Innanzi tutto, nel ringraziarti per i complimenti (da me aprezzatissimi, proprio perché notoriamente i tuoi sono molto rari ), mi preme dire che la mia risposta deve molto ad una rinnovata necessità, da parte mia, di chiarire fondamentalmente a me stesso certe sensazioni, di mettere ordine nel mio pigrissimo cervello.CianBellano ha scritto:La tua preferenza per apocalypse now e la prima parte di FMJ si nota anche dal modo meraviglioso con il quale le descrivi. Nella seconda parte FMJ sceglie un'altra strada. Non segue l'esempio di apocalypse now semplicemente perché non è apocalypse now.
Secondo me assecondando le tue attese avrebbe perso la sua identità globale di opera. Provo a spiegarmi
La prima parte è un addestramento sia per i personaggi che per gli spettatori, tu lo hai visto (o avresti voluto vederlo) come un preludio, dove si formavano, si sgrezzavano lentamente gli elementi caratterizzanti dell'intero film. Come giustamente hai fatto rilevare non è così. Mostra invece magistralmente un "prima" (non mi dilungo a descriverlo perché lo hai già fatto tu meglio di quanto possa fare il sottoscritto) che di colpo cessa di esistere perché è giunta l'ora del "dopo".
Nel dopo non è lo scontrarsi con la realtà del loro essere presunte macchine da guerra (con le azioni e reazioni che ne conseguono) il protagonista, ma è il loro essere immersi nella guerra, dove è la guerra, seppur di riflesso, la seconda parte di Full Metal Jacket.
Raccordarla troppo alla prima avrebbe tolto quello "strappo" che di per sé racconta molto allo spettatore (in modo innovativo...strano da uno come kubrik ), all'inizio della seconda parte si è quasi disorientati, puttane ladri e decadenza ci portano senza che ci si renda quasi conto in mezzo ad una assurda guerra.
La prima parte piace di più alla maggiornaza delle persone ed è assolutamente legittimo, ma dire che la seconda ne cagiona la riuscita finale secondo me implica il non aver affrontato in modo ortodosso l'intera opera.
O forse ci si è presentati al cinema con la testa ancora troppo satura di un (meraviglioso) film di circa 8 anni prima.
Posso tranquillamente affermare di non essermi mai posto il problema del perché l’ormai famigerata seconda parte di FMJ non mi risultasse avvincente quanto la prima… Fino a due giorni fa.
Dico prima (e telegraficamente) tre cose relative al tuo intervento:
1.Lassamo perde’ l’ortodossia (di letture se ne possono fare decine, e tutte plausibili, per fortuna)
2.Per quanto riguarda la saturazione, invece… Be’, mica in tutti i film di guerra cerco Apocalypse now (da questo momento AN, scusa l’acronimo)… È solo un esempio (per me comodo, perché visto più volte, come FMJ, e tutti i film di Kubrick, del resto).
3.Non è lo “strappo” a mal dispormi. Come farei, altrimenti, ad amare Lynch?
Ciò che volevo dire nel mio post (senza risultare indelicato ) è che, a mio modesto parere, AN è un film coerente. FMJ lo è un po’ meno.
In AN, che è un film (mi si passi il termine) filosofico, la guerra è solo un pretesto per raccontare altro. Il Vietnam è soltanto il contingente, il teatro dove si svolge una missione, una ricerca. Di un colonnello, all’apparenza. Ma anche (soprattutto, direi), metaforicamente, degli oscuri abissi dell’animo umano. E questo viene reso e scandagliato benissimo da Coppola (attraverso il proprio alter ego, il capitano Willard).
FMJ, invece, è un film di guerra… né d’azione, né filosofico. Perché dopo – ripeto - una prima parte eccelsa (da cui avrebbero potuto prender corpo addirittura entrambi i sottogeneri), da un lato, si rimane confusi e inappagati, atrofizzati dalla “comodità delle retrovie”, dalla routine quotidiana, fatta di riunioni redazionali e comunicati stampa, di interviste, scippi e incontri sessuali, anelanti (noi spettatori) al Grande Evento che non verrà mai. Ci ritroviamo, dunque, prigionieri dell’ordinario, nello straordinario scenario di una guerra.
Dall’altro, tutto ciò avviene (e questo è il punto) senza quella profondità psicologica che caratterizza invece AN. Senza un io narrante che ci appassioni. In tal senso, lo stesso Jocker (che non ha la maturità e la sostanza di un Willard), finisce, dopo un promettente inizio, per deludere, per evaporare (lui - che ripete noiosamente l’imitazione di John Wayne - quando gli viene chiesto perché porti il simbolo dei pacifisti sull’elmetto, risponde di… non saperlo… Cristo).
Ma poi, detta tutta (e compiendo, kubrickianamente, un carpiato), non è il genere (o il sottogenere) a cui appartiene un film a determinarne la grandezza.
La seconda parte mi appassiona meno proprio perché non c’è epos: è tutto troppo normale (e questo non è… normale in un film di guerra: ma non credo sia in dubbio l’unicità del regista…). Bene: la normalità non mi gratifica. O l’epos o la devianza, l’inconsueto, la morbosità, l’indicibile…
Ma, a questo punto, siamo già entrati (ed era prevedibile) nel soggettivo.
A chi sarà piaciuto quel tono minore, quella tinta pastello (direbbe Canella), griderà comunque – e legittimamente - al capolavoro…
Sono certo che Kubrick volesse realizzare proprio questo tipo di film.
Per i miei gusti, bellissimo, ma non al livello dei suoi capolavori.
Grazie per l’attenzione.