Valentino Ceneri
Il maestro d'ascia
Romanzo storico
Edizioni Tracce, 2011
Narrativa
pp. 320
€ 18,00
ISBN 978-88-7433-751-4
Dimensioni cm. 21x13
http://www.tracce.org/Ceneri.htm
Non l'ho ancora letto, ma sono stato ieri alla presentazione. Riporto alcune impressioni.
Splendido il pomeriggio in val Vestina, l’unica che io conosca in Abruzzo capace di ricordarmi le dolcezze di quelle toscane.
Sono passato presto da I. a Silvi e di lì Chiara, la voce del TomTomGo, ci ha rapidamente condotti fino a Moscufo, comunello del versante meridionale della valle del Tavo, poco oltre la Cappelle di Luciano Spalletti e dell’autore che vado a conoscere.
Territorio di vino e soprattutto di ulivi e olio che impegnavano ogni viuzza del paesino.
Campari, caffè, acqua e pane con l’olio.
In un bar era già in vendita il libro e mentre pagavo il conto ne ho presi due per farne dono a lei. Eravamo ancora seduti a fumare quando arriva un’auto scura e il barista mi informa che c’è dentro l’autore.
Valentino scende subito. E’ un ometto di oltre 70 anni, piccolo e ben fatto, abbronzantissimo e leggermente claudicante, pieno di vita e di energia; ad un cenno del barista mi si avvicina, mi alzo in piedi e mi presento come l’invitato di E. e lui si apre in un grande e accogliente sorriso, gli presento I. e intendo subito che piace anche a lei. Lo informo che E. tarderà perché si perde di continuo in auto, che porterà con sé una logopedista di Sulmona e quindi gli chiedo di ritardare l’inizio. Mi ringrazia e annuisce alla richiesta.
La location della presentazione è carinissima: si tratta di un cortile di un vecchio palazzo signorile abbandonato, con pozzo angolare e grande portone su cui campeggia la scritta HAEC IANUA PATET AMICIS.
Il tavolo dei relatori è ampio e presto si riempie di personaggi: l’editore, una prof. di Antropologia culturale che fa da conduttrice, un prof di non ricordo che in maglia rossa, una prof di lettere con l’hobby della recitazione, belloccia 50enne, un po’ piena di sé oltre che di chilogrammi, la quale reciterà poesie di Mario Luzi.
Arriva E. trafelata con la logopedista. Si erano perse e per due volte si erano ritrovate a Cepagatti. Rapide presentazioni e si parte.
Nulla di imprevisto e tutto bene fino a quando viene chiamato a relazionare monsignor A, teologo della curia di Pescara, fino ad allora nascosto in mezzo al pubblico.
Lui conosce Valentino dai tempi in cui studiavano teologia all’Università Lateranense e gli è legato da un affetto più che fraterno, che gli ha consentito, nella sua veste di alto prelato, di intervenire alla presentazione di un libro su Gesù Cristo scritto da uno spretato, coniugato, divorziato e riconiugato.
Neanche il successore nella parrocchia, che pure gode fama di prete libertario, ha avuto questo coraggio. Si sa che la Chiesa di Ratzinger, specie di questi tempi, non perdona…
A parte che è un settantenne bello ed elegantissimo, è dotato di una capacità comunicativa e di un eloquio che gli permettono di rendere piani e accessibilissimi concetti teologici veramente molto complessi.
Indimenticabile l’acrobatico riferimento al passaggio biblico sul primo incontro tra Dio e Abramo introdotto in precedenza e con sagacia dal prof in maglia rossa. Lo analizza parola per parola in ebraico antico, in greco della koiné e infine in latino e in italiano, per mostrare l’infedeltà delle traduzioni (tradurre/tradire) e le insidie che la parola, troppo spesso intenzionalmente, può veicolare e chiude il cerchio del riferimento con l’accostamento delle stesse parole usate da Luca nella parabola del figliol prodigo.
Infine mette in evidenza tutta la luce che Valentino Ceneri getta nel libro sulla figura umana di Gesù senza ribattere o sottolineare in nessun modo l’eclissi rilevata -maliziosamente o ingenuamente- dai relatori precedenti, riguardante la natura divina del Cristo stesso, parte della Trinità, e che facilmente può essere letta come eresia monofisita di tipo pelagico, ancorché inattuale in un tempo in cui ogni sacerdote è tentato dalla scorciatoia opposta, quella ariana.
Ma lui non fa nessun accenno a tutto questo, approfittando dell’autostrada che Valentino gli offre, essendo lo scrittore andato a occuparsi di una fase della vita di Gesù, quella adolescenziale e giovanile, alquanto povera di fonti, e sembra aderire alla tesi precedentemente esposta dal professore in maglia rossa secondo cui Gesù viene messo a morte da un tribunale ecclesiastico corrotto e ultraconservatore e non da un presunto progetto del Padre suo.
Inoltre si dichiara convinto che Jesuha, almeno fino ai trent’anni, non sapesse chi realmente fosse, questione questa di capitale importanza e costantemente dibattuta nei due millenni appena trascorsi.
Nemmeno una parola sul seguito, se non un brevissimo accenno ai primi Padri; nulla, assolutamente nulla, quindi, sulle precoci contaminazioni della fede cristiana con la metafisica greca e con il giuridicismo romano.
Il tempo, d’altra parte, nella concezione ebraica, non è lineare come lo percepiamo noi occidentali post euclidei, post cartesiani, post newtoniani e non ancora einsteiniani.
Loro non immaginavano il passato alle spalle, ma davanti. Hanno la stessa parola per indicare i fatti passati e i cartelli delle indicazioni stradali!
Il passato ce l’hanno davanti a indicare loro la via verso la crescita e la maturazione affinché non incorriamo negli stessi errori. In questo senso il tempo passato assume una sacralità in quanto tempo di Dio, racchiudendo, in definitiva, quanto Dio ha permesso di aggiungere al nostro percorso indubitabilmente progettato per la nostra felicità, ma il cui compimento è affidato ai noi stessi (concetto della somiglianza a Dio stesso, nel senso che fummo fatti a sua immagine da Lui, ma la somiglianza ce la dobbiamo sudare).
Non a caso, esaminando un qualunque personaggio o avvenimento testamentario, ogni aspetto viene ricondotto ad un principio verso cui si tende infine a ritornare sotto una nuova veste e una nuova luce. L’esempio che vale per tutti è la morte nel peccato originale (dove la traduzione esatta non è peccato -parola che compare per la prima volta a proposito del gesto di Caino- bensì caduta, o, ancor meglio, mancata elevazione) cui va a ricongiungersi la resurrezione di Gesù, attraverso il dipanarsi dell’albero della salvezza, tal quale si ammira nel mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto. Idem ne La Storia della Vera Croce di Piero della Francesca, nella chiesa di San Francesco ad Arezzo, almeno dalla morte di Adamo fino alla Resurrezione, ché la storie successive sono inficiate da grossolani elementi importati e imposti dalla ragione politica.
Molto ben evidenziati un po’ da tutti, sono stati gli aspetti inerenti le relazioni tra genitori e figli, lì dove più forte si fa nel testo l’influenza della ottima formazione psicoanalitica junghiana dell’autore, che marca tantissimo –forse anche troppo- le figure genitoriali di Maria e Giuseppe.
Lì il monsignore si è spinto oltre ogni limite dell’ortodossia, quando ha parlato, con una dovizia di riferimenti storici, psicologici, esegetici e bibliografici veramente impressionante, del sacrificio di Isacco, finendo per prospettare l’inaudita ipotesi che la lama del pugnale brandito da Abramo sul collo del suo figlio unigenito, altro non fosse che la lama con la quale ogni genitore deve recidere il rapporto con il proprio figlio adolescente affinché possa liberamente andare verso il proprio destino, verso sé stesso. Una lama antibamboccioni, essenzialmente.