano: a inizio settimana ha invitato a casa sua Barnabò Bocca, che insieme a Franco Carraro era tentato di votare le riforme di Renzi. A Carraro il cavaliere aveva già fatto la mozione degli affetti: i due sono amici da tanti anni, non c’è bisogno di altre spiegazioni. Con Bocca per Berlusconi era un pizzico più dura. Sono stati insieme un’ora e mezza, tante chiacchiere, un po’ di business e il leader azzurro ha finito convinto di avere recuperato la pecorella smarrita. Però tamponi da una parte, e già scappa qualcuno dall’altra. Per caso mercoledì in un corridoio di palazzo Madama un senatore azzurro si è imbattuto in un dolce conciliabolo fra Denis Verdini e il fittiano Francesco Maria Amoruso. È scattato l’allarme, e un’ora dopo il povero Amoruso ha dovuto fare i conti con il ringhio di quell’accalappia-pecorelle smarrite di Gasparri. Una fatica improba. E senza fine. Si capisce anche frequentando l’altro palazzo, al momento fuori dalla mischia: la Camera. In buvette chiacchiero amabilmente di scenari con un leader azzurro, che sogna Renzi pronto a fare fuori la minoranza Pd e alla trattativa con Forza Italia sull’Italicum: «Potrebbe reintrodurre il voto alla coalizione, e noi allearci con lui dandogli in cambio per convincerlo il potere di scioglimento della legislatura in mano al premier». Pochi metri più in là, nel corridoio che porta alla Corea, incontro un’altra azzurra ora che ora va per la maggiore. Aggrotta le ciglia e mi chiede: «Hai visto la legge di stabilità, le anticipazioni sulla stampa?». Dico di sì. «E secondo te noi possiamo votare no a quelle proposte?». Il cuore è già oltre all’ostacolo...
