Giulio Tremonti ha scritto:Blif ha scritto:
2)
Impatto della riforma sulla distribuzione fra livelli gerarchici
Assumendo
n' ricercatori all'anno e promuovendoli o licenziandoli dopo 8 anni,
a regime il paese avrà
8 n' ricercatori.
Se ogni anno
k = an' ricercatori diventano professori,
se hanno mediamente 30 anni come dice la Gelmini,
e se andranno in pensione a 65 anni come dice la nuova legge,
a regime il paese avrà
35 a n' professori (associati e ordinari).
Per quali valori di
a avremo un numero di ricercatori superiore a quello dei professori?
8 n' > 35 a n', cioè
a < 8/35 = 23%.
Cioè meno di un quarto dei ricercatori dovrebbero venir confermati,
qualunque siano le capacità dimostrate durante i 3+8 = 11 anni di prova.
Assumendo invece una percentuale di conferma dell'80%, che non mi pare assurda,
il rapporto fra professori e ricercatori diventa
35 a n' / 8 n' = 35/8 * 80% = 3.5,
mentre il valore attuale è circa 2.

Tu commetti il solito errore di considerare gli avanzamenti come un diritto maturato, a prescindere dalle risorse. Se si vuole che la spesa per stipendi sia costante e si vogliono anche le promozioni, bisogna mantenere uguali gli organici per ciascun livello. Quindi, un professore esce, un ricercatore diventa professore, un nuovo ricercatore viene assunto.
Fino ad ora si sono fatte promozioni in base al 'merito' che non tenevano conto delle risorse, cioè senza considerare se fossero o meno compatibili con i bilanci. Un sistema siffatto è destinato a fallire miseramente perchè presuppone un aumento della spesa senza limiti, ed infatti in questi anni il numero dei docenti di ogni ruolo è aumentato in maniera incontrollata.
Non sono stato chiaro, allora.
Non ho parlato di diritti all'avanzamento di carriere: ho fatto un'ipotesi di equilibrio.
L'ipotesi di equilibrio non significa tenere uguali fra loro gli organici dei tre livelli,
ma tenere uguale nel tempo il numero totale di ricercatori e il numero totale di professori.
Mi pare un'ipotesi di buon senso, dato che la popolazione italiana è più o meno stabile e che
da un lato la percentuale di accademici è inferiore alla media europea mentre dall'altro non ci sono i soldi per aumentarla.
Sotto l'ipotesi di equilibrio, ho applicato la riforma e discusso due casi estremi:
1) se si vuole creare una piramide con più ricercatori che professori (al momento invece sono circa 1 contro 2),
per motivi puramente matematici si deve licenziare il 77% dei ricercatori a fine prova, qualunque sia il loro rendimento.
2) se si vuole ridurre la percentuale di licenziamento al 20% per rendere attraente la posizione,
per motivi puramente matematici si ottiene una piramide più rovesciata di quella attuale,
cioè 1 ricercatore contro 3.5 professori.
Siccome sia i nuovi ricercatori sia i professori guadagnano di più dei vecchi ricercatori,
il risultato di questa ipotesi è aumentare il budget per stipendi.
Il problema intrinseco della riforma è la durata fissa del ruolo da ricercatore,
mentre la vituperata situazione attuale ha l'enorme pregio di essere flessibile:
chi corre fa carriera prima, chi cammina dopo, chi si ferma non fa carriera.
Siamo tutti d'accordo sul fatto che la riforma non tocchi il punto importante,
cioè valutazione dei singoli e responsabilizzazione dei vertici.
Io dico che la riforma produce danni, per i motivi elencati prima, e per altri ancora.