(Dis)Soluzione — Il Cinema dell’Annullamento. Intervista a Davide Pesca

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(Dis)Soluzione — Il Cinema dell’Annullamento. Intervista a Davide Pesca

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Davide Pesca ha cominciato a concepire il ‘fare cinema’ come un ‘lavorare su effetti speciali’ che comunicassero una lacerazione fisica, una mutilazione. In questo, il suo processo di approccio alla visione e all’elaborazione narrativa è avvenuto gradatamente, collocando quelle interiora sapientemente forgiate con l’amore dell’artigiano all’interno di realtà concettuali che partono dal dato fisico per proporre tra le righe varie riflessioni di carattere esistenziale, religioso, non ultimo erotico.

L’atto dell’infierire sul proprio o altrui corpo non è mai rituale fine a se stesso, aprendosi anzi ad una concezione tragica dell’umanità, quantomeno sul piano estetico: ogni tentativo di elevare la propria fisicità, di nobilitarla, di impreziosirla, non può che incorrere nel suo esatto contrario, una beffarda involuzione epidermica culminante nell’annientamento.

In questa mortificazione della carne proposta da Davide emerge anche un aspetto morale, un risvolto psicologico: ecco allora che la pulsione all’annullamento, l’esplorazione delle viscere come rituale votivo ad una divinità spesso illusoria, il dolore autoinflitto come tentativo di espiazione di quel peccato originale rappresentato da una fisicità inadatta e avvertita come limite, nascondono una follia latente, un senso di smarrimento che l’essere umano non riesce a superare rispetto al mondo che lo circonda. E’ da questa frattura che nasce la frustrazione e, appunto, la lacerazione.

L’esistenza è dunque una ‘via dolorosa’ da cui scaturisce la consapevolezza che il peccato sedimenta – letteralmente – nella carne: noi stessi ‘siamo peccato’. L’unica via di superamento è constatare ed arrenderci all’inevitabile avanzare di un’autodistruzione, talvolta voluta e fortemente perseguita (si vedano i vari episodi di ‘Life Death and Sins’ a tal proposito).

Questo perchè, come dimostrano le riflessioni racchiuse in film quali ‘Suffering Bible’ e ‘Dead Butterfly’, ogni mutilazione è un passo verso l’Assoluto, quindi verso Dio. Ecco spiegata la necessità di una impassibile crudeltà verso il nostro corpo, una furia devastatrice che è pura testimonianza di Fede.

Da questo punto di vista, nel dittico permane il rigore della rappresentazione sacra, laddove la sacralità consiste nella mortificazione della carne.

Nel cinema di Davide Pesca il concetto di ‘Visione’ è sempre duplice, ingannevole e speculare: la bellezza esteriore e la grazia interiore sono realtà ambigue e beffarde, in quanto celano in loro stesse una verità più profonda fatta di putrescenza fisica e bestialità comportamentale. Tutti concetti che vengono ribaditi in ‘Grand Guignol Madness’, suo nuovo lavoro.

Interpretando il pensiero preromantico di Edmund Burke ed applicandolo alla produzione di Davide, si può dunque affermare che il suo è un cinema ‘sublime’, laddove per ’sublime’ ci si riferisce all’orrendo che affascina e a quella distanza che separa la percezione di terrore del soggetto – l’individuo in tutta la sua miseria – e dell’oggetto – la natura ‘matrigna’ che annienta i propri figli sprigionando una violenza da cui non ci si può sottrarre.

Di tutto questo e di altro ho avuto il piacere di parlare con Davide, analizzando i capitoli fondamentali che ne hanno segnato le tappe da regista fino ad oggi.


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Effetti Speciali Eviscerali


Davide, comincerei parlando del cortometraggio ‘Rip Angel’ datato 2008 che, per molti versi, costituisce un corpus in cui possiamo individuare già molte di quelle che saranno le tematiche che svilupperai nei lavori successivi.


Si, diciamo che ‘Rip Angel’ ha rappresentato una svolta rispetto a quello che facevo prima, ovvero un horror di taglio più demenziale di ispirazione Troma. ‘Rip Angel’ ha determinato un cambiamento stilistico che ho poi proseguito sulla stessa linea, sviluppando concetti quali ‘Sacralità’ e ‘Peccato’.

La figura dell’angelo cieco che troviamo in questo tuo corto è ricorrente nel tuo cinema: tornerà ad esempio in ‘Dead Butterfly’ come cornice ricorrente alla fine di ogni episodio/capitolo…

Il mio modo di rappresentare queste figure è quello di angeli ciechi che ‘sentono’ l’odore del peccato, sono attratti dal peccatore e cercano di redimerlo assimilandone il peccato nella loro dimensione di sofferenza. Addirittura in ‘Rip Angel’ accade che, per ogni peccatore redento, l’angelo cova in se stesso una sorta di tumore che alla fine fuoriesce letteralmente dal suo corpo.

In ‘Dead Butterfly’ l’angelo invece arriva a bucare la propria pelle in segno di redenzione: in questo caso ho avuto la fortuna di avere un esperto di body mod che ovviamente è familiare con questo tipo di pratica.

La creatura ‘malata’ (nel senso di ‘affetta dal male’) che nasce al termine di ‘Rip Angel’ costituisce un finale beffardo e assolutamente negativo: non c’è proprio speranza di salvezza.


Anche in ‘Philosophy of Beauty’, risalente al 2016, affronto lo stesso tema attraverso una nascita che sono riuscito a realizzare in modo direi molto migliore. L’idea è quella di una donna che compie degli omicidi come una sorta di rito per la conquista della bellezza eterna. A seguito di intensi odori al ventre, da lei nasce una donna bellissima mentre il suo corpo viene ridotto ad una carcassa.

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La tua passione per gli effetti speciali comincia comunque da molto prima…


Quello in realtà era quasi un pretesto per fare film: girare delle storie per metterci dentro gli effetti. E’ chiaro che all’inizio il mio approccio al girato era più amatoriale: da ‘Rip Angel’ c’è stato un cambiamento anche da questo punto di vista.

…arrivando a collocare gli effetti speciali all’interno di una cornice narrativa, a servizio della storia. Cambiando un attimo prospettiva, uno spazio va dedicato anche ai vari filmati che hai realizzato nell’ambito delle convention dell’Associazione Piercers e Tatuatori Professionisti Italiani (APTPI). Questo anche a spiegare la presenza dell’elemento ‘body mod’ all’interno dei tuoi film…

Esatto, collaboro con molte persone di questo ambiente e spesso le coinvolgo nei miei film.

In questi videoclip emerge sia la leggerezza dei corpi che si librano durante la body suspension che la componente carnale delle ferite nelle parti del corpo in cui vengono applicati gli uncini…

Per citare ‘Hellraiser’ – anche se qui stiamo parlando di realtà – quello che avviene è la liberazione a seguito del dolore. Si tratta di affrontare una prova che è oggettivamente dolorosa per poi avere un rilascio di adrenalina che ti immette in uno stato di estasi, direi. Se vuoi, tornando a ciò che profetizzava ‘Hellraiser’, è quasi un discorso metacinematografico: il piacere del dolore non è solo un’invenzione filmica, essendo una sensazione che può essere provata anche nella realtà.

Piacere del dolore rivolto ad una liberazione di energia positiva, da ciò che si vede.

L’idea iniziale era infatti quella di fare un documentario su questo per sfatare il mito della tv generalista che affronta questi temi senza un’adeguata conoscenza, come se si trattasse di fenomeni da baraccone. Poi c’era anche l’idea di studiare il connubio tra piacere e dolore, tematica portante dei miei film.

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Biografia di un Peccato

Nel 2013 realizzi il lungometraggio ‘Life Death and Sins’ che rappresenta a mio avviso un ulteriore passo avanti nello sviluppo di quelli che stanno diventando i tuoi tratti distintivi. Per altro, va ricordato che questo è il primo film in cui utilizzi l’espediente narrativo della coesistenza di vari episodi e di un cortometraggio cornice ricorrente al termine di ogni segmento. Tra le varie storie proposte ne cito in particolare due, quelle che mi hanno maggiormente colpito. Si tratta di ‘Discover of Sexuality’ e del successivo ‘The Vice is The Enemy’.
Nel caso del primo citato, ‘La Scoperta della Sessualità’, ci troviamo di fronte, direi, ad un incipit quasi ‘sentimentale’ con questo ragazzo che cammina goffo e incerto verso una figura femminile misteriosa e incappucciata, che potrebbe rappresentare la ‘donna’ intesa come ‘mondo della femminilità’ a lui ignoto…

Si, ‘Life Death and Sins’ tratta dei sette peccati capitali sviluppati nell’arco di diverse fasi della vita. Partendo dal prologo ‘Reborn’ in cui viene tematizzato il momento della nascita, segue poi una fase di crescita rappresentato dall’abbandono della vecchia vita per ‘abbracciare una nuova visione di consapevolezza’ tramite una porta da varcare: da qui ecco le varie fasi dell’esistenza, tra le quali appunto anche la scoperta della sessualità, procedendo poi fino all’inesorabile decadimento finale intitolato non a caso ‘Decadence’.

Tra l’altro nel prologo abbiamo questa figura cieca che procede a tentoni salendo delle scalinate – metafora dell’attraversamento delle fasi di una nuova creatura e dello scorrere dello spazio/tempo, suppongo…

Giusto. C’è una sorta di cordone ombelicale che, con la salita delle scale, vuol richiamare al momento della nascita come uscita vaginale sostando in una specie di ‘limbo’ per poi entrare in un mondo nuovo.

Nell’episodio relativo alla scoperta della sessualità noto una forte ambiguità connessa all’idea di sesso: c’è desiderio e voglia di sapere da parte del ragazzo, ma la figura femminile, il suo polo di attrazione, si rivela quasi demoniaco, graffiandolo con le unghie. E qui arriviamo ad uno dei tuoi temi ricorrenti: non c’è mai un piacere assoluto, ma il momento stesso del piacere implica qualcosa di oscuro, inaspettato e pericoloso. Dunque la bellezza e il sesso contiene in se stesso anche l’idea di dolore, di morte?

Senza dubbio nei miei lavori questo connubio c’è sempre, non mi piace mai rappresentarlo in modo univoco ma preferisco lasciare adito a diverse interpretazioni personali.
Il mio intento per questo episodio era anche quello di scoperta di una sessualità intesa come ‘ritorno al momento della nascita, della procreazione’. La donna è l’essere che ti mette al mondo, dopodiché la tua vita si muoverà verso una serie di problematiche concludendosi poi con la morte. Il fatto che nell’episodio la donna viene raffigurata con gli artigli e ti graffia, uccidendoti, è una po’ la rappresentazione della vita stessa: una sorta di sintesi tra colei che ti genera in quanto essere umano gettandoti poi in pasto ad una vita la cui fine è ineluttabile. Questa la mia visione del cortometraggio,

L’altro episodio che citavo prima è ‘The Vice is The Enemy’, in cui metti in scena una vera e propria partita a scacchi tra due esseri umani arbitrata dalla morte: ad ogni movimento sbagliato, corrisponderà una pena corporale per i due giocatori. Qui è chiaro l’omaggio e il riferimento a ‘Il Settimo Sigillo’ di Ingmar Bergman…

Certo, l’ispirazione arriva da lì pur ricontestualizzando poi il tutto alla mia interpretazione delle cose. Anche in quel caso infatti è presente la tematica delle fasi della vita ed i relativi peccati…

Presenza visivamente potente in questo episodio è quella della body mod, mondo che sappiamo essere stato tuo oggetto di analisi già negli anni precedenti: ad ogni errore nel gioco scatta una penalità che comporta la penetrazione della carne tramite oggetti di volta in volta sempre più ‘offensivi’…


Con questo espediente volevo mostrare la fase adulta della vita. Più vai avanti con la tua vita, più paghi gli sbagli che fai: quest’episodio non è altro che la rappresentazione ‘esagerata’ e se vuoi caricaturale di questo concetto. Per ogni sbaglio nel gioco avviene una penetrazione a livello epidermico. Per quanto riguarda la presenza della body modification, in quel periodo ero effettivamente nel pieno della lavorazione di un documentario dedicato a questo tema che doveva intitolarsi ‘Use Your Body’, ed ero appena tornato dall’America dove mi ero dedicato a questo progetto. Avendo fatto numerose conoscenze nell’ambiente ho convinto due amici che praticano questa disciplina a partecipare al cortometraggio.

Una metafora della vita dunque, sviluppata in maniera visivamente estrema.
Gli episodi successivi – cito ad esempio ‘Woman’s Body’ – presentano già i prodromi di quelle che saranno le riflessioni figurative che metterai in atto nei film successivi, primo fra tutti ’Suffering Bible’. Oggetto della tua analisi è il desiderio di elevare il proprio corpo fino al raggiungimento di una bellezza, una perfezione estetica che si fa ossessione perchè privo di limiti e della capacità di ‘bastare a se stesso’. L’aspirazione alla bellezza si tramuta dunque nel suo esatto contrario, uno spogliarsi della propria pelle in senso letterale, martorizzando e deturpando un fisico corrotto.
Invece in ’Two Sisters’ – altro episodio di ‘Life Death and Sins’ – accade una cosa strana: le due figure femminili, palesemente disturbate, si muovono in modo innaturale attraverso scatti repentini e con gli occhi stralunati, immerse in un bianco&nero sporco. Tutto questo mi ha ricordato l’estetica della corrente cinematografica espressionista, che, in epoca di muto, adottava questi accorgimenti per comunicare allo spettatore la follia dei personaggi – penso ad un Murnau, per capirsi. Una similitudine involontaria?


Senza dubbio non era cosa voluta, ma son contento che sia uscita così!

Procedendo nella tua produzione arriva ‘Peep Show’, cortometraggio inserito nell’ambito del film ’17 a Mezzanotte’ (2014)…


‘Peep Show’ l’ho inserito anche in ‘Tales from Deep Hell’, una mia collection uscita per Blacklava qualche anno fa che comprende anche il già citato ‘Philosophy of Beauty’ tra gli altri. Vero è che ‘Peep Show’ è nato nell’ambito del progetto di cinema indipendente italiano ’17 a Mezzanotte’. Per questo film ho contattato 17 registi con l’idea di realizzare ognuno un cortometraggio.

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‘Peep Show’ lo trovo a suo modo rivoluzionario. L’immaginario voyeuristico chiamato in causa a questo riguardo va incontro ad un destino sorprendente e shockante. L’uomo che spende le proprie banconote al fine di ‘vedere sempre di più’ della ragazza che si sta esibendo è spinto da una pulsione erotica, ma questo suo desiderio non è mai sazio: avviene allora che, di fronte all’ennesimo pagamento/richiesta di ulteriore carne, la stripper compie l’atto estremo del karakiri, mostrando – appunto – le proprie interiora, con piena soddisfazione dello spettatore.

In questo caso mi sono immedesimato nel fruitore medio di siti pornografici che, pur avendo a propria disposizione una infinita scelta, è condizionato dall’ossessione di voler vedere sempre di più, qualcosa di più estremo, più shockante. Si tratta se vogliamo di una satira ‘giocosa’ rivolta all’industria pornografica e alla sua continua ricerca di spingersi oltre.

In questo senso trovo esemplare l’epilogo: quando finisce il sesso, comincia lo scempio vero e proprio della carne, non più erotico ma distruttivo. Ecco che qui abbiamo il connubio fashion del ‘nude look’ con quello grandguignolesco che ritroveremo nelle tue produzioni successive…

Si tratta di mostrare quanto è bello il corpo ‘fuori’ per poi rivoltarlo e dare uno sguardo a com’è fatto ‘dentro’. Un approccio alla ’Society’ – con tutte le differenze e i distinguo del caso, naturalmente…

Citazione calzante: laddove ’Society’ compie un’analisi per certi versi sociologica, tu sostituisci un’indagine maggiormente dedicato alla singolarità, all’intimità direi.
Nel 2015 abbiamo invece ‘Taste of Survival’, un lavoro diverso orientato verso uno stile post atomico con suggestioni, naturalmente, horrorifiche…


Esatto, in questo caso sono uscito dai miei consueti canoni per fare un qualcosa di diverso, omaggio – nel mio piccolo – al genere post apocalittico italiano dei primi anni ’80.

Di questo lavoro ho molto apprezzato la fotografia a tinte seppia ad evidenziare l’arsura, inevitabilmente sporcate alla fine col rosso sangue.


Diciamo che lì il film è uscito ‘a metà’, nel senso che abbiamo avuto solo 4 ore per girarlo aggiungendo poi gli effetti speciali. Una situazione da record, ma non potevamo usufruire oltre di quella cava.

Nutrimi Ancora

Approfondiamo adesso il discorso riguardante la tua partecipazione a ‘Deep Web XXX’ (2017), un film corale in cui diversi registi di natura ‘estrema’ si sono cimentati ciascuno in un cortometraggio riguardante particolari pratiche feticistiche. Per quanto concerne te, prendi parte al progetto con ‘Feed Me More’, lavoro che fin dal titolo palesa il riferimento al feed porn come forma esasperata di ‘pienezza’…


‘Deep Web XXX’ mi è stato proposto da Domiziano Cristopharo. Non avevo mai preso parte ad un suo lavoro in precedenza, ma occupandomi anch’io di film di natura estrema, o comunque splatter, ho avuto la possibilità di leggere la sinossi del progetto e prendervi parte. Per il cortometraggio mi sono avvalso della professionalità dell’attrice Elisa Carrera Fumagalli – a sua volta regista di un altro segmento del film, ‘Eucharist’ – ricambiando la sua partecipazione con la cura degli effetti speciali del suo corto.

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In questo tuo episodio la cornice è, come detto, orientata ad un’estetica extreme fetish e bdsm che procede in parallelo con una forma di tortura simil-snuff (la slave legata ad una sedia e nutrita forzatamente, prima del definitivo annientamento). Gli stessi ‘aguzzini’ sono bendati e resi anonimi…

A cornice di tutti gli episodi c’è questo fantomatico sito chiamato ‘Regina di Cuori’ contenente filmati ‘strani’ ed estremi che il visitatore non può fare a meno di visionare. Adottando il concept legato al bdsm, ho deciso di orientarmi verso una sottocategoria, quella appunto del feticismo legato al cibo. In più, ho tratto ispirazione per la parte finale al dipinto ‘Gli Amanti’ di Magritte, laddove le due figure delle torturatrici incappucciate si baciano appassionatamente, proprio come accade nel quadro, solo che nel mio caso sono sporche del sangue del massacro appena consumato. Come sempre, ho trattato la materia col mio stile esplicito, e devo dirti che ne sono soddisfatto. ‘Feed me More’ mi rappresenta al meglio perchè racchiude tutto quello che faccio: estremismo, splatter, erotismo e bdsm, un accenno alla pornografia. Anche l’assenza di dialogo o comunque di parlato risponde ad una mia scelta stilistica consueta.


Lacera il Prossimo Tuo…


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Il comandamento ‘Lacera il prossimo tuo come te stesso’ apre le porte di ‘Suffering Bible’, un corpus di 5 episodi in cui rivisiti, appunto, 5 comandamenti…


Li rivisito in maniera un po’ astratta diciamo, non letterale come avviene in ‘Death of Ten Commandments’.

Anzitutto, sul lato cromatico si ripete lo switch bianco&nero/colore a partire dal primo atto ‘My Only God’, aperto per altro da una carezzevole panoramica su una donna legata ad un letto. Il flashback svela il patto di sangue da lei tradito, con conseguenze nefaste: colei con cui aveva stretto il patto la tiene infatti prigioniera ed è intenzionata a rendere quel patto un vero proprio legame…’viscerale’, unendo le proprie interiora con quelle dell’amica in un definitivo patto carnale. Il peccato dell’aver tradito la sacralità del patto trova alla fine una sua estrema redenzione.


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In ‘Act II: St. Thomas’ assistiamo alla mortificazione delle carni da parte di un monaco, che viene sorpreso dall’apparizione di un Cristo lacerato da una enorme ferita…


Si, quasi come un premio per la sua devozione. Per via della estrema devozione, davanti al monaco si manifesta questo Dio. Il frate però non riesce ad accontentarsi di questo eccezionale regalo donatogli dall’alto, ma vuole sapere di più, esplorare ossessivamente quella ferita presente nel corpo sacro a causa della sua curiosità estrema: ecco spiegato il legame con San Tommaso. E lo scavare nella ferita sembra non bastargli mai. Di primo acchito potrebbe sembrare un film blasfemo, ma ti assicuro che non ho mai realizzato questi lavori per risultare blasfemo. La mia vuole essere, al contrario, un’analisi in chiave splatter di tematiche religiose.

Va anche detto che il monaco alla fine muore: quello stesso corpo d’adorazione gli è letale. Personalmente ho interpretato questa scelta come a significare una contaminazione del Divino, neppure Esso immune alle sozzure del mondo…

Il mio concetto era suddiviso in due parti: in primis, il corpo del Signore è un qualcosa di ‘troppo grande’ per un comune essere umano, con la conseguenza che la sua prospettiva di purificazione si tramuta quasi in una sorta di maledizione. Poi volevo rifarmi anche a ‘Rip Angel’: lo stesso Cristo, oberato dall’impurità umana, non riesce più ad espandere la propria purezza ma finisce pian piano col deteriorarsi. Per cui il celestiale involucro esterno va marcendo dentro.

Arriviamo poi al terzo atto, ‘Nel Nome Del Padre’. Qua la protagonista è una bella ragazza (Mery Rubes) che entra morbosamente in contatto con feticci ed icone sacre – il crocifisso e la Bibbia. Annusa e ‘avverte’ la consistenza delle pagine, ne accarezza la carta, finché non viene colpita da una sorta di eccitazione e smarrimento ravvisabili nel suo sguardo smarrito ed estatico.


Si tratta di una specie di dipendenza: è devota ed esaltata, un’adorazione estrema che la porta all’offerta di sè. Mi sono rifatto in questo caso alla ‘logica’ delle sette religiose che si martorizzano per dimostrare la propria devozione. Una forte ispirazione l’ho tratta dal Festival Vegetariano di Phuket in Thailandia, una celebrazione religiosa con degli ‘eletti’ che compiono il proprio cammino trafiggendosi con spade e compiendo insomma atti di martirio estremi. Diciamo che facendo il videomaker ho avuto modo di girare e conoscere varie realtà disparate che ho potuto convogliare nei miei film.

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Molto interessante! Una sorta di offerta votiva all’insegna di mutilazioni sempre più feroci, come emerge nell’episodio del resto…

Un’offerta di purificazione al proprio Dio, certo.

Chiaramente nel nostro caso stiamo parlando dell’ottica cristiana, ma credo – correggimi se sbaglio – che il concetto ha validità religiosa universale…


Certo. Personalmente mi son basato sulla religione cattolica partendo dal ‘peccato originale’ di Adamo ed Eva.

Il quarto atto, ‘The Pact’, vede l’ambiguità di una figura femminile incappucciata che prima appare salvifica per la smarrita protagonista, poi la pugnala nel sonno.


Si parte da una situazione di insoddisfazione, la volontà di vendere la propria anima al Diavolo per avere un beneficio materiale che però è ingannevole e nasconde il rovescio della medaglia.

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Infine nell’Act V: ‘Redemption of Lost Souls’ abbiamo tre figure per vari motivi indigenti – una tossica, un barbone ed un malato terminale – che porgono delle richieste scritte a due figuri poco raccomandabili. Potrebbe essere un modo per redimersi, oppure ottenere una forma di aiuto o perdono, ma tutto è vano: per i tre richiedenti non c’è perdono ma solo un destino di torture filmate a mo’ di estetica snuff. Ne emerge una visione pessimistica in base a cui la condanna e l’espiazione sono derive inevitabili.
La circolarità collante che lega i vari atti di ’Suffering Bible’ vede, come già detto, il tormentato strisciare di queste due figure bendate in una natura impervia che alla fine sembrano quasi trovarsi, salvo poi rimanere vittime di quella stessa natura matrigna che li condanna all’annientamento.

Nel cortometraggio cornice il mio obbiettivo era quello di rappresentare in maniera astratta il Peccato Originale. Le due figure sono una sorta di Adamo ed Eva caduti sulla Terra per ricominciare ma oppressi dall’agonia. Tramite l’olfatto vengono attratti dalla ‘Mela’, e quando sono sul punto di toccarla si avvicinano l’uno all’altra a cercare un contatto fisico, puntualmente punito dalla Natura. Il loro peccato è l’aver rovinato col desiderio reciproco il Paradiso Terrestre in cui erano caduti. Come ti dicevo, una mia rivisitazione, molto personale, del Peccato Originale: questo il messaggio che intendo trasmettere, fermo restando che, se il tutto non. arriva, resta comunque valido e interessante che ognuno si crei una propria interpretazione di ciò che vede.

Sul piano tematico, ravviso anche delle similitudini tra il concept di ‘Peep Show’ e quello di un episodio che sarà presente in ‘Grand Guignol Madness’, tuo prossimo film in uscita ad Ottobre. Nel segmento in questione vediamo una sorta di casting di alcune sexystar da parte di un’audience anonima, che resta sempre nell’ombra. La prima ragazza si esibisce in stile burlesque ottenendo una buona valutazione da parte delle ‘mani votanti’, la seconda punta più sul nudo e meno sull’arte – e vediamo che il gradimento cresce. Alla terza, che non riesce a raccogliere sufficiente attenzione col proprio show, non resta che infierire sui corpi delle altre due, torturandoli. Come a dire: la tortura del corpo è ‘mediaticamente’ più eccitante dell’estetica del corpo, infatti è poi lei a vincere la competizione…


Si, il legame con ‘Peep Show’ senz’altro esiste. In ‘The Competition’ ho voluto rendere la mia idea di quello che è l’audience televisiva oggi. Si parte come dicevi da questa ballerina di burlesque – lo è anche nella vita reale – che prende un buon voto salvaguardando l’artisticità del suo spettacolo. Con la seconda ragazza l’arte è già in secondo piano, come del resto succede in televisione: tira più il sesso nudo e crudo dell’erotismo legato allo show di una ballerina bravissima. Alla fine se metti insieme erotismo, violenza, ferocia e cattiveria hai la meglio sull’arte. Quello che vuole lo spettatore medio è, in definitiva, il sensazionalismo, lo shock visivo. Nel corto ho voluto inserire uno stratagemma ‘subliminale’ per rendere l’idea che anche i giudici, coloro che devono decidere sulla bontà dell’esibizione delle candidate, sono in realtà ‘telecomandati’ da un qualcosa più grande di loro, ovvero l’audience televisiva.

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Procedendo in ordine cronologico, dopo ‘Suffering Bible’ troviamo ‘Dead Butterfly’ che va a costituire un vero e proprio dittico, a completamento del film precedente…

‘Dead Butterfly’ è, a tutti gli effetti, il seguito di ‘Suffering Bible’ in quanto va a toccare i restanti cinque comandamenti.

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La ripartizione tematica in due parti era già stata pronosticata?

Si, Fin dall’inizio del progetto. Per non comprimere i 10 comandamenti in un unico film di durata elevata meglio giocarsela in due episodi distinti, uno a distanza di un anno dall’altro. Questo a chiudere un cerchio che mi ha visto reinterpretare il tutto in modo personale, anche se il concept l’ho poi ripreso e concluso in ‘Death of Ten Commandments’, dove ho dato ad ogni regista un comandamento da trattare e analizzare.

Va quindi ravvisata una forte omogeneità stilistica con ’Suffering Bible’, omogeneità che conservi anche dal punto di vista strutturale: cinque segmenti racchiusi all’interno di una storia/cornice ricorrente a fare da collante.


In ‘Dead Butterfly’ la storia di raccordo vede un angelo che si assume il peso dei peccati altrui e li redime infliggendosi del dolore a mo’ di penitenza per una salvifica purificazione dell’umanità.

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Una sorta di martire dunque, un vero ‘Agnus dei’. In questo film ho notato che gli episodi scorrono in modo molto lineare e godono, in generale, di una facoltà d’interpretazione abbastanza intuitiva. Prendiamo ad esempio il primo, ‘Heaven’s Door’: qui una ragazza cerca di superare la propria insoddisfazione esistenziale tramite l’ascolto della voce di una sorta di ‘maestro’ che la invita ad un viaggio sensoriale, promettendole l’ingresso in una nuova realtà priva di soprusi e ingiustizie…

Esatto, c’è la ricerca di una nuova vita tramite questa sorta di religione e l’affidarsi alla voce di un santone. L’idea mi è venuta guardando un episodio della serie ‘Room 104’ che, pur sviluppandosi diversamente, partiva da una situazione simile.

In questo caso si fa riferimento al fanatismo religioso visto come portatore di falsi miti, promesse ingannevoli e abbindolatrici tanto dal lato emotivo quanto da quello finanziario…


…infatti alla fine, anche se si verifica uno stato di apparente leggerezza, lo scotto da pagare è il deterioramento del corpo che lascia spazio all’anima. C’è, come sempre nei miei lavori, la volontà di mostrare l’altro lato della medaglia, le spiacevoli conseguenze dovute ad una conquista.

Appunto: nei tuoi film la decomposizione non è solo un fatto organico ma anche concettuale, come a dire che per ogni desiderio, per ogni aspirazione, per ogni vittoria dello spirito o del corpo c’è sempre un prezzo da pagare. Prezzo che, nel tuo specifico, si concretizza nell’abbrutimento e nella decadenza esteriore/estetica. Uscendo dunque dai confini prettamente cinematografici dettati dall’horror, potremmo affermare che, per i tuoi personaggi, ad ogni situazione di progresso e miglioramento personale corrisponde uno speculare regresso fisico.


Il perseguire fortemente un obbiettivo è caratteristica portante dei personaggi delle mie storie: non ci si rende conto che, per raggiungere quell’ambizioso obbiettivo, c’è uno scotto da pagare molto superiore alle sue aspettative: magari la morte stessa, per poi risorgere su un altro livello o dimensione. Deteriorarsi per poi rinascere: questo è un mio tema ricorrente, a cui mi sono particolarmente dedicato in ‘Philosophy of Beauty’ ad esempio.

In effetti le frasi del trailer di quest’ultimo titolo sono esaurienti in tal senso. A dire che, ‘When beauty is the priority, when limits don’t exist’, ecco che la patina di fascino esteriore non tarda a manifestare la sua intima consistenza, fisicamente e moralmente marcia e corrotta. Questa, in sostanza, la ‘Filosofia della Bellezza’.
Tornando a ‘Dead Butterfly’, abbiamo un altro episodio, ’The Saint Friday’, in cui ritorna prepotentemente il fanatismo religioso e le sue nefaste conseguenze…


Certo, pur non volendo scadere nella blasfemia, direi che questo è forse l’episodio più ‘forte’ ed esplicito perchè va a rifarsi al Venerdì Santo e al periodo delle festività pasquali, come si vede ad un certo punto nel calendario presente nel film. In realtà qui c’è anche un riferimento alla Pasqua islamica: il taglio della gola del capretto diventa per analogia nella mia storia, il taglio della gola del personaggio ‘sacrificale’.

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Rifacendomi a quello che osservavo prima riguardo alla linearità degli episodi, e prendendo in considerazione il quarto segmento intitolato ‘Do Not Steal’ – chiaro il richiamo al comandamento – sembra che certe volte i tuoi racconti – o meglio, gli arrangiamenti che proponi – presentano il rigore e la leggibilità tipici delle parabole, con una morale di fondo. Questo sempre, va da sé, utilizzando un linguaggio e una messa in scena estrema…

Concordo: l’analisi del peccato che vai a compiere, infrangendo così un comandamento, prelude ad una pena da scontare e quindi comporta implicitamente un insegnamento.

Paradigmatico si rivela allora la quinta ed ultima parte, non a caso intitolata ‘The Judgement’: è il giudizio finale, quello assoluto, in cui la peccatrice si trova di fronte alla divinità in un immaginario infernale. La condanna alla sofferenza eterna a causa dei peccati commessi – e precedentemente illustrati nei vari capitoli – è inappellabile e direi scontata: non c’è speranza di perdono.


Se ci fai caso, all’inizio quando vengono elencati i vari peccati le viene martoriato l’arto con cui li ha compiuti – ad esempio la mano per il ‘non rubare’. Il lieto fine non può esserci, nel senso che la fine della sofferenza non è prevista: tutte le torture che le accadono nel video non sono che l’inizio di una condizione di dannazione eterna.

Accanto all’applicazione di questa legge del contrappasso, mediante cui la pena arriva per analogia colpendo lo strumento o comunque la parte corporale con cui si è compiuto il peccato, da evidenziare sul piano visivo il modo con cui hai rappresentato la testa della divinità, una sorta di testa infuocata…

Ho utilizzato il chroma key, forse è l’unica soluzione che non ho realizzato ‘artigianalmente’!

E’ corretto affermare che in ‘Suffering Bible’ il tuo modo di raccontare per immagini è maggiormente simbolico e per così dire ‘criptico’, laddove in ‘Dead Butterfly’ il corpus visivo e narrativo risulta, come già detto prima, più idoneo ad un’interpretazione letterale?

Effettivamente ‘Dead Butterfly’, che ho immaginato come ‘seguito’, l’ho forse girato in modo un po’ diverso e meno ‘criptico’. La parte forse più ‘implicita’ che richiama lo stile di ‘Suffering Bible’ è il cortometraggio cornice, per il resto c’è più linearità anche dal punto di vista narrativo.

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La Pazzia Che Verrà

E’ arrivato il momento di dare uno sguardo al tuo film di uscita imminente, ‘Grand Guignol Madness’. Un film che, direi, ti vede proseguire quella che è la tua cifra stilistica in un contesto però diverso, più ‘diretto’. L’attenzione diventa tutta concentrata sul binomio piacere/sofferenza e agonia/orgasmo intesi in un’accezione molto fisica, corporale.

Si, l’intento delle varie storie che vanno a costituire l’ossatura di ‘Grand Guignol’ è quello di sviluppare questa comunione di due concetti apparentemente antitetici secondo gli insegnamenti cari a Clive Barker.

Tutto il bagaglio concettuale legato all’analisi e rilettura religiosa dei due film precedenti viene qui sostituito con un ritorno alla realtà del corpo come primo oggetto di attenzione…

Ovviamente il capitolo biblico/religioso è stato chiuso con quanto abbiamo detto prima. Per cui in questo nuovo film mi interessava fare un vero e proprio body horror puro, fermo restando la divisione in microstorie o episodi che dir si voglia per creare una sorta di concept album, musicalmente parlando…

La tensione verso la piacevolezza fisica e la rovinosa distruzione del corpo come ‘oggetto di (dis)piacere’ è dunque tematica che ritorna su un piano concreto, tangibile e direi quotidiano in questi sei nuovi episodi. A cominciare dal primo, in cui un’avvenente camgirl riceve in dono delle rose. Ma ahimè i fiori – e non solo quelli – andranno incontro ad un precoce appassimento…


Nell’incipit la ragazza fa della bellezza il suo punto di forza, mostrandosi in cam. La rosa altro non è che un omaggio, essendo essa stessa un fiore bellissimo segnato però, come tutti i fiori, da un processo di deterioramento. Tale processo, opportunamente accelerato nel film, procede in simbiosi col deperimento della ragazza. Oltre al suo deteriorarsi, ho voluto aggiungere un tocco inconsueto con lo slime facendole uscire dei tentacoli da ogni orifizio: un ‘innesto alieno’ diciamo.

Quando si dice che la bellezza sfiorisce!


Si, qui non c’è nulla di criptico: ho adottato un simbolismo molto chiaro. C’è inoltre un piccolo omaggio al ‘Brain Damage’ di Frank Henenlotter quando il tentacolo viene sfilato dall’orecchio…

Ti ricorderai che del terzo episodio ‘The Competition’ – quello dello show delle sexystar e dell’audience che premia l’esibizione più cruenta a scapito di quella più artistica – avevamo già parlato in quanto tematicamente molto simile al contenuto del tuo corto ‘Peep Show’. Aggiungiamo che ‘The Competition’ vede la coproduzione di Massimo Bezzati e il direttore della fotografia Francesco Foletto…

…che è stato in grado di rappresentare esattamente quello che volevo a livello di immagine.

Soffermiamoci allora sul segmento successivo, ‘Muscles’, davvero molto ‘body horror’: un ragazzo si appresta ad un esercizio fisico intensivo aiutato da delle misteriose pillole che gli sono state consigliate da un personal trainer, direi. Al crescere dei muscoli però corrisponde il rigetto del corpo, che va incontro ad una veloce dissoluzione…

Certo, il protagonista non è altro che una cavia utilizzata per incubare una ‘cellula perfetta’. Il tutto è architettato da un fittizio preparatore atletico (di cui si sente soltanto la voce) che, nelle mie intenzioni, può essere visto come un trafficante di cellule corporali in vista di una nuova frontiera di anabolizzanti. Qua se vuoi ci sono, nel mio piccolo, dei riferimenti a quella che è la mia cultura cinematografica, Cronenberg anzitutto: penso a ‘Videodrome’ o ‘La Mosca’, film che sono da sempre fonte di ispirazione in ambito body horror appunto.

Procedendo, ecco un episodio altrettanto particolare intitolato ‘The Heartbreaker’ in cui, durante un rapporto sessuale, la ragazza – in preda a strane voci e ad un progressivo stato di follia – arriva a strappare il cuore del ‘lui’ della situazione per aggiungerlo alla sua vasta collezione di cuori umani…


Tutto è nato dall’idea della protagonista, una mia cara amica, che voleva fare un film molto personale partendo dall’idea di una ragazza col cuore spezzato – metaforicamente – a causa delle numerose delusioni d’amore, che si vendica strappando a sua volta i cuori dei partner conservandoli poi in vasetti. Questo episodio, unitamente al cortometraggio di raccordo ‘Save The Planet’, è l’unico caso in cui il soggetto non è mio per intero, diciamo. Pur avendoli creati completamente io, l’idea iniziale viene da una piccola sinossi scritta da mia moglie nel caso di ‘Save The Planet’ e dalla protagonista nel caso dell’episodio di cui abbiamo appena parlato. In questo caso ho voluto arricchire la psicologia del personaggio in chiave onirica, introducendo la presenza di alcune ‘voci’ che lei sente dentro la sua testa in una sorta di disagio interiore.

Ecco, a proposito di ‘disagio interiore’ ho notato che spesso i tuoi personaggi sono combattuti da un conflitto: da una parte c’è la volontà di abbandonarsi al piacere, dall’altra il tormento per una latente pulsione di violenza e follia.

Certo, una sorta di bipolarità…

…o schizofrenia, che poi si risolve con la vittoria della componente violenta come unica soluzione.

Anche l’ultimo episodio, ’Shot My Soul’, è visivamente e concettualmente suggestivo. Siamo nel bel mezzo di uno shooting fotografico molto sexy in POV (ovvero in soggettiva, in quanto il fotografo non si vede e si avverte solo tramite lo scatto fotografico), shooting che proseguirà impassibile nonostante la veloce putrefazione del corpo della modella…

In questo episodio la chiave di lettura è quella per cui ogni scatto ruba un pezzo di bellezza e di anima della protagonista. Ogni scatto fotografico, ogni ‘click’, è come una sorta di frustata a seguito della quale il corpo si deteriora.

Per quanto riguarda il cortometraggio cornice di ‘Grand Guignol Madness’, assistiamo con un movimento di pedinamento alla camminata della ragazza che si sta recando in teatro, dove viene improvvisamente rapita. La ritroviamo in una sorta di laboratorio, bendata e con una sorta di elettrodi collegati alla testa. Una possibile interpretazione che avevo tratto mi ha portato a pensare che, tramite l’analisi del suo tessuto cerebrale evidenziata nei computer manovrati da una sorta di ‘scienziato pazzo’, venissero proiettate su un grande schermo delle immagini…

Si tratta dello studio delle paure e delle ossessioni di questa ragazza. Lei è stata rapita in questa sorta di teatro da uno scienziato misterioso, poi rimane vittima di alcuni esperimenti effettuati sulla sua testa per studiare non tanto il cervello, quanto le sue ossessioni sviluppate in varie fasi della vita e in varie situazioni.
Una curiosità: tutto questo doveva essere girato inizialmente in Francia, poi, a causa del Covid, sono riuscito a girare a Parigi solo l’inizio. A quel punto mi è toccato cambiare completamente tutto il cortometraggio cornice non potendolo sviluppare più integralmente in un teatro. Mi sono inventato una sorta di laboratorio, che poi altro non è che una stanza di casa mia appunto, in cui ambientare lo studio delle paure della protagonista: non a caso il titolo completo del film sarà ‘Grand Guignol Madness: Show Your Fears’ (‘mostra le tue paure’, nda).

Davide, per concludere: quale sarà il tuo primo progetto futuro, o comunque qualcosa a cui stai lavorando sulla media/lunga distanza?

Il mio prossimo progetto avrà una struttura più canonica – ovvero ci saranno varie situazioni ma non presenterà un rigido schema ad episodi come di consueto nella mia produzione. Non si tratterà di un horror nel senso lato della parola, bensì un omaggio a ‘Doom Generation’, il film di Gregg Araki del 1994. Non mancheranno i temi a me cari – violenza, sesso ed erotismo – per un film, come sempre, estremo ma non horror.

Extra: Davide Pesca – Dicono Di Lui

Personalmente ho avuto la fortuna e l’onore di collaborare con Davide Pesca, Regista indipendente specializzato in produzioni horror, splatter e gore, oltre che grande effettivista. Dal talento unico ed estrema professionalità. Reputo Pesca una mente brillante, controcorrente e rivoluzionaria. In questi ultimi anni ho lavorato all’interno di troupe cinematografiche molto diverse tra loro, ma l’entusiasmo che sento quando lavoro sul suo set, circondata da team di persone unite con lo scopo di portare a termine un compito comune, divertendoci, non l’ho mai provato. Una persona seria ed onesta, una delle poche all’interno del circuito cinematografico italiano. Il Maestro affida alle proprie realizzazioni di gore iper-realistico un’umanità alla deriva. Non posso che condividere appieno il suo pensiero, poiché è anche il mio. Al mondo c’è troppa ipocrisia e The Suffering Bible ne è l’esempio lampante. Un lungometraggio horror extreme che trae spunto dalla Bibbia per poi virare verso un’interpretazione soggettiva. Se mi chiedesse di collaborare nuovamente ad un suo progetto risponderei “si, Maestro”.
Mery Rubes

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Ho conosciuto Davide sul set di un film in cui lui si occupava di effetti speciali.
Prima di andare sul set ha voluto passare al supermercato. Non aveva dimenticato il latte per il giorno dopo, doveva rifornirsi di interiora di animali per rendere al meglio il mio sbudellamento!
Quando ho finito di girare, avevo talmente tanto sangue finto addosso che perfino le lenti a contatto erano diventate rosse!
Da lì è iniziata una splendida collaborazione (e amicizia). Forse gli rovinerò la reputazione ma, a dispetto dei suoi film estremi, sul set è la persona più buona e paziente che ci sia!
Ho perso il conto dei film girati assieme. Ultimamente anche con mia moglie, che avendo esperienze da attrice si è fatta torturare dal sottoscritto in un paio di film!

Paolo Salvadeo

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Non parlo con le pedine (Kyrie Irving)
Io mi limito a giocare a basket e lascio che Dio faccia il resto (Michael Beasley)
In rete c’è troppo di tutto ed è meglio “spegnere” ogni tanto (Fabban)

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