[O.T.] Guida al Cinema

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bellavista
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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7921 Messaggio da bellavista »

Nonno Libero ha scritto:
lexi_leigh ha scritto:Costantine...una dei film della mia top ten
Gran film.

costantine è un buon film assolutamente sottovalutato.

visto che qui abbiamo vari amanti di dicaprio, consiglio due dei suoi primi film:
-poeti dall'infermo
-ritorno dal nulla

entrambi fatti prima di titanic e che giá dimostravano che il buon leo sapeva recitare eccome ;)
Qui habet, dabitur ei. E comunque: Stikazzi

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Tasman
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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7922 Messaggio da Tasman »

12 anni schiavo.

Immagine

Nel 1841, prima della guerra di secessione, Solomon Northup, talentuoso violinista nero, vive libero nella contea di Saratoga (Stato di New York) con la moglie Anne e i figli Margaret e Alonzo. Ingannato da due falsi agenti di spettacolo, viene rapito, privato dei documenti e portato in Louisiana, dove rimarrà in schiavitù fino al 1853, cambiando per tre volte padrone e lavorando principalmente nella piantagione di cotone del perfido schiavista Edwin Epps.

Tra la crudeltà di Epps, e inaspettati quanto rari atti di bontà, lotta non solo per sopravvivere, ma anche per conservare la propria dignità. Nel dodicesimo anno della sua indimenticabile odissea, l'incontro casuale con l'abolizionista canadese Samuel Bass rappresenta per la sua vita una svolta insperata. Appresa la sua storia, Bass riesce a rintracciare la famiglia di Northup: Solomon è finalmente libero.

Tornato a casa, riabbraccia la moglie e i figli, ormai adulti. Prima dei titoli di coda veniamo informati della sua inutile battaglia legale contro i rapitori, come dell'impegno abolizionista che contraddistinse gli anni successivi alla drammatica esperienza.

IMHO: Non mi ha fatto impazzire questo film.A volte vuole farti male,e ci riesce benissimo,per la serie.."no mercy"..
di sicuro la platea americana saprà apprezzarlo fino in fondo.
♫E penso..quanti affanni abbiamo tutti i giorni,e che fatica la serenità. ♪
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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7923 Messaggio da Stickman »

Ieri sera ho visto quello dei Cohen. Bello.

Il film con Colin Farrell che atomica minchiata dev'essere. Grasse risate durante il trailer.

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hoover
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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7924 Messaggio da hoover »

Rodomonte ha scritto:Qualcuno saprebbe indicarmi fra tanti falsi qual'è quello giusto parlando sempre del film NYmphomaniac?.
Non so per esempioquanto è grande il file e se è presente sul muletto.
Grazie
Io l'ho visto al cinema,per cui non ti saprei dire dove scaricarlo. Comunque per evitare falsi scarica il Torrent,sono due film da 2 ore circa ognuno.
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CianBellano
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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7925 Messaggio da CianBellano »

The wolf of wall street è un tipo di film che neanche un attore come Di Caprio ed un regista come Scorsese riescono a farmi considerare di più di un film tira tira, srtingi stringi, sostanzialmente di merda. E' proprio la vita e la "parabola" di sti cazzoni in giacca, cravatta e stock options che mi risulta tanto insipido quanto insulso. Ci puoi mettere tutte le mazzette di verdoni, la droga, i "fucking" e la figa che riesci (anzi DEVI) raccattare, pure le ferrari e lamborghini bianche, rimarrà sempre una storia ed un film che non sanno di un cazzo.

L'oscar presumo andrà all'unico film candidato che non ho visto, altrimenti possiamo derubricare il 2013 dalla storia del cinema.
Luttazzi sembra una di quelle cose che scappa quando sollevi una pietra. (Renato Schifani)
se hai tipo 40 anni e stappi lo spumante tutto convinto, senza tradire nemmeno una punta di ironia, ti trovo ridicolo. (Fuente)
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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7926 Messaggio da Antonchik »

Tasman ha scritto:12 anni schiavo.

Immagine

Nel 1841, prima della guerra di secessione, Solomon Northup, talentuoso violinista nero, vive libero nella contea di Saratoga (Stato di New York) con la moglie Anne e i figli Margaret e Alonzo. Ingannato da due falsi agenti di spettacolo, viene rapito, privato dei documenti e portato in Louisiana, dove rimarrà in schiavitù fino al 1853, cambiando per tre volte padrone e lavorando principalmente nella piantagione di cotone del perfido schiavista Edwin Epps.

Tra la crudeltà di Epps, e inaspettati quanto rari atti di bontà, lotta non solo per sopravvivere, ma anche per conservare la propria dignità. Nel dodicesimo anno della sua indimenticabile odissea, l'incontro casuale con l'abolizionista canadese Samuel Bass rappresenta per la sua vita una svolta insperata. Appresa la sua storia, Bass riesce a rintracciare la famiglia di Northup: Solomon è finalmente libero.

Tornato a casa, riabbraccia la moglie e i figli, ormai adulti. Prima dei titoli di coda veniamo informati della sua inutile battaglia legale contro i rapitori, come dell'impegno abolizionista che contraddistinse gli anni successivi alla drammatica esperienza.

IMHO: Non mi ha fatto impazzire questo film.A volte vuole farti male,e ci riesce benissimo,per la serie.."no mercy"..
di sicuro la platea americana saprà apprezzarlo fino in fondo.
Ma che cazzo, vuoi metterlo sotto spoiler? :roll:
Guarda attentamente, poichè ciò che stai per vedere non è più ciò che hai appena visto.

Ho vissuto per molto tempo nell'oscurità perché mi accontentavo di suonare quello che ci si aspettava da me, senza cercare di aggiungerci qualcosa di mio.

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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7927 Messaggio da Stickman »

ma lascia perde che fa cacà

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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7928 Messaggio da Antonchik »

E' pur sempre un effetto, del quale sono stato derubato
Guarda attentamente, poichè ciò che stai per vedere non è più ciò che hai appena visto.

Ho vissuto per molto tempo nell'oscurità perché mi accontentavo di suonare quello che ci si aspettava da me, senza cercare di aggiungerci qualcosa di mio.

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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7929 Messaggio da Tasman »

Antonchik ha scritto:Ma che cazzo, vuoi metterlo sotto spoiler? :roll:


Ho esagerato come Caparezza,mea culpa... :blushes: :blushes:
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Fabio Concato.

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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7930 Messaggio da Stickman »

anton va a vedere quello dei Cohen no quello dei negri

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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7931 Messaggio da Antonchik »

:023
Guarda attentamente, poichè ciò che stai per vedere non è più ciò che hai appena visto.

Ho vissuto per molto tempo nell'oscurità perché mi accontentavo di suonare quello che ci si aspettava da me, senza cercare di aggiungerci qualcosa di mio.

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Plo Style
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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7932 Messaggio da Plo Style »

di Giona A. Nazzaro

Brutta bestia il contenutismo. Il contenutismo s’ostina a fissare il dito che punta alla luna. E pretende di discutere del dito. I contenutisti, poi, sono coloro che al “contenuto” c’arrivano sempre dopo. Dopo compiuto la circumnavigazione del dito e aver scoperto che, dopo la giravolta su se stessi, quasi sempre c’è dell’altro cui non avevano pensato.
Questo per dire che per quanto sia legittimo non farsi piacere The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese, se non altro bisognerebbe tentare di individuare il famoso “campo da gioco”, se proprio si vuole entrare nell’agone del discorso che propone il film.

Ribadendo che questo è il miglior Scorsese dai tempi di Casinò, straordinaria riflessione morale sul denaro e la sua mobilità, bisognerebbe, per iniziare a ragionare intorno al film, ricordare altresì che il regista di Taxi Driver e Toro scatenato, pensa con la macchina da presa.
Che cosa significa quest’affermazione? Significa che Scorsese non cala sulle immagini un discorso esterno o estraneo a esse. Il profilmico, ossia tutto quanto viene prima della ripresa cinematografica, diventa poi “universo diegetico” (come suggerisce Sandro Bernardi) che è creato dal (lavoro del) film (stesso).
Questo per ricordare che esistono sempre due ordini di realtà o del reale il cui luogo d’incontro non può che essere il set. Unico luogo deputato al loro incontro (e il set può essere anche, per intenderci, l’aperta campagna dove un documentarista decide di effettuare una ripresa o pensare un’inquadratura).

Se il profilmico di The Wolf of Wall Street è un certo Jordan Belfort, della cui esistenza alzi la mano chi era informato prima del film in questione e le cui imprese criminali l’hanno prima innalzato alle vette più vertiginose del denaro e poi precipitato, ma per relativamente poco, in prigione dove ha espiato una parte dei suoi peccati prima di reinventarsi e dare in seguito alle stampe un libro che è diventato il film che ne hanno tratto Leonardo DiCaprio e Scorsese.
Insomma, Jordan Belfort si trascina dietro un bel po’ di profilmico. Di quello che i custodi del politicamente corretto faticano a digerire perché, contenutisticamente, non riescono ad accettare che il loro principio di piacere sia intralciato dalla “realtà” che si convincono sia poi quella che vedono sullo schermo mentre si agitano al buio sulla poltrona.
Come dire che il “profilmico” non è tanto una materia ma, una “realtà”, pertanto intangibile, se non si è disposti ad affrontarla con un “pre-giudizio” che metta moralmente tutti al sicuro, soprattutto coloro che non si reputano in grado di farsi un’opinione autonoma rispetto ai rischi che il piacere del cinema inevitabilmente comporta.

Insomma i “contenutisti” non solo fanno confusione, ma si eleggono a tutori del buoncostume cinematografico quanto il tasso di piacere diventa, inevitabilmente, complesso. Quando il cinema torna a “far paura”, per utilizzare una formula dichiaratamente desueta.
Si rimprovera a Scorsese di non mostrare le vittime di Belfort. E perché mai dovrebbe farlo? Inevitabile mostrare le vittime in un film di gangster: i proiettili fatalmente finiscono nel corpo di qualcuno (ce lo ha spiegato Godard cosa implica questa storia del piombo e dei corpi…).

Perché Scorsese dovrebbe mostrare le vittime di un crimine “bianco” le cui vittime si posizionano sul medesimo piano ontologico del criminale? Autore del crimine e vittime sono consustanziali. Condividono il medesimo orizzonte esistenziale, morale ed etico. Non esistono, e non potrebbero esistere, differenziati l’uno dall’altro. Per intenderci: non stiamo insinuando “se la sono cercata”, tanto per restare su un piano “contenutista”. Belfort non potrebbe darsi senza il tessuto umano che permette, di fatto, l’affermarsi della tipologia di un predatore che non esiste in natura, evocato però dai bisogni di un’economia neoliberista in metastasi.

In questo senso, andare a rivedersi l’episodio di Newsroom nel quale Olivia Munn spiega a Emily Mortimer cos’è il Glass-Steagall Act (si trova anche su Wikipedia), può essere estremamente utile (e qui si riapre l’annosa questione del cinema e l’impegno…). E magari fare qualche passo all’indietro. Riandare con la memoria alla deregulation voluta da Reagan che ha permesso di mettere le mani sui risparmi dei cittadini. Poi ci si dovrebbe ricordare di Clinton che ha ratificato le politiche repubblicane e così via. Tutto questo, però, è sempre e solo “pro-filmico”.

E nel film di Scorsese non si vedono le vittime. Perché? Semplice. Perché non esistono. Non esistono in quanto il film, per amore di ragionamento paradossale, accetta il punto di vista di Belfort che a sua volta potremmo far risalire a W.S. Burroughs “il denaro è un’accettazione di esistenza”. Ossia: il denaro crea un orizzonte ontologico che, alla stregua del virus del verbo “essere”, l’è di esistenza da Burroughs considerato il cancro del principio d’individuazione occidentale, ha spazzato via la possibilità del “come” implicante invece una relazione.

Esempio. Io sono tuo schiavo è diverso da: io come schiavo. Il verbo essere, pone in esistenza, per definizione, e chiama in causa anche il tempo. Il come, invece, è una faccenda temporanea. E, creando una relazione, un luogo del dialogo, crea uno spazio, temporaneamente occupato, che può esistere al di fuori del tempo (del linguaggio del denaro…).
Insomma, tornando a The Wolf of Wall Street, Belfort esiste felicemente nell’ambito dell’orizzonte ontologico creato dal denaro. Ciò che Scorsese mette in scena è il principio di realtà del denaro visto dall’interno con il suo principio d’individuazione.

Nell’orizzonte ontologico del denaro, il luogo-narrazione nel quale si crede fermamente all’esistenza del denaro, non c’è posto, e non potrà mai esserci, lo confermano tutte le politiche neoliberiste degli ultimi decenni, spazio per le vittime, ossia coloro che sono estranei all’orizzonte ontologico che, per definizione, li nega.
Scorsese filma l’ontologia del denaro. La non-esistenza del denaro praticata come unica esistenza possibile. Un paradosso, appunto. Un carnevale del falso e della moltiplicazione della scena (del denaro).
Tautologia. Belfort crede al denaro. E si muove come il denaro. Il denaro è un segno. Le vittime di Belfort non si vedono perché, molto semplicemente, non riescono a trattenere i segni del denaro necessari a porli in esistenza all’interno dell’orizzonte ontologico del denaro stesso. Non sono veloci come il denaro che desiderano. Anzi: è il loro desiderio di denaro, in quanto amanti respinti, a rilanciare con più forza, l’esistenza del denaro. Sono loro che creano l’immagine del denaro. Jordan Belfort lavora l’immagine delle possibilità e dei segni del denaro.

Belfort è un catalizzatore di denaro. Lui parla il linguaggio del denaro che è consustanziale al linguaggio delle vittime. Le vittime sono Belfort, ma in minore. Credono, cioè, al racconto del denaro che Belfort mette in scena per loro. Vogliono credere. E questo è un discorso che Scorsese comprende alla perfezione.
Belfort mette in scena il sogno americano come “farsa” (capitalista), cosa che ci dovrebbe ricordare qualcosa, perché, come suggerisce Brecht, la gente del denaro legge con più attenzione (citiamo a memoria).

Tutti nel mondo di Belfort credono al denaro. Il denaro, mass media caldissimo, in grado di creare istantaneamente un mondo a propria immagine e somiglianza, crea anche i portatori sani di denaro. Il denaro, come il linguaggio, è un virus. C’è forse qualcuno che nel mondo occidentale non ambisca a parlare?
Genialmente Scorsese, scarto assolutamente politico, mette in scena il denaro come un mass media che “ti parla”. Difficile parlare dall’interno del denaro se non ripetendo instancabilmente il messaggio primario stesso del denaro che è, non potrebbe essere altrimenti, io esisto. Le vittime di Belfort sono ben lungi dal non volere parlare “denaro”. Anzi. Devono e vogliono farlo se ambiscono a esistere nel perimetro del denaro. Probabilmente pensano addirittura che, se gliene fosse data l’opportunità, sarebbero persino più bravi di Belfort a fare denaro.

La velocità del film di Scorsese non è quella di un cinema dopato, segno fallico di una potenza persa da Gangs of New York in avanti, ma la rappresentazione “documentaria” dei “terremoti neuronali”, per restare in ambito McLuhan, che la circolazione del denaro provoca nel sistema nervoso. The Wolf of Wall Street è la radiografia del desiderio del denaro il cui correlato oggettivo è la droga. Non è un caso che nel film si provi addirittura a indossare il denaro…
Come dire che si tratta di un gioco che ti gioca mentre lo giochi. E Scorsese, accetta di recarsi sul terreno del denaro e verificarlo, negativamente, attraverso il cinema perché lui sa che la “realtà” non potrà mai essere riprodotta al cinema. Ciò che il cinema fa, è mostrare il lavoro compiuto sui materiali del reale per farlo diventare cinema. È questo il contenuto “vero” del cinema, con buona pace di quanti si ostinano a fissare il dito invece che la luna.

Insomma su Scorsese e il suo film si sono riversati i medesimi rimproveri che i contenutisti di una volta muovevano ai vari Risi e Monicelli: ossia esaltare, condonare, banalizzare, e chi più ne ha più ne metta, i personaggi interpretati da Gassman, Manfredi e Sordi.

Ma, se proprio ci si volesse ostinare a cercare il punto di vista del regista sulla vicenda del racconto, il suo giudizio etico rispetto al personaggio, allora bisognerebbe provare a guardare con le orecchie alla straordinaria raccolta di canzoni curata dal fedelissimo Robbie Robertson. Ogni canzone segna una tappa del racconto, come un contrappunto ironico. Dal blues di Elmore James all’Incontrollable Urge dei Devo passando per Insane in the Brain dei Cypress Hill senza contare il “detournement” di Gloria di Umberto Tozzi a commentare il catastrofico Titanic-replay dell’esilarante naufragio. Oppure il Plastic Bertrand di Ça plane pour moi (rifatta dai Sonic Youth sulla Compilation Caroline, Freedom of Choice) che incornicia la trattativa con il banchiere ginevrino Jean Dujardins, l’unico personaggio in grado di “parlare-denaro” con Belfort, e non a caso comunicano “telepaticamente”…).

Cinema profondamente filosofico, The Wolf of Wall Street è il film che, dopo Inside Job, meglio mette in scena il paesaggio politico e antropologico del mondo nuovo della sua crisi finanziaria… eterna. E le poche inquadrature nella metro evidenziano che esiste un mondo al di fuori dell’orizzonte ontologico del denaro, ma queste inquadrature giungono alla fine, quando ormai il film ha dovuto abbandonare lo sguardo di Belfort perché la Legge, un altro principio di realtà, ha imposto una narrazione antagonista alla sua, imponendo un attestato d’esistenza più forte.
Momentaneamente. Perché il film prima o poi finisce. Il mondo continua.

(28 gennaio 2014)
I was having fish n chips with my dad this week. He had cod, I had plaice. He said: good cod! I said, space is the plaice! - Sun Ra

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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7933 Messaggio da Termopiliano »

lexi_leigh ha scritto:Costantine...una dei film della mia top ten
Concordo. Visto per la prima volta un sabato pomeriggio in cui ero costretto a casa dalla febbre e rivisto almeno un'altro paio di volte. Nel rivederlo lo si apprezza sempre di più.

Domani voglio vedermi "Un giorno di ordinaria follia". Lo so, è una grave mancanza non averlo visto e devo assolutamente recuperare. :wink:

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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7934 Messaggio da araxe »

CianBellano ha scritto:The wolf of wall street è un tipo di film che neanche un attore come Di Caprio ed un regista come Scorsese riescono a farmi considerare di più di un film tira tira, srtingi stringi, sostanzialmente di merda. E' proprio la vita e la "parabola" di sti cazzoni in giacca, cravatta e stock options che mi risulta tanto insipido quanto insulso. Ci puoi mettere tutte le mazzette di verdoni, la droga, i "fucking" e la figa che riesci (anzi DEVI) raccattare, pure le ferrari e lamborghini bianche, rimarrà sempre una storia ed un film che non sanno di un cazzo.

L'oscar presumo andrà all'unico film candidato che non ho visto, altrimenti possiamo derubricare il 2013 dalla storia del cinema.
Concordo con te, no di più: straconcordo.
Debbo (anzi DEVO) però precisare che io, tra quei "fuckings" e quei popò de figas, avrei speso di più in candele.

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Re: [O.T.] Guida al Cinema

#7935 Messaggio da CianBellano »

Plo Style ha scritto:
[Scopri]Spoiler
di Giona A. Nazzaro

Brutta bestia il contenutismo. Il contenutismo s’ostina a fissare il dito che punta alla luna. E pretende di discutere del dito. I contenutisti, poi, sono coloro che al “contenuto” c’arrivano sempre dopo. Dopo compiuto la circumnavigazione del dito e aver scoperto che, dopo la giravolta su se stessi, quasi sempre c’è dell’altro cui non avevano pensato.
Questo per dire che per quanto sia legittimo non farsi piacere The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese, se non altro bisognerebbe tentare di individuare il famoso “campo da gioco”, se proprio si vuole entrare nell’agone del discorso che propone il film.

Ribadendo che questo è il miglior Scorsese dai tempi di Casinò, straordinaria riflessione morale sul denaro e la sua mobilità, bisognerebbe, per iniziare a ragionare intorno al film, ricordare altresì che il regista di Taxi Driver e Toro scatenato, pensa con la macchina da presa.
Che cosa significa quest’affermazione? Significa che Scorsese non cala sulle immagini un discorso esterno o estraneo a esse. Il profilmico, ossia tutto quanto viene prima della ripresa cinematografica, diventa poi “universo diegetico” (come suggerisce Sandro Bernardi) che è creato dal (lavoro del) film (stesso).
Questo per ricordare che esistono sempre due ordini di realtà o del reale il cui luogo d’incontro non può che essere il set. Unico luogo deputato al loro incontro (e il set può essere anche, per intenderci, l’aperta campagna dove un documentarista decide di effettuare una ripresa o pensare un’inquadratura).

Se il profilmico di The Wolf of Wall Street è un certo Jordan Belfort, della cui esistenza alzi la mano chi era informato prima del film in questione e le cui imprese criminali l’hanno prima innalzato alle vette più vertiginose del denaro e poi precipitato, ma per relativamente poco, in prigione dove ha espiato una parte dei suoi peccati prima di reinventarsi e dare in seguito alle stampe un libro che è diventato il film che ne hanno tratto Leonardo DiCaprio e Scorsese.
Insomma, Jordan Belfort si trascina dietro un bel po’ di profilmico. Di quello che i custodi del politicamente corretto faticano a digerire perché, contenutisticamente, non riescono ad accettare che il loro principio di piacere sia intralciato dalla “realtà” che si convincono sia poi quella che vedono sullo schermo mentre si agitano al buio sulla poltrona.
Come dire che il “profilmico” non è tanto una materia ma, una “realtà”, pertanto intangibile, se non si è disposti ad affrontarla con un “pre-giudizio” che metta moralmente tutti al sicuro, soprattutto coloro che non si reputano in grado di farsi un’opinione autonoma rispetto ai rischi che il piacere del cinema inevitabilmente comporta.

Insomma i “contenutisti” non solo fanno confusione, ma si eleggono a tutori del buoncostume cinematografico quanto il tasso di piacere diventa, inevitabilmente, complesso. Quando il cinema torna a “far paura”, per utilizzare una formula dichiaratamente desueta.
Si rimprovera a Scorsese di non mostrare le vittime di Belfort. E perché mai dovrebbe farlo? Inevitabile mostrare le vittime in un film di gangster: i proiettili fatalmente finiscono nel corpo di qualcuno (ce lo ha spiegato Godard cosa implica questa storia del piombo e dei corpi…).

Perché Scorsese dovrebbe mostrare le vittime di un crimine “bianco” le cui vittime si posizionano sul medesimo piano ontologico del criminale? Autore del crimine e vittime sono consustanziali. Condividono il medesimo orizzonte esistenziale, morale ed etico. Non esistono, e non potrebbero esistere, differenziati l’uno dall’altro. Per intenderci: non stiamo insinuando “se la sono cercata”, tanto per restare su un piano “contenutista”. Belfort non potrebbe darsi senza il tessuto umano che permette, di fatto, l’affermarsi della tipologia di un predatore che non esiste in natura, evocato però dai bisogni di un’economia neoliberista in metastasi.

In questo senso, andare a rivedersi l’episodio di Newsroom nel quale Olivia Munn spiega a Emily Mortimer cos’è il Glass-Steagall Act (si trova anche su Wikipedia), può essere estremamente utile (e qui si riapre l’annosa questione del cinema e l’impegno…). E magari fare qualche passo all’indietro. Riandare con la memoria alla deregulation voluta da Reagan che ha permesso di mettere le mani sui risparmi dei cittadini. Poi ci si dovrebbe ricordare di Clinton che ha ratificato le politiche repubblicane e così via. Tutto questo, però, è sempre e solo “pro-filmico”.

E nel film di Scorsese non si vedono le vittime. Perché? Semplice. Perché non esistono. Non esistono in quanto il film, per amore di ragionamento paradossale, accetta il punto di vista di Belfort che a sua volta potremmo far risalire a W.S. Burroughs “il denaro è un’accettazione di esistenza”. Ossia: il denaro crea un orizzonte ontologico che, alla stregua del virus del verbo “essere”, l’è di esistenza da Burroughs considerato il cancro del principio d’individuazione occidentale, ha spazzato via la possibilità del “come” implicante invece una relazione.

Esempio. Io sono tuo schiavo è diverso da: io come schiavo. Il verbo essere, pone in esistenza, per definizione, e chiama in causa anche il tempo. Il come, invece, è una faccenda temporanea. E, creando una relazione, un luogo del dialogo, crea uno spazio, temporaneamente occupato, che può esistere al di fuori del tempo (del linguaggio del denaro…).
Insomma, tornando a The Wolf of Wall Street, Belfort esiste felicemente nell’ambito dell’orizzonte ontologico creato dal denaro. Ciò che Scorsese mette in scena è il principio di realtà del denaro visto dall’interno con il suo principio d’individuazione.

Nell’orizzonte ontologico del denaro, il luogo-narrazione nel quale si crede fermamente all’esistenza del denaro, non c’è posto, e non potrà mai esserci, lo confermano tutte le politiche neoliberiste degli ultimi decenni, spazio per le vittime, ossia coloro che sono estranei all’orizzonte ontologico che, per definizione, li nega.
Scorsese filma l’ontologia del denaro. La non-esistenza del denaro praticata come unica esistenza possibile. Un paradosso, appunto. Un carnevale del falso e della moltiplicazione della scena (del denaro).
Tautologia. Belfort crede al denaro. E si muove come il denaro. Il denaro è un segno. Le vittime di Belfort non si vedono perché, molto semplicemente, non riescono a trattenere i segni del denaro necessari a porli in esistenza all’interno dell’orizzonte ontologico del denaro stesso. Non sono veloci come il denaro che desiderano. Anzi: è il loro desiderio di denaro, in quanto amanti respinti, a rilanciare con più forza, l’esistenza del denaro. Sono loro che creano l’immagine del denaro. Jordan Belfort lavora l’immagine delle possibilità e dei segni del denaro.

Belfort è un catalizzatore di denaro. Lui parla il linguaggio del denaro che è consustanziale al linguaggio delle vittime. Le vittime sono Belfort, ma in minore. Credono, cioè, al racconto del denaro che Belfort mette in scena per loro. Vogliono credere. E questo è un discorso che Scorsese comprende alla perfezione.
Belfort mette in scena il sogno americano come “farsa” (capitalista), cosa che ci dovrebbe ricordare qualcosa, perché, come suggerisce Brecht, la gente del denaro legge con più attenzione (citiamo a memoria).

Tutti nel mondo di Belfort credono al denaro. Il denaro, mass media caldissimo, in grado di creare istantaneamente un mondo a propria immagine e somiglianza, crea anche i portatori sani di denaro. Il denaro, come il linguaggio, è un virus. C’è forse qualcuno che nel mondo occidentale non ambisca a parlare?
Genialmente Scorsese, scarto assolutamente politico, mette in scena il denaro come un mass media che “ti parla”. Difficile parlare dall’interno del denaro se non ripetendo instancabilmente il messaggio primario stesso del denaro che è, non potrebbe essere altrimenti, io esisto. Le vittime di Belfort sono ben lungi dal non volere parlare “denaro”. Anzi. Devono e vogliono farlo se ambiscono a esistere nel perimetro del denaro. Probabilmente pensano addirittura che, se gliene fosse data l’opportunità, sarebbero persino più bravi di Belfort a fare denaro.

La velocità del film di Scorsese non è quella di un cinema dopato, segno fallico di una potenza persa da Gangs of New York in avanti, ma la rappresentazione “documentaria” dei “terremoti neuronali”, per restare in ambito McLuhan, che la circolazione del denaro provoca nel sistema nervoso. The Wolf of Wall Street è la radiografia del desiderio del denaro il cui correlato oggettivo è la droga. Non è un caso che nel film si provi addirittura a indossare il denaro…
Come dire che si tratta di un gioco che ti gioca mentre lo giochi. E Scorsese, accetta di recarsi sul terreno del denaro e verificarlo, negativamente, attraverso il cinema perché lui sa che la “realtà” non potrà mai essere riprodotta al cinema. Ciò che il cinema fa, è mostrare il lavoro compiuto sui materiali del reale per farlo diventare cinema. È questo il contenuto “vero” del cinema, con buona pace di quanti si ostinano a fissare il dito invece che la luna.

Insomma su Scorsese e il suo film si sono riversati i medesimi rimproveri che i contenutisti di una volta muovevano ai vari Risi e Monicelli: ossia esaltare, condonare, banalizzare, e chi più ne ha più ne metta, i personaggi interpretati da Gassman, Manfredi e Sordi.

Ma, se proprio ci si volesse ostinare a cercare il punto di vista del regista sulla vicenda del racconto, il suo giudizio etico rispetto al personaggio, allora bisognerebbe provare a guardare con le orecchie alla straordinaria raccolta di canzoni curata dal fedelissimo Robbie Robertson. Ogni canzone segna una tappa del racconto, come un contrappunto ironico. Dal blues di Elmore James all’Incontrollable Urge dei Devo passando per Insane in the Brain dei Cypress Hill senza contare il “detournement” di Gloria di Umberto Tozzi a commentare il catastrofico Titanic-replay dell’esilarante naufragio. Oppure il Plastic Bertrand di Ça plane pour moi (rifatta dai Sonic Youth sulla Compilation Caroline, Freedom of Choice) che incornicia la trattativa con il banchiere ginevrino Jean Dujardins, l’unico personaggio in grado di “parlare-denaro” con Belfort, e non a caso comunicano “telepaticamente”…).

Cinema profondamente filosofico, The Wolf of Wall Street è il film che, dopo Inside Job, meglio mette in scena il paesaggio politico e antropologico del mondo nuovo della sua crisi finanziaria… eterna. E le poche inquadrature nella metro evidenziano che esiste un mondo al di fuori dell’orizzonte ontologico del denaro, ma queste inquadrature giungono alla fine, quando ormai il film ha dovuto abbandonare lo sguardo di Belfort perché la Legge, un altro principio di realtà, ha imposto una narrazione antagonista alla sua, imponendo un attestato d’esistenza più forte.
Momentaneamente. Perché il film prima o poi finisce. Il mondo continua.

(28 gennaio 2014)
Che figo ho usato lo spoiler anche io!

Gran parte di questo articolo poggia le sue argomentazione su una contrapposizione verso chi considera il film una specie di apologia dello squalo dollarivoro americano, o alla meno peggio una rappresentazione indulgente e parziale. Io trovo che i film debbano raccontare ciò che è utile al suo incedere verso il pubblico, né più né meno. Se deve raccontare pomposamente e minuziosamente tutta la realtà rappresentata, per scelta stilistica del regista, io lo guardo, per tutte le ore per il quale è stato previsto, e se ha un senso cinematografico compiuto ed armonioso il applaudo fino a che non mi fanno male entrambi i palmi delle mani. Se al contrario, il regista decide di raccontare una guerra per mezzo di un ferito nascosto sotto un sasso, e lo fa da dio, le mani me le disintegro a suon di clap! clap!
Stessa cosa per i contenuti, la trama di kill bill fa venire il latte alle ginocchia, però è una epica figata, piena di sequenze irripetibili e impossibili da girare in modo migliore.

Questo per dire che non faccio parte del "pubblico tipo" che questo articolo (in parte) adopera per autovalidarsi.
Il film ha come protagonista un attorone, che conferma il suo talento. Il film ha un registone, che conferma il suo talento.
Per me si chiude qui, perché ciò che racconta in alcune scene veramente ben fatte e ben recitate è piatta, abbiamo capito che questi yuppies sono tutti esaltati ed infoiati dal grano che cade loro sulla crapa, che per equilibrare la sfera personale e sociale a quella lavorativa si trasformano in drogati erotomani, e questo li porta inesorabilmente a scopare, drogarsi e fare una miriade di cazzate ridicole in ufficio, a casa, in macchina ed in ascensore. E poi i soooldi, uuuu i sooooldi che macelli che combinano. Mi va bene tutto, ma al trentesimo minuto so cosa succederà nei successivi duecento, e so che non mi appassionerà eccessivamente.

Ha raccontato magistralmente vita morte e miracoli di sti cazzo di broker e dei loro migliori amici soldi&cocaina. Bene ora passiamo ad altro.
Luttazzi sembra una di quelle cose che scappa quando sollevi una pietra. (Renato Schifani)
se hai tipo 40 anni e stappi lo spumante tutto convinto, senza tradire nemmeno una punta di ironia, ti trovo ridicolo. (Fuente)
Scrivi fistola anale (dboon)
Trez (Trez)

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