SilviaBianco ha scritto:
Altra domanda, guardando le avventure di Supersex, ho notato che in molti episodi ci sono scene dove uomini fanno pompini ad altri uomini, che li inculano etc.
Gentile Silvia, la spiegazione, credo, sta puramente nel commercio “a tentoni”, nel senso che i pornografi anni ’70 stavano cercando di capire quale sarebbe stato la fisonomia del loro mercato. Dal momento che nacque il cinema, c’era la pornografia, ma per oltre mezzo secolo l’unico modo di vederlo era nei filmini che venivano proiettati nelle case o nei club dei circoli privati. Pubblico ristrettissimo. Di lungometraggi naturalmente neanche parlarne – roba che durava magari 5, 10 minuti. E ciascuno con un tema, contenuto, o target ben delineato: “Il professore e la liceale”, “Il padrone si scopa la cuoca negra”, “Due suore e un asino”, “Pissing party” e così di seguito, dove il titolo ti metteva sull’avviso di quello che avresti visto. Idem dicasi per la stampa. Anche le riviste, dapprima “underground” e poi, nella Danimarca, Olanda, Svezia ecc, vendute legalmente (ma sempre in negozi “a luci rosse”), annunciavano il loro contenuto specifico: “Oma fisting”, “Leather and whips”, “On the farm” ecc, per avvisare (o attrarre) l’acquirente di un contenuto ultra-forte.
Invece, nell’Italia dopo il 1975, con quel suo carnevale di leggi confuse e contraddittorie, dove solo pochi anni prima nelle edicole dovevano vendere copie di Playboy americano in buste opache, di colpo (con la marea di materiale porno che iniziava ad arrivare dalla Francia o la Germania) le sale a luci rosse (dove prima si vedevano solo i nudi della “commedia all’italiana”) proliferavano, e nelle edicole incominciavi a vedere il porno hard-core in piena vista solo perché i venditori si sono accorti che non c’erano leggi che vietavano specificamente l’esposizione. E così mentre a Parigi o a Francoforte (dove era diventato legale produrre porno ma illegale metterlo in esposizione dove poteva venire visto da bambini), in Italia (dove invece produrre il porno era reato) vedevi tranquillamente
Le ore o
Cronaca italiana o
Color Climax ecc beatamente esposti a fianco a
Linus o
Famiglia Cristiana.
In questa bolgia da Far West, anche gli “assemblatori” di porno italiani (che potevano raccogliere e stampare riviste porno ma solo con foto rigorosamente prodotte all’estero) si tuffarono, ma necessariamente sperimentando i gusti della (sconosciuta) clientela. Ed ecco dunque un “tirare a indovinare” quale potesse essere il livello di gradimento (e la gamma degli interessi) di un pubblico dai contorni ancora da definire. Diversamente dall’esperienza nordeuropea dove avevano già capito che ogni settore fetish voleva riviste o film specificamente tarati ai loro gusti – e che, per contro, chi non gradiva qualche fetish
non voleva la sgradita sorpresa di vedersi spiattellare inaspettatamente delle scene che li disgustava (come il sadomaso spinto, il pissing, gli animali, ecc) —, con alcune riviste italiane, per alcuni anni, ti arrivava uno “smorgasbord buffet” di un po’ di tutto. Due esempi che sono capitati a me in quegli anni: acquistando una rivista che mostrava delle belle liceali in copertina e una splendida africana sul retro, e che dunque prometteva bene come gusti “normali” (“But what”, the philosopher will ask us, “is
normal?”… ah, ma questa è domanda da affrontare in altra sede..), me la porto a casa e dopo aver sfogliato alcuni servizi gradevoli (per me) con giovani fanciulle in allegre scopate, arrivo a metà rivista e – paffete! – un servizio con due vecchie (e orrende) donne che succhiano a turno il cazzo a un pastore tedesco. Moti di ribrezzo … Altra occasione, altra rivista, tutto procede liscio (ossia: di nuovo gradevoli scene “normali” per così dire) ecco in mezzo alla rivista una scena con transessuali che finisce a pisciate in bocca. A qualcuna sarà piaciuto, a me proprio no. Anche a causa di sorprese come queste, ho smesso di fidarmi dei film giapponesi dopo averne visto uno con bukkake e allegri ingoi a catena (fin qui tutto bene) e poi, di colpo, senza preavviso, la ragazza che viene tenuta a terra a forza mentre un’altra la scavalca e le spara una potente scarica di diarrea in bocca. O, la
madonna!!!…
Ed eccoci dunque arrivare a questo “sperimentare a tastoni” che ipotizzavo prima, per vedere cosa poteva essere gradito, cosa no. A cazzo di cane, come si dice… anzi, proprio su quel tema, e come tutti sanno, ci sono stati diversi film di Moana o Cicciolina o (soprattutto) Marina Hedman con scene dove qualche donna se la fa con un animale. Sempre a livello di “scene per un pubblico ancora da definire”, quello che è meno conosciuto è che anche diversi film americani del periodo 1972-1976 (cioè da
Deep Throat fino alla soglia della cosiddetta epoca d’ora, quella con i film con grossi budget, tanti attori e scene, copioni anche ambiziosi, cioè 1977-1986, dopo di che subentrò l’epoca del video camera e il VCR in casa dove tutto è decaduto nel “quick and cheap”) rispecchiavano questa stessa sperimentazione per capire quali saranno stati i gusti di un pubblico ampio. Mi ricordo di qualche film visto in sala cinematografica nel 1974 e 1975, quando mi trovavo per lavoro a New York ed entravo nei cinema a luci rosse vicino a Times Square, con le solite Vanessa del Rio etc, a volte contenevano scene homo... scene che poi vennero tolte quando, 10 anni dopo, quei film furono riversati su videocassetta. Oggi di quelle scene, tagliate e gettate, non è sopravissuta traccia ma mi ricordo benissimo di aver visto attori come Jamie Gillis farsi succhiare il cazzo da un ragazzo o impegnato contemporaneamente con un maschio e una femmina.
Altro fatto, interessante, che avrà confuso i venditori di porno italiani i quei primi anni. Nella prima metà degli anni ’70 venivo spesso a Milano per lavoro. Prendendo un tassì alla sera dalla Centrale fino a zona Garibaldi / Monumentale o verso Sempione, vedevi una fila ininterrotta di lucciole, tutte delle stangone alte, e più di una volta il tassista di turno mi disse “Sai? Sono tutti travestiti, nemmeno una è una donna, e sono le più ricercate”. Per trovare le femmine andavi invece in Viale Monza (le africane) o zona Lambrate (le ragazze dell’est europeo) o Porta Romana (le italiane). Osservando questo, un venditore di porno italiano, cosa doveva concludere?
Ecco dunque (ritengo) la “sperimentazione” in quegli anni. Ogni tanto una scena homo, magari qualche sado-maso, o una scena con una minorenne (solo che guarda, non che partecipa, ma comunque situazione che sarà stata gradito da una certa parte del pubblico, mentre avrà disgustato un'altra parte dei lettori; vedi supersex n. 32, “Attentato al presidente”).
Gli editori avranno ascoltato gli edicolanti che avranno riferito le osservazioni dei clienti. E la rivista “spin-off”
Golden Gay sarà stata senza dubbio un riflesso di questo progressivo “indagine di mercato” alla carlona: avranno capito che un certo pubblico gradiva anche vedere scene tra omosessuali (un pubblico abbastanza numeroso da giustificare l’iniziativa e che dunque doveva per forza, statisticamente, includere uomini etero “curiosi”, così come la cospicua clientela dei travestiti-lucciole non poteva consistere unicamente di veri omosessuali, bensì anche di una folta mandria di uomini “bi-curious”), ma che la maggior parte del pubblico voleva esserne avvertito prima.
Lo studio fondamentale del 1966,
Human Sexual Response di Masters e Johnson, ha rivelato che il 37% degli uomini (e il 44% delle donne), in qualche punto della vita, ha provato (o è stato tentato a provare) la sperimentazione di atti omosessuali e amplessi bisessuali. Dunque, un certo “mercato di base” ci sarebbe. Solo che, appunto, la parte maggiore direbbe “voglio sapere in anticipo cosa vado a comprare” – così come, mentre capisco che ci sarà pure un pubblico per lo
scat, io personalmente non lo voglio vedere e dunque chiedo al pornografo di “avvertimi prima” (“chi lo conosce, lo evita”

).
E dopo un certo punto, dunque, le scene homo scompaiono da
Supersex…