Le missioni fallite e le spedizioni “Phobos”
Alla fine di agosto 1993 i mass media annunciarono con grande risalto che la sonda spaziale americana Mars Observer, giunta proprio in quei giorni nei pressi di Marte, aveva improvvisamente e inspiegabilmente interrotto i contatti con la propria base sulla Terra (Pasadena, California). Ogni tentativo di ripristinare la comunicazione si era rivelato inutile; la sonda doveva considerarsi definitivamente perduta. Mars Observer era costato 980 milioni di dollari (circa 1600 miliardi di lire) ed avrebbe dovuto mappare la superficie marziana, grazie ad apparecchiature sofisticate, capaci di rilevare fino ad un metro e mezzo di grandezza. Tutto ciò in preparazione dello sbarco umano sul pianeta previsto entro il 2020.
Gli esperti della NASA dichiararono di non capacitarsi della improvvisa interruzione di contatto. Qualcuno parlò di guasto di un transistor di bordo, altri di esplosione, altri ancora di collisione con un corpo siderale (meteorite). Alcuni autorevoli studiosi di Marte, quali ad esempio Mark Carlotto (specialista in elaborazioni fotografiche), Tom Van Flandem (astronomo della Yale University), David Webb ( membro della commissione spaziale presidenziale), e lo stesso Richard Hoagland presero questo come pretesto per accusare pubblicamente la NASA di aver sabotato la missione di proposito, o di far finta che la missione fosse finita, allo scopo di nascondere al grande pubblico quello che la sonda avrebbe potuto rilevare sulla superficie del pianeta rosso.
Nel mese di luglio del 1988, poi, grazie ad una notevole partecipazione internazionale, l’ex-Unione Sovietica inviò verso Marte due sonde denominate Phobos 1 e Phobos 2. Il compito principale di entrambe le missioni era di fotografare la superficie del pianeta, raccogliere dati e successivamente proseguire verso Phobos, una delle due lune di Marte. Sfortunatamente la prima sonda era sfuggita al controllo a causa di un errore d’immissione di dati nel computer di bordo. Phobos 2, invece, era riuscita ad arrivare sino a Marte, nel gennaio del 1989, ed a collocarsi nella sua orbita prima di trasferirsi in un’orbita parallela con la luna marziana. Infatti l’obiettivo principale era quello di sondare dettagliatamente la piccola luna con sofisticate apparecchiature, di cui alcune da collocare sulla stessa superficie. Tutto sembrava procedere regolarmente fino a quando la sonda non si allineò con il piccolo satellite. In effetti, il 28 marzo, il centro di controllo della missione sovietica annunciò di avere improvvisi problemi di comunicazione con la navicella. Gli stessi organi d’informazione sminuirono la gravità dell’evento affermando che si stava operando in tutti i modi per ripristinare i contatti con la sonda spaziale. Ma in realtà gli scienziati americani ed europei associati al programma vennero informati attraverso canali non ufficiali dell’effettiva natura del problema; fu detto loro che l’interruzione delle comunicazioni era stata causata da un errato funzionamento di un’unità di trasmissione. Il giorno successivo, però, mentre l’opinione pubblica veniva rassicurata che i contatti sarebbero stati ripristinati, un alto ufficiale della Glavkosmosa, l’agenzia spaziale sovietica, suggerì che in realtà non c’era nessuna speranza. La sonda Phobos 2 era al novantanove per cento persa definitivamente. A questo punto un alone di mistero iniziò a calare sull’intera vicenda, ma venne ben presto squarciato quando iniziarono a trapelare, agli organi d’informazione, determinate notizie. In particolare, il 31 marzo, un noto quotidiano spagnolo, tramite un suo corrispondente da Mosca, pubblicò un dispaccio decisamente sorprendente. Il testo affermava che: “il notiziario televisivo Vremya aveva rivelato, il giorno prima, che la sonda spaziale Phobos 2, che stava orbitando attorno a Marte quando vennero interrotti i contatti, aveva fotografato un oggetto non identificato sulla superficie di Marte qualche secondo prima di perdere il contatto. Inoltre, continua il testo, gli scienziati definirono inesplicabile l’ultima fotografia trasmessa dalla sonda, in cui si vedeva chiaramente una sottile ellisse. Il fenomeno, era stato detto, non poteva essere un’illusione ottica perchè registrato con la stessa chiarezza sia da obiettivi a colori che agli infrarossi. Una tale notizia aveva a dir poco dell’incredibile. Legittimi furono, a questo punto, i diversi interrogativi che nacquero in merito a tale dichiarazione. Quali immagini stava trasmettendo Phobos 2 quando si verificò l’incidente? Ma soprattutto, che cosa aveva causato la destabilizzazione della sonda, un’avaria tecnica o un agente esterno? Le risposte non tardarono ad arrivare.
Pressate dai partecipanti internazionali alla missione, che chiedevano chiarimenti sulla vicenda, le autorità sovietiche fornirono la registrazione della trasmissione televisiva che Phobos 2 aveva inviato nei suoi ultimi istanti, tranne le ultime inquadrature, effettuate pochi secondi prima che i contatti si interrompessero. Tale sequenza mostrava due evidenti ed insoliti particolari o meglio ancora due “anomalie”. La prima era una rete di linee diritte nella zona equatoriale di Marte, alcune erano brevi, altre più lunghe, altre sottili, altre abbastanza larghe da apparire come forme rettangolari incise sulla superficie. La sequenza televisiva era commentata in diretta dal dott. John Becklake, del Museo Scientifico Britannico, il quale descriveva il fenomeno come sconcertante. Difatti i disegni visibili sulla superficie marziana erano stati fotografati non con il semplice obiettivo ottico delle sonde, ma con l’apparecchio ad infrarossi. Quindi con uno strumento che fotografa gli oggetti utilizzando il calore che irradiano e non il solo contrasto di luci ed ombre che può agire su di essi. In poche parole la grande rete di linee parallele e di rettangoli, che copriva un’area di circa 600 Km quadrati, irradiava radiazioni termiche. Per di più era decisamente improbabile che potesse trattarsi di una sorta di irraggiamento naturale dovuto a geyser o a concentrazioni di elementi radioattivi sotto la superficie. In effetti sarebbe stato decisamente impensabile che un fenomeno naturale potesse produrre un disegno geometrico così perfetto. Inoltre, ad un ripetuto e dettagliato esame, il disegno appariva inequivocabilmente artificiale. L’unico punto scuro, per lo scienziato, era il non saper esprimere un parere sull’effettiva natura di tale formazione. Per quanto concerne la seconda anomalia, rilevata dalla sonda, questa mostrava una sagoma scura che poteva essere descritta come una sottile ellisse con i margini molto netti, appuntiti invece che arrotondati. Inoltre i margini invece di essere confusi risultavano perfettamente netti contro una specie di alone sulla superficie di Marte. Secondo il Dott. Becklake, l’ombra poteva appartenere solamente ad un oggetto collocato tra la sonda sovietica in orbita ed il pianeta. Difatti era possibile vedere l’ombra sulla superficie sotto di essa, inoltre l’oggetto era stato ripreso sia dalla macchina ottica che da quella agli infrarossi. Becklake spiegò che l’immagine era stata effettuata mentre la sonda si era allineata con Phobos ed aggiunse: “Hanno visto qualcosa che non avrebbe dovuto esserci, i sovietici non hanno ancora fornito l’ultima fotografia, e non possiamo immaginare di cosa si tratti”.
Tali fotografie non vennero rilasciate e pertanto, sul loro possibile contenuto, furono fatte solo ipotesi. Ci fu chi collegò quest’ombra ellittica alla presenza di un’astronave madre extraterrestre “parcheggiata” nel cielo di Phobos e fatta sparire all’istante tramite un impulso di energia; fatto sta che proprio dopo aver trasmesso verso terra questo fotogramma, la sonda scomparve “misteriosamente”. Altri posero l’accento sulle anomalie della superficie di Phobos, tali da lasciare a dir poco perplessi gli scienziati sovietici. In effetti Phobos ha delle caratteristiche particolari che, già in passato, hanno portato diversi scienziati a supporre che si potesse trattare di un prodotto artificiale. Una delle principali peculiarità di Phobos è il fatto che trasgredisce la regola propria di tutti gli altri satelliti del sistema solare, cioè quella di girare, attorno ai loro pianeti più lentamente di quanto i pianeti stessi ruotino sul proprio asse. La luna ad esempio, effettua un giro in un tempo in cui la Terra compie 27 rotazioni. Phobos, invece, effettua una vera gara di velocità con Marte; infatti il giorno sul pianeta rosso dura 24h e 37m, mentre la rivoluzione del satellite è di 7h e 39m. In effetti Phobos in tutto il sistema solare è l’unico satellite che presenti “l’anomalia” di una rivoluzione, come definiscono gli astronomi, retrograda. Inoltre, la luce prodotta dalla luna marziana è troppo forte e brillante per essere un riflesso di materiale roccioso, il materiale che, normalmente, compone tutti i satelliti. Gli astronomi hanno ipotizzato molto sulla possibile spiegazione di quella luce ed alcuni di essi hanno concluso che si tratta di materia metallica. Ora nessun corpo celeste ha una superficie metallica, ma ce l’hanno i vettori spaziali ed i satelliti artificiali. Guardando, inoltre, attentamente la superficie del satellite marziano non si può fare a meno di notare particolari solchi o segni di “strade” che proseguono dritti e quasi paralleli l’uno all’altro. La larghezza è quasi uniforme, tra i 230 e i 330 metri circa. La possibilità che questi “solchi” siano imputabili a fenomeni naturali, ad esempio scavati dall’acqua corrente o dalle raffiche di vento, è stata ampiamente esclusa, dato che su Phobos entrambe non sono presenti. Tali “solchi” sembra che conducano o si diramino da un cratere che copre più di un terzo del diametro di Phobos e i cui margini circolari sono così perfetti da apparire artificiali. Difatti gli stessi scienziati sovietici hanno supposto che ci fosse, in generale , qualcosa di artificiale in Phobos a causa della sua orbita circolare quasi perfetta attorno a Marte, così vicina al pianeta da sfidare qualsiasi legge del moto celeste. Phobos, ed in qualche modo anche Deimos, avrebbero dovuto avere orbite ellittiche tali da averli lanciati nello spazio o fatti precipitare su Marte, già da diverso tempo.
Da qui alcuni studiosi hanno pensato che la causa di questa accelerazione fosse dovuta al fatto che il pianeta era più leggero di quanto si potesse supporre! Il fisico I.S. Shklovsky, nel 1959, suggerì un’incredibile ipotesi: Phobos, al suo interno, doveva essere cavo. E poiché nessun corpo cosmico poteva essere cavo, bisognava concludere che Phobos fosse di origine artificiale. Lo scienziato sovietico non è stato l’unico a proporre un’ipotesi del genere; altri scienziati sovietici hanno ipotizzato sulla possibile origine artificiale di Phobos, frutto, probabilmente, di una razza di umanoidi estinti milioni di anni fa. Inevitabili e scontate furono le critiche mosse contro tale ipotesi, ma in un rapporto dettagliato, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “Nature”, si menzionava la recente scoperta del fatto che Phobos era molto meno denso di quanto si supponesse. In effetti, l’interno della luna marziana doveva essere costituita di ghiaccio, oppure vuota. Inoltre, sempre nel rapporto, erano menzionati anche i famosi e “misteriosi” solchi. Questi ultimi erano definiti gallerie, le cui pareti sarebbero costituite da un materiale più brillante della superficie della luna. Ma la vera notizia sbalorditiva che determinò sconcerto, fu l’apparizione sul satellite di nuove gallerie. In effetti nell’area ad ovest del grosso cratere erano comparse nuove “scanalature” o “strade” che non erano presenti quando il Marineer 9 e le Viking effettuarono le foto della piccola luna marziana. Dato che su Phobos non esiste attività vulcanica, non ci sono tempeste di vento, nè pioggia, nè acqua che scorre, in che modo si sono originate queste nuove “scanalature”?. L’origine, probabilmente, era da imputarsi alla stessa causa o movente che portò alla “misteriosa” perdita delle due sonde spaziali sovietiche e, successivamente ed in modo ancora più insolito, di quella statunitense, il Mars