L' omicidio Rasman è la vicenda giudiziaria sorta attorno alla morte di Riccardo Rasman (Trieste, 5 agosto 1972), avvenuta a Trieste il 27 ottobre 2006.
I fatti
Il 27 ottobre 2006, passate da poco le ore 20, Riccardo Rasman si trovava nel suo appartamento di Via Grego 38, un immobile di proprietà dell'ATER di Trieste. Secondo la ricostruzione degli agenti e le contraddittorie testimonianze dei vicini[1], Rasman ascoltava musica ad alto volume e uscì nudo sul balcone di casa lanciando due petardi nella corte interna dello stabile, di cui uno scoppiò a poca distanza da una ragazza senza causarle lesioni.
Rasman, affetto da una sindrome schizofrenica paranoide, dovuta a episodi di nonnismo subìti durante il servizio militare[2], era probabilmente in uno stato di felicità e di agitazione psico-fisica dovuta al fatto che il giorno seguente avrebbe iniziato un lavoro come operatore ecologico.[3]
In seguito a una segnalazione arrivata al 113, sul posto giunsero due volanti. La prima alle 20:21, che alle 20:34 chiese una seconda volante di rinforzo e l'intervento dei Vigili del Fuoco per sfondare la porta dell'appartamento.[4] Rasman, che nel frattempo si era rivestito e steso a letto con la luce spenta, rifiutò di aprire, forse intimorito anche in seguito ad un'altra colluttazione con le forze dell'ordine risalente al 1999 a cui era seguita una denuncia nei confronti di due agenti da parte di Rasman stesso[5]. Intervenuti i Vigili del Fuoco, gli agenti entrarono trovando Rasman seduto sul letto. Ne sortì un'accesa colluttazione tra i quattro agenti e Rasman, che infine fu immobilizzato dal gruppo a terra, ammanettato dietro la schiena e legato alle caviglie con del filo di ferro.[6]
Dopo l'immobilizzazione, «esercitavano sul tronco, sia salendogli insieme o alternativamente sulla schiena, sia premendo con le ginocchia, un'eccessiva pressione che ne riduceva gravemente le capacità respiratorie», e «nonostante fosse ammanettato, continuavano a tenerlo in posizione prona per diversi minuti».[3] Tenuto in tale posizione per diversi minuti, l'uomo iniziò a respirare affannosamente e a rantolare, fino a divenire cianotico e a subire un arresto respiratorio. All'arrivo di un mezzo di soccorso, ne venne constatato il decesso.[3] La morte avvenne tra le 20:43 e le 21:04.[4]
All'arrivo dei sanitari Rasman venne trovato ammanettato dietro la schiena, con le caviglie immobilizzate da fil di ferro, e mostrava gravi ferite e segni di imbavagliamento. Venne chiarito che nonostante l'uomo fosse immobilizzato, gli agenti esercitarono «sul tronco, sia salendogli insieme o alternativamente sulla schiena, sia premendo con le ginocchia, un’eccessiva pressione che ne riduceva gravemente le capacità respiratorie», causando la morte per asfissia.[3] Le ferite, gli schizzi di sangue sui muri ed i segni di violenza vennero correlati all'uso di oggetti contundenti, come un manico d'ascia trovato nell'appartamento, e lo stesso piede di porco usato dai Vigili del Fuoco per forzare la porta d'ingresso[7].
Secondo dichiarazioni della sorella Giuliana, il corpo di Riccardo «era martoriato di botte sul viso, gli avevano rotto lo zigomo, poi c'era il segno di imbavagliamento, sangue dalle orecchie, dal naso, dalla bocca, si vede proprio molto bene.. noi siamo entrati in quell'appartamento soltanto in marzo, era un disastro, c'era sangue dappertutto, una chiazza di sangue verso la cucina. Poi dalle fotografie mi sono resa conto che l'hanno spostato con la testa verso l'entrata così da nascondere la chiazza di sangue che c'era lì, c'era una frattura, i capelli erano tutti pieni di sangue, c'era una frattura anche dietro il collo, c'era sangue sul tavolo, sui muri, sulle lenzuola, dietro il letto per terra, c'erano chiazze di sangue sul tappeto sotto il quale abbiamo trovato persino dei pezzi di carne, nascosti».[8]
[modifica] Il caso
Venne aperta un'inchiesta d’ufficio, affidata al pubblico ministero Pietro Montrone, il quale delegò alle indagini gli stessi poliziotti coinvolti nella colluttazione. L'inchiesta venne chiusa nell'ottobre 2007 con una richiesta di archiviazione da parte del magistrato, il quale ritenne che i quattro poliziotti avessero agito nell’adempimento di un dovere, pur avendo accertato che la morte di Rasman era stata causata da "asfissia posturale" seguita all'operato degli agenti.[9]
Il 28 febbraio 2008, tuttavia, nell'udienza che avrebbe dovuto chiudere l'inchiesta, il pubblico ministero cambiò orientamento di fronte alla prova che i quattro agenti fossero a conoscenza del fatto che Rasman fosse seguito dal Centro di salute mentale di Domio, cosa che avrebbe imposto a Francesca Gatti, Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giuseppe De Biasi una maggiore cautela e la richiesta d'invio di un operatore specializzato. Fu inoltre contestata la legittimità dello sfondamento della porta dell'abitazione privata, poiché il comportamento di Rasman non destava più pericolo avendo l'uomo semesso di lanciare petardi e trovandosi calmo e seduto sul proprio letto.[9][10] Prima dell'arrivo delle forze dell'ordine, Rasman avrebbe scritto in un biglietto, ritrovato in cucina: «mi sono calmato, per favore non fatemi del male».[3] I quattro poliziotti vennero quindi indagati e rinviati a giudizio per omicidio colposo.[11]
Il 29 gennaio 2009, con rito abbreviato, tre dei quattro agenti vennero condannati a sei mesi di carcere, con pena sospesa, e a una provvisionale di 60.000 euro.[11] Venne invece assolta l'agente Francesca Gatti.[11] Per la parte civile venne disposto un risarcimento di 20.000 euro per danni morali.[11] Il 30 giugno 2010 la Corte d'Appello di Trieste ha confermato la sentenza di primo grado. È la prima volta nella storia italiana che agenti della Polizia di Stato vengono condannati per tale tipo di reato compiuto durante lo svolgimento del proprio lavoro[senza fonte]. Il caso è stato sovente paragonato a quello di Federico Aldrovandi, per modalità della morte e dinamica dell'accaduto.