(O.T) 9 ottobre 1963
Inviato: 09/10/2003, 23:55
La frana che si staccó alle ore 22.39 dalle pendici settentrionali del monte Toc precipitando nel bacino artificiale sottostante aveva dimensioni gigantesche. Una massa compatta di oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e detriti furono trasportati a valle in un attimo, accompagnati da un'enorme boato. Tutta la costa del Toc, larga quasi tre chilometri, costituita da boschi, campi coltivati ed abitazioni, affondó nel bacino sottostante, provocando una gran scossa di terremoto. Il lago sembró sparire, e al suo posto comparve una enorme nuvola bianca, una massa d'acqua dinamica alta più di 100 metri, contenente massi dal peso di diverse tonnellate. Gli elettrodotti austriaci, in corto-circuito, prima di esser divelti dai tralicci illuminarono a giorno la valle e quindi lasciarono nella più completa oscurità i paesi vicini.
La forza d'urto della massa franata creó due ondate. La prima, a monte, fu spinta ad est verso il centro della vallata del Vajont che in quel punto si allarga. Questo consentì all'onda di abbassare il suo livello e di risparmiare, per pochi metri, l'abitato di Erto. Purtroppo spazzó via le frazioni più basse lungo le rive del lago, quali Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino.
La seconda ondata si riversó verso valle superando lo sbarramento artificiale, innalzandosi sopra di esso fino ad investire, ma senza grosse conseguenze, le case più basse del paese di Casso. Il collegamento viario eseguito sul coronamento della diga venne divelto, così come la palazzina di cemento, a due piani, della centrale di controllo ed il cantiere degli operai. L'ondata, forte di più di 50 milioni di metri cubi, scavalcó la diga precipitando a piombo nella vallata sottostante con una velocità impressionante. La stretta gola del Vajont la compresse ulteriormente, facendole acquisire maggior energia.
Allo sbocco della valle l'onda era alta 70 metri e produsse un vento sempre più intenso, che portava con se, in leggera sospensione, una nuvola nebulizzata di goccioline. Tra un crescendo di rumori e sensazioni che diventavano certezze terribili, le persone si resero conto di ció che stava per accadere, ma non poterono più scappare. Il greto del Piave fu raschiato dall'onda che si abbattè con inaudita violenza su Longarone. Case, chiese, porticati, alberghi, osterie, monumenti, statue, piazze e strade furono sommerse dall'acqua, che le sradicó fino alle fondamenta. Della stazione ferroviaria non rimasero che lunghi tratti di binari piegati come fuscelli. Quando l'onda perse il suo slancio andandosi ad infrangere contro la montagna, inizió un lento riflusso verso valle: una azione non meno distruttiva, che scavó in senso opposto alla direzione di spinta.
Altre frazioni del circondario furono distrutte, totalmente o parzialmente: Rivalta, Pirago, Faè e Villanova nel comune di Longarone, Codissago nel comune di Castellavazzo. A Pirago restó miracolosamente in piedi solo il campanile della chiesa; la villa Malcolm venne spazzata via con le sue segherie. Il Piave, diventato una enorme massa d'acqua silenziosa, tornó al suo flusso normale solo dopo una decina di ore.
Alle prime luci dell'alba l'incubo, che aveva ossessionato da parecchi anni la gente del posto, divenne realtà . Gli occhi dei sopravvissuti poterono contemplare quanto l'imprevedibilità della natura, unita alla piccolezza umana, seppe produrre. La perdita di quasi duemila vittime stabilì un nefasto primato nella storia italiana e mondiale........... si era consumata una tragedia tra le più grandi che l'umanità potrà mai ricordare.
(Vajont.net)
Di uno speciale andato in onda poche settimane fa mi hanno sbalordito le testimonianze dei sopravvisuti, all' epoca ancora bambini: uno raccontava di essere stato trasportato nel sonno per più di 300 metri sulla cresta di un' incommensurabile ondata di fango rimanendo miracolosamente illeso, mentre la sorellina fu meno fortunata: fu riesumata sotto tonnellate di fango 30km più a valle.
Una signora ha raccontato di essere stata svegliata dal più spaventoso boato mai udito (l' acqua aveva una potenza pari a quella di due bombe atomiche) e fece appena in tempo ad avvicinarsi le mani alla bocca creando così una piccola bolla d' aria che le consentì di sopravvivere fino all' arrivo dei soccorritori. Un tizio, una sorta di poeta che mi pare aver visto anche nel film di Martinelli, ricordava che l' osservatore sulla diga riuscì a pronunciare "Vien giù" prima di essere sparato ad un' altezza verticale di 100 metri. La verità è che su Longarone non si è abbattuta una valanga d' acqua. Si è abbattuto un muro. Sembrava cemento liquido. I reduci hanno perso tutto: famigliari, radici, storia, tradizioni, identità ma nessuno di loro ha deciso andarsene. Perchè, per citare le loro stesse parole:
"OGNI GIORNO SI COMINCIA DA CIO' CHE RESTA."
La forza d'urto della massa franata creó due ondate. La prima, a monte, fu spinta ad est verso il centro della vallata del Vajont che in quel punto si allarga. Questo consentì all'onda di abbassare il suo livello e di risparmiare, per pochi metri, l'abitato di Erto. Purtroppo spazzó via le frazioni più basse lungo le rive del lago, quali Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino.
La seconda ondata si riversó verso valle superando lo sbarramento artificiale, innalzandosi sopra di esso fino ad investire, ma senza grosse conseguenze, le case più basse del paese di Casso. Il collegamento viario eseguito sul coronamento della diga venne divelto, così come la palazzina di cemento, a due piani, della centrale di controllo ed il cantiere degli operai. L'ondata, forte di più di 50 milioni di metri cubi, scavalcó la diga precipitando a piombo nella vallata sottostante con una velocità impressionante. La stretta gola del Vajont la compresse ulteriormente, facendole acquisire maggior energia.
Allo sbocco della valle l'onda era alta 70 metri e produsse un vento sempre più intenso, che portava con se, in leggera sospensione, una nuvola nebulizzata di goccioline. Tra un crescendo di rumori e sensazioni che diventavano certezze terribili, le persone si resero conto di ció che stava per accadere, ma non poterono più scappare. Il greto del Piave fu raschiato dall'onda che si abbattè con inaudita violenza su Longarone. Case, chiese, porticati, alberghi, osterie, monumenti, statue, piazze e strade furono sommerse dall'acqua, che le sradicó fino alle fondamenta. Della stazione ferroviaria non rimasero che lunghi tratti di binari piegati come fuscelli. Quando l'onda perse il suo slancio andandosi ad infrangere contro la montagna, inizió un lento riflusso verso valle: una azione non meno distruttiva, che scavó in senso opposto alla direzione di spinta.
Altre frazioni del circondario furono distrutte, totalmente o parzialmente: Rivalta, Pirago, Faè e Villanova nel comune di Longarone, Codissago nel comune di Castellavazzo. A Pirago restó miracolosamente in piedi solo il campanile della chiesa; la villa Malcolm venne spazzata via con le sue segherie. Il Piave, diventato una enorme massa d'acqua silenziosa, tornó al suo flusso normale solo dopo una decina di ore.
Alle prime luci dell'alba l'incubo, che aveva ossessionato da parecchi anni la gente del posto, divenne realtà . Gli occhi dei sopravvissuti poterono contemplare quanto l'imprevedibilità della natura, unita alla piccolezza umana, seppe produrre. La perdita di quasi duemila vittime stabilì un nefasto primato nella storia italiana e mondiale........... si era consumata una tragedia tra le più grandi che l'umanità potrà mai ricordare.
(Vajont.net)
Di uno speciale andato in onda poche settimane fa mi hanno sbalordito le testimonianze dei sopravvisuti, all' epoca ancora bambini: uno raccontava di essere stato trasportato nel sonno per più di 300 metri sulla cresta di un' incommensurabile ondata di fango rimanendo miracolosamente illeso, mentre la sorellina fu meno fortunata: fu riesumata sotto tonnellate di fango 30km più a valle.
Una signora ha raccontato di essere stata svegliata dal più spaventoso boato mai udito (l' acqua aveva una potenza pari a quella di due bombe atomiche) e fece appena in tempo ad avvicinarsi le mani alla bocca creando così una piccola bolla d' aria che le consentì di sopravvivere fino all' arrivo dei soccorritori. Un tizio, una sorta di poeta che mi pare aver visto anche nel film di Martinelli, ricordava che l' osservatore sulla diga riuscì a pronunciare "Vien giù" prima di essere sparato ad un' altezza verticale di 100 metri. La verità è che su Longarone non si è abbattuta una valanga d' acqua. Si è abbattuto un muro. Sembrava cemento liquido. I reduci hanno perso tutto: famigliari, radici, storia, tradizioni, identità ma nessuno di loro ha deciso andarsene. Perchè, per citare le loro stesse parole:
"OGNI GIORNO SI COMINCIA DA CIO' CHE RESTA."