[O.T.] Generazione «nè-nè»: tuttologia sui giovani
Inviato: 16/07/2009, 15:44
Ho letto di quest'argomento che mi pare interessante e racchiude molti problemi, alcuni trattati altre volte sul forum. che mi interessano e in parte mi riguardano:
La famiglia non esiste, i rapporti fra genitori e figli sono rapporti contrattuali e quindi viene a mancare la fiducia. La mancanza di un senso e un orizzonte che si preannuncia tutt'altro che roseo, fanno il resto. Meglio consolarsi e vivere agiatamente adesso se il futuro appare come una minaccia...
Generazione «nè-nè»: settecentomila giovani «inattivi convinti»
Hanno da 15 a 35 anni: niente lavoro, niente studio
MILANO " «Mi chiamo Maria Elena Crespi, Malena per i miei quattro amici, ho 23 anni, vivo alle porte di Milano, non studio e non lavoro. Provo vergogna per questo? Io no». Malena è un nome e cognome, un viso acqua e sapone, e una storia di disillusioni e non impegno convinto che gli spagnoli catalogano sotto l'insegna Generacià³n «ni-ni»: ni estudia ni trabaja: generazione «nè» studio «nè» lavoro. Adolescenti e giovani. Spagnoli e italiani, inglesi e americani. Tanti. Sempre di più. Anche se non la maggioranza. In Italia il fenomeno non ha un'etichetta, non ancora, ma sociologi e psicologi lo conoscono bene. E i dati inediti del Rapporto Giovani 2008, elaborati dal Dipartimento di Studi sociali, economici, attuariali e demografici della Sapienza di Roma per conto del ministro della Gioventù Gorgia Meloni, sembrano certificarlo. Ancor più quando vengono incrociati con le anticipazioni dell'indagine Istat sulla Forza lavoro 2008. Nella fascia di età tra i 15 e i 19 anni ci sono 270 mila ragazzi che non studiano e non lavorano (il 9%): la maggior parte perchè un lavoro non lo trova; 50 mila perchè della loro inattività ne fanno una scelta; 11 mila, poi, proprio perchè di lavorare o studiare non ne vogliono sapere («non mi interessa», «non ne ho bisogno»).
Stessa tendenza nei dati relativi ai giovani tra i 25 e 35 anni: un milione e 900 non studia e non lavora. Vale a dire: quasi uno su quattro (il 25%). Un milione e 200 mila di questi gravitano nella disoccupazione (ma tra loro c'è chi dice di non cercare bene perchè è «scoraggiato» o perchè «tanto il lavoro non c'è»). Settecentomila sono invece gli «inattivi convinti»: non cercano un lavoro e non sono disposti a cercarlo. àˆ stato calcolato che se avessimo tassi occupazionali pari a quelli dei Paesi bassi (capolista nella classifica Ue, 81,3% nella fascia d'età tra i 15 e i 39 anni), il nostro Pil guadagnerebbe 1-2 punti in percentuale. Ma il fenomeno «nè-nè» è qualcosa che va oltre i numeri. In Spagna, dice una recente indagine di Metroscopia pubblicata su El Paàs in occasione del battesimo massmediatico della Generacià³n «ni-ni», il 54% dei giovani tra i 18 e i 35 anni dichiara di «non avere un progetto su cui riversare il proprio interesse o le proprie illusioni».
Il leitmotiv: «Lo studio? tempo perso, non mi apre le porte al futuro. Il lavoro? Non lo cerco perchè tanto non lo trovo». E la crisi sembra aver accentuato la rinuncia a qualsiasi impegno. Soddisfatti della loro vita privata (lo è l'80%), i giovani spagnoli si sentono in preda a una «devastazione lavorativa». E anche chi alla fine sceglie di studiare, lo fa senza prospettive. «Appena si rendono conto di cosa li aspetta continuano a formarsi, viaggiano, lavorano magari come camerieri per pagarsi un master mentre mamma e papà a casa li aspettano». Stesse tonalità per la fotografia scattata ai giovani «nè-nè» nostrani: coccolati dalla società e iperprotetti in famiglia come i «bamboccioni» ma troppo consapevoli delle loro scelte per finire sotto l'etichetta; apatici e un po' disarmati come i figli della «generazione x» ma anagraficamente troppo giovani per essere loro apparentati; circondati da fratelli e amici icona della «generazione mille euro» ma troppo disillusi per provare a loro volta a infilarsi, prima o dopo, nella stessa realtà . «Non lavorano perchè la famiglia li mantiene e un impiego non si trova; non studiano o studiano meno di una volta per i programmi più leggeri, la mancanza di selezione», dice la psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris. «Se poi il modello è quello alla Grande Fratello (basta andare in tv per guadagnare) passa il concetto che per riuscire non serve impegnarsi. E ci si lascia vivere fino a 30 anni senza un progetto. Le motivazioni, invece, si coltivano fin dall'infanzia. Insieme al concetto che la realtà è anche lotta e sacrificio. E per questo è bella».
Malena, nella sua stanza tappezzata di libri, annuisce: «Vero. Ma io lotto per quello che va a me. E per ora sto bene così. Forse un po' meno i miei genitori, la mia vecchia prof di lettere che ha sempre visto per me un futuro "promettente" (che parolaccia). E forse anche la società che non accetta quelli che cercano una strada diversa dai mille e 120 euro al mese di mia sorella laureata-dottorata». «Ci fosse peró quella strada " aggiunge Daniele, dietro un nome di fantasia " me l'hanno rubata. Mio fratello ha fatto di tutto per fare contento il mondo e s'è trovato senza un lavoro e senza se stesso. Io a me non rinuncio, ma così sto male». Enrico B., 26 anni, non studia, non lavora, ma ha una compagna e un figlioletto a cui badare: «Il mio lavoro? Per mesi è stato cercare un lavoro. Adesso prendo quello che viene». E al bimbo chi pensa? «Mia madre e mio padre. Per ora viviamo con loro, poi si vedrà ».
«Libri inutili e zero assunzioni. Perció vince la pigrizia»
La strada per aiutare i ragazzi a uscire dalla condizione «ni-ni» è riuscire a motivarli
MILANO " «Per anni l'aut aut paterno è stato: o studi o lavori. Poi è arrivato il Sessantotto con la sua esplosione di creatività . Poi si è fatto strada il disincanto. Oggi ce n'è fin troppo. I progetti utopici non ci sono più, ma al realismo buono è subentrato il pessimismo», spiega lo psicoterapeuta Antonio Piotti. Che aggiunge: «La convinzione è che comunque la battaglia sia persa in partenza: "lo studio è inutile", "il lavoro non lo troveró..." E subentra la pigrizia».
Questo pessimismo nasce da più cose: «Dal clima narcisistico in cui crescono molti ragazzi " elenca ", dalle tante ambizioni (non sempre e non solo dei ragazzi), dall'immaginario molto ricco, dall'ambiente familiare che accondiscende al "bambino re"». La strada per aiutare i ragazzi a uscire dalla condizione «ni-ni» è riuscire a motivarli, perchè «avere un progetto significa salvarsi»: «I fallimenti, i divieti, i rimproveri non funzionano " afferma ". L'unico modo per sbloccarli è far trovare loro entusiasmo per qualcosa, qualsiasi cosa: in quel caso sono capaci di grandi sforzi. Questa è una generazione che se gratificata dà moltissimo».
«Sono dei rinunciatari figli di adulti senza coraggio»
«"Generazione ni-ni" suona meglio di "generazione di rinunciatari»
MILANO " «Dando un nome a un fenomeno di costume gli si dà consistenza e perfino dignità " dice lo psicoterapeuta Fulvio Scaparro ". "Generazione ni-ni" suona meglio di "generazione di rinunciatari", è meno aggressiva della pseudoscientifica "sindrome di Lucignolo". Ma se parliamo di generazione non possiamo non riflettere su chi l'ha generata». E spiega: «Molti adulti temono i figli, cercano di evitare conflitti che invece sono del tutto naturali e ineliminabili».
Sia chiaro: «Il fenomeno è molto diffuso ma non riguarda la maggioranza dei giovani. Va preso sul serio perchè segnala una tendenza alla resa di chi ha il compito di educare, una mancanza di coraggio, un riconoscimento che i "poveri ragazzi" non sono come noi (figuriamoci!) che da giovani abbiamo studiato, lavorato (mica sempre vero!), e che quindi vanno aiutati, curati». Cita Josè Ortega y Gasset e il suo «signorino soddisfatto», e aggiunge: «I ragazzi impegnati nello studio e/o nel lavoro non possono venir fuori da un ambiente che ha alzato bandiera bianca in tema di educazione, accanto ad adulti privi di coraggio, ideali, impegno, utopie. Se non vogliamo seguire scorciatoie legali o illegali, dobbiamo metterci in testa tutti che niente arriva senza fatica».
Secondo me tutto parte da scuola e famiglia. La scuola si limita a formare dei professionisti ma non delle persone, mettendo l'individuo in secondo piano rispetto al bisogno di formare manodopera per il mercato del lavoro.«àˆ la famiglia italiana che fa da ammortizzatore»
«Il vero problema è la mancanza di lavoro e soprattutto di lavoro qualificato»
MILANO " Cristiano Marini è ricercatore in demografia alla Sapienza di Roma ed è uno degli autori del Rapporto giovani 2008: «Il vero problema è la mancanza di lavoro e soprattutto di lavoro qualificato». Il fenomeno «ni-ni» lo conosce bene. Ma avverte: «Dietro quei numeri c'è di tutto. Dai giovani alle prese con problemi di disoccupazione a quelli disillusi proprio a causa dei fallimenti (loro o di altri) nella ricerca di un lavoro, dai ragazzi meno predisposti ad accettare un impiego "basso" a quelli che in effetti di studiare e lavorare non ne vogliono sapere».
E spiega: «Siamo agli ultimi posti in Europa per tassi di occupazione e ai primi per quelli di disoccupazione. E il tasso di disoccupazione dei laureati è più elevato di quello dei diplomati». Innegabile: «I giovani restano a lungo in famiglia. Ma la famiglia, soprattutto nei Paesi mediterranei, funziona come forte ammortizzatore sociale in mancanza di un Welfare universalistico». E aggiunge: «Tre lavoratori atipici su 4 (75%) vivono in famiglia. Ma il 75% di loro vorrebbe andare a vivere da solo: 8 su 10 non lo fanno per motivi economici e lavorativi».
La famiglia non esiste, i rapporti fra genitori e figli sono rapporti contrattuali e quindi viene a mancare la fiducia. La mancanza di un senso e un orizzonte che si preannuncia tutt'altro che roseo, fanno il resto. Meglio consolarsi e vivere agiatamente adesso se il futuro appare come una minaccia...