Esempio di porno ‘autoriale’ si rivela ‘El Miron y La Exhibicionista’, film del 1986 con cui Franco svolge un trattato su quell’oscuro oggetto del desiderio che è la donna, tanto più cercata e voluta quanto più osservata, venerata e mai, dico mai, posseduta. Abbiamo dunque Lina Romay, vero e proprio feticcio emotivo e professionale di Franco, calata nell’identità di una disinibita signora che trascorre le serate nel proprio appartamento facendo cose banali: ascoltare musica, farsi il bidet, esercitare una sessualità libera con amiche e amici. Dall’altro alto della strada, avvolto nell’oscurità di un locale mai pienamente svelato, un uomo osserva lei e tutto ciò che la riguarda. Tramite un cannocchiale, questo signore rimane in penombra accarezzando con lo sguardo le pareti della stanza di lei, soffermandosi sui poster appesi, sul mangianastri sopra il letto, fino ad incontrare il corpo della donna nel déshabillé della sera. Un vero e proprio guardone insomma, che stipula con Lina un rapporto basato sul puro compiacimento voyeuristico nel vederla fare sesso con altri: da quel momento, ogni gesto di lei viene sapientemente fatto ad uso e consumo dell’ammiratore (non più) segreto. Eccola allora masturbarsi con voluttà e compiaciuta lentezza, intrattenersi in un amplesso saffico con un’amica al rientro da una notte brava, spassarsela infine con un uomo. Tutto questo cercando ripetutamente lo sguardo dell’uomo che guarda, in quello che diventa un tacito gioco di seduzione.
La stanza da letto della donna è, a tutti gli effetti, il set della pellicola: è qui che lo spettatore del palazzo di fronte dedica la propria attenzione attraverso soggettive di esplorazione che gli permettono - e a noi con lui - di ‘gustarsi il film’. Un film che in realtà non ha niente di cinematografico, presentandosi anzi come tediosa osservazione d’una quotidianità qualunque, capace poi di farsi piccante e pornografica quando diventa consapevole di essere osservata. Un paradigma della vita, ci verrebbe da dire: la noia della solitudine che si trasforma nell’ebbrezza della sessualità condivisa ed esperita direttamente e tramite lo sguardo di terzi.

Chi è dunque il guardato, e chi l’osservatore? Le due identità vanno via via confondendosi col passare dei minuti, quando all’esibizione di autoerotismo della donna segue un cunnilingus tutto al femminile, per approdare poi ad un pompino che Lina somministra di fatto al partner facendolo eiaculare nello stesso istante in cui il guardone viene copiosamente sul vetro della finestra da cui osserva la scena di sesso. E’ in questo frammento di ‘magia spermatica in contemporanea’ che si concretizza l’unità di intenti dei due protagonisti del film: darsi piacere ‘a distanza’, utilizzando i corpi di altre persone come semplici tramiti.
La dichiarazione d’impotenza del miron diventa dunque affermazione della potenza della visione: il desiderio si realizza nel suo (non) farsi, trovando soddisfazione nell’assistere ad uno spettacolo sessuale in separata sede. Esattamente come fa lo spettatore di fronte ad un film, insomma.

‘E’ un po’ come un racconto di Simenon con un’atmosfera molto disturbante’ ha dichiarato Franco riguardo a questo film nel volume ‘Obsession’ a lui dedicato. Ed in effetti il morboso pedinamento oculare sul corpo di Lina messo in atto dallo sguardo della macchina da presa segue la logica dell’indagine degna di un giallo. A questo si aggiunge l’arrangiamento minimale impresso dal regista, all’insegna di un mutismo pressoché integrale e di rumori lontani, relegati sullo sfondo di una vicenda ripresa in maniera scarna, essenziale, tesa e silenziosa. ‘Fu un’idea di Lina - aggiunge il regista - mise per iscritto due pagine e ci creammo su l’unico romantic X movie’ per citare le esatte parole di Jesus. Va detto che il regista non parla mai ‘tanto per’, dunque il chiamare in causa un certo romanticismo per ‘El Miron’ è concetto suggestivo che apre un’ulteriore chiave di lettura del film come rappresentazione grottesca (o, se volete, parodia) di una pornografia feticista che trova sfogo solo nella ‘mimesis’ di una realtà volutamente negata a se stessi (vale a dire la rinuncia alla soddisfazione sessuale diretta, realtà a cui viene preferita la masturbazione dell’imitazione e la messa in scena).

A completamento dei corsi e ricorsi cinematografici, impossibile non trovare un solido tratto di congiunzione tra l’esercizio di spionaggio di ‘El Miron’ con l’hitchcockiano ‘La Finestra sul Cortile’, vero e proprio manifesto del guardonismo filmato. Anche in questo caso sfugge la sottile linea che separa soggetto attivo da passivo osservatore, con l’unica differenza che è la consapevolezza di essere guardati a scatenare l’attitudine narcisistica ed esibizionista del personaggio femminile. All’uomo non rimane che assistere con fare compiaciuto ma sterile, chiamandosi fuori dal gioco di seduzione eppure fruendo ugualmente di esso.

Se è vero, come pare, che il soggetto di quest’opera si deve a Lina Romay (accreditata qui e non solo come Lulù Laverne), aggiungiamo senz’ambra di dubbio che la mora e formosa Rosa Maria Almirall - vero nome della Romay - ha dato altrove massima prova della sua carica ‘primitiva’, come la definisce Aguilar nel libro ‘Bizarre Sinema - Jess Franco, el Sexo del Horror’. Questa musa della seconda parte di carriera di Jess Franco (arriva nel mondo poetico del cineasta spagnolo dopo la sublime e perversa Soledad Miranda) è testimone di un ‘decennio di decadenza estetica che non avrebbe conosciuto inversioni di rotta’ nella produzione del regista. Crediamo che questo giudizio un po’ impietoso di Carlos Aguilar sia riferito agli anni ’80, epoca in cui Franco girava film più per esigenza compulsiva che non per oggettiva fonte d’ispirazione (senza tacere del disastro economico dovuto alla seconda chiusura della casa di produzione Manacoa, di sua proprietà): ecco dunque i numerosi hard realizzati in modo pressoché coevo nella stagione 1985-86, tra cui una menzione va fatta per ‘El Ojete de Lulù’, in cui Lina si esibisce in suggestive evoluzioni con una statuetta degli Oscar. Ad ogni modo, chi scrive ritiene che la pornografia ‘franchista’ ha dato il suo meglio quando, lontana dai dettami di clichès puramente carnali (si vedano a tal proposito ‘Las Chuponas’ e ‘Bragueta Historia’) si è spinta in territori più cerebrali e sperimentali (come nel caso del film qui esaminato o nel più recente ‘Paula-Paula’, uno degli ultimi film del nostro prima della dipartita datata 2013).
