Naturalmente è una corsa, ora, ad appropriarsi il merito di questa svolta. L’Italia è un paese generoso nel distribuire meriti e un po’ riluttante a stabilire colpe, ma non si può fare a meno di ricordare che si è giunti all’arbitrato internazionale con tre anni almeno di ritardo, e uno di questi tre va nel conto del governo in carica. Il merito più grande è quello che va riconosciuto allo stesso Girone, alla sua paziente disciplina, alla sua caparbia resistenza, ai suoi diplomi via Skype, alla forza semplice e profonda della sua famiglia.
Né si possono disconoscere i meriti dell’India, il cui governo nazionalista ha accettato l’arbitrato, ha aperto uno spiraglio al possibile ritorno di Girone in patria, ha affidato, nonostante le ferie della Corte Suprema, a una sezione speciale l’attuazione della sentenza con cui la Corte arbitrale aveva stabilito il 29 aprile il rientro di Girone. Magnanimità? Anche calcolo politico del pragmatico Narendra Modi: ha atteso che scadesse a dicembre la presidenza, a capo della Corte Suprema, di Dattu, un magistrato del Kerala. Ed ha atteso che lunedì 16 maggio si tenessero le elezioni in Kerala. Che hanno visto la sconfitta del Partito del Congresso e di Oomen Chandy, il grande accusatore dei marò. Il centrosinistra di quello strano Stato che è il Kerala passa la mano a un governo ancora più a sinistra. Ma il partito induista, maggioritario in quasi tutti gli altri Stati dell’Unione indiana, si affaccerà per la prima volta con qualche seggio nel parlamento del Kerala. Via libera, nonostante le ferie, per sbarazzarsi di una questione ereditata senza entusiasmo da Narendra Modi, per liberarsi di due indagati scomodi, di un’inchiesta maldestra, e di qualche complicazione internazionale.
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"Non devo essere io ad insegnarvi che avete nemici ed in gran numero, che non sanno perché lo siano, ma che come cani bastardi di villaggio, si mettono ad abbaiare quando i loro simili lo fanno" (Shakespeare, Enrico VIII)