Minchia… che aveva?Gargarozzo ha scritto: ↑28/10/2020, 12:17io che arrivai ultimo in classe mi trovai come compagno di banco un ragazzo sfigurato e deforme da cui tutti si scansavano.
O.T. COMPAGNI DI SCUOLA!!!
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Re: O.T. COMPAGNI DI SCUOLA!!!
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Re: O.T. COMPAGNI DI SCUOLA!!!
Gli era scoppiata vicino una bombola quando aveva 3 anni.
Per salvarlo si era immolata la nonna
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Re: O.T. COMPAGNI DI SCUOLA!!!
Vedo che molti qui hanno storie simili alla mia, ho ho fatto il liceo fuori dal mio paese(simili ma non identiche), e praticamente non ho rapporti con quasi nessuno dei miei compagni di classe. Ero in un liceo buono per quanto possa essere un liceo di provincia, ma notavo nella mia classe molta competitività inutile, fine a se stessa e non all'apprendimento, ognuno era troppo preso da se stesso e dal proprio io per fare gruppo.
Era una classe strana, non ci siamo mai amalgamati per bene, forse perchè venivamo da paesi diversi e realtà diverse con interessi molto diversi. Probabilmente non siamo mai o quasi usciti tutti assieme, anche nei primi anni dopo il liceo ci siamo visti pochissimo.
Durante la mia adolescenza avevo amici nel mio paese e compagni di classe con cui dividevo le mattinate. Questo però mi ha portato ad essere sempre a metà, mai davvero con nessun gruppo, ovviamente mi ha fatto conoscere nuove cose ma non mi sono mai sentito parte di qualcosa come spesso succede a quell'età.
Ovviamente neanche io sono rimasto in contatto con molti, c'è da dire che sono molto attento alle mie amicizie e non sono una persona molto inclusiva nè un amicone nè tantomeno mondano. quindi probabilmente è colpa mia, o forse è stata una mia scelta inconscia. Bho e comunque sticazzi.
Il mio compagno di banco, che negli anni si è rivelato molto falso, non l'ho neanche su facebook. Altri vivono relativamente lontani e quindi praticamente non li ho mai visti.
La cosa strana è che quasi tutti quelli che lottavano per un posto davanti al professore non mantenuto le promesse che la scuola sembrava fargli.
Mi sento solo in colpa con una amica di classe che ho perso perchè non sono riuscito a starle vicino quando le è morto il padre. Questo è il mio più grande rimpianto.
Era una classe strana, non ci siamo mai amalgamati per bene, forse perchè venivamo da paesi diversi e realtà diverse con interessi molto diversi. Probabilmente non siamo mai o quasi usciti tutti assieme, anche nei primi anni dopo il liceo ci siamo visti pochissimo.
Durante la mia adolescenza avevo amici nel mio paese e compagni di classe con cui dividevo le mattinate. Questo però mi ha portato ad essere sempre a metà, mai davvero con nessun gruppo, ovviamente mi ha fatto conoscere nuove cose ma non mi sono mai sentito parte di qualcosa come spesso succede a quell'età.
Ovviamente neanche io sono rimasto in contatto con molti, c'è da dire che sono molto attento alle mie amicizie e non sono una persona molto inclusiva nè un amicone nè tantomeno mondano. quindi probabilmente è colpa mia, o forse è stata una mia scelta inconscia. Bho e comunque sticazzi.
Il mio compagno di banco, che negli anni si è rivelato molto falso, non l'ho neanche su facebook. Altri vivono relativamente lontani e quindi praticamente non li ho mai visti.
La cosa strana è che quasi tutti quelli che lottavano per un posto davanti al professore non mantenuto le promesse che la scuola sembrava fargli.
Mi sento solo in colpa con una amica di classe che ho perso perchè non sono riuscito a starle vicino quando le è morto il padre. Questo è il mio più grande rimpianto.
Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non é cosi. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene. (Tyler Durden, Fight Club)
Re: O.T. COMPAGNI DI SCUOLA!!!
si' in effetti non e' scontato lo spirito di gruppo , a volte , specialmente in ambienti elitari e molto selettivi non attecchisce per niente e rimane come collante il farsi i propri affari e basta
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Re: O.T. COMPAGNI DI SCUOLA!!!
“A ben vedere, si trattava di una classe di fenomeni, di predestinati, ognuno nel suo settore specifico di competenza. Chi sportivamente, chi musicalmente, chi nel campo artistico, ciascuno di loro eccelleva in qualche materia, aveva il genio dentro per qualcosa che lo distingueva dagli altri.
Per tutti si prospettavano vite di successo e di felicità. L’unico, senza arte né parte, era Fabrizio, che non primeggiava in nulla, avendo però, piccolo dettaglio, una parentela pesante, almeno finanziariamente parlando, e come esempio di probabile emulazione, del padre costruttore.
Da un gruppo di grandissimo livello, sotto diverse sfaccettature, ognuno per determinati specifici motivi, che avrebbero potuto incidere in maniera fondamentale nel successo delle vite di ciascuno di loro, con la sola eccezione di Fabrizio, appunto, ne uscì, ex post, una manica di sfigati. A parte Fabrizio, il solo che raggiunse il successo e vinse la sua battaglia.
Era comunque una classe straordinaria, passata attraverso vicende anche complesse. Partiti in prima in 27, e arrivati alla maturità in 19, con qualcuno perso per strada per svariati motivi, quasi sempre caratteriali, perché chi riusciva a stare nel gruppo, immancabilmente, riceveva dallo stesso quella spinta e quel quid in più, fondamentale per arrivare, financo, a volte, facendosi proprio trasportare dal gruppo all’arrivo, come in certe gare di ciclismo. E una sola tragica perdita, per altri motivi, più seri, di droga.
Però si divertivano. Si divertivano come matti. Il profitto prima di tutto (inteso come 36 finale) ma mai a discapito del divertimento.
Ma non si poteva pensare male di questi ragazzi, e biasimarli più di tanto. Era in corso una battaglia. Dovevano arrivare al diploma, l’utilità del quale era molto dubbia ai più, ed era necessario arrivarci il meglio possibile, da squadra. Tutti i mezzi erano leciti, perché ci si stava solo difendendo, si stava semplicemente mettendo in campo una fitta rete di intelligence, che non aveva come obiettivo quello di fare del male all’avversario, inteso per esso il sistema scuola, ma semplicemente fare del bene a sé stessi, per arrivare a quel traguardo che il sistema, questa volta con la esse maiuscola, quello più ampio, della società tutta, ti richiedeva, fornendoti spesso in cambio elementi che, ben poco, ti sarebbero serviti nel corso della vita futura.
Nella loro testa, dunque, stavano semplicemente difendendosi da un soggetto che, invece di facilitarti nel raggiungimento di quell’obiettivo che chiedeva, cercava di metterti i bastoni tra le ruote per fartelo ottenere.
Poi, ovviamente, si rendevano conto di non essere le povere vittime sacrificali di turno, ma in quel meccanismo che era la scuola, avevano fatto squadra per cercare di vincere quella gara, per essere essi stessi sistema, in difesa e contro il sistema, quello vero.
In tutto ciò ci mettevano del loro, e a volte andavano oltre quelle sane regole di ingaggio, alle quali comunque tenevano, per un rispetto, anche se molto personale, per quell’istituzione, ma soprattutto per chi la rappresentava, o meglio, per la maggior parte di loro, cioè dei professori.
Insomma, la classe, seppur in termini discutibili, aveva comunque una propria morale, delle regole e dei comportamenti che considerava disdicevoli, e quindi, in quanto squadra, faceva valere questi principi, e in qualche modo si autoregolamentava, pur apparendo, ai più, dal di fuori, come una manica di delinquenti”.
Per tutti si prospettavano vite di successo e di felicità. L’unico, senza arte né parte, era Fabrizio, che non primeggiava in nulla, avendo però, piccolo dettaglio, una parentela pesante, almeno finanziariamente parlando, e come esempio di probabile emulazione, del padre costruttore.
Da un gruppo di grandissimo livello, sotto diverse sfaccettature, ognuno per determinati specifici motivi, che avrebbero potuto incidere in maniera fondamentale nel successo delle vite di ciascuno di loro, con la sola eccezione di Fabrizio, appunto, ne uscì, ex post, una manica di sfigati. A parte Fabrizio, il solo che raggiunse il successo e vinse la sua battaglia.
Era comunque una classe straordinaria, passata attraverso vicende anche complesse. Partiti in prima in 27, e arrivati alla maturità in 19, con qualcuno perso per strada per svariati motivi, quasi sempre caratteriali, perché chi riusciva a stare nel gruppo, immancabilmente, riceveva dallo stesso quella spinta e quel quid in più, fondamentale per arrivare, financo, a volte, facendosi proprio trasportare dal gruppo all’arrivo, come in certe gare di ciclismo. E una sola tragica perdita, per altri motivi, più seri, di droga.
Però si divertivano. Si divertivano come matti. Il profitto prima di tutto (inteso come 36 finale) ma mai a discapito del divertimento.
Ma non si poteva pensare male di questi ragazzi, e biasimarli più di tanto. Era in corso una battaglia. Dovevano arrivare al diploma, l’utilità del quale era molto dubbia ai più, ed era necessario arrivarci il meglio possibile, da squadra. Tutti i mezzi erano leciti, perché ci si stava solo difendendo, si stava semplicemente mettendo in campo una fitta rete di intelligence, che non aveva come obiettivo quello di fare del male all’avversario, inteso per esso il sistema scuola, ma semplicemente fare del bene a sé stessi, per arrivare a quel traguardo che il sistema, questa volta con la esse maiuscola, quello più ampio, della società tutta, ti richiedeva, fornendoti spesso in cambio elementi che, ben poco, ti sarebbero serviti nel corso della vita futura.
Nella loro testa, dunque, stavano semplicemente difendendosi da un soggetto che, invece di facilitarti nel raggiungimento di quell’obiettivo che chiedeva, cercava di metterti i bastoni tra le ruote per fartelo ottenere.
Poi, ovviamente, si rendevano conto di non essere le povere vittime sacrificali di turno, ma in quel meccanismo che era la scuola, avevano fatto squadra per cercare di vincere quella gara, per essere essi stessi sistema, in difesa e contro il sistema, quello vero.
In tutto ciò ci mettevano del loro, e a volte andavano oltre quelle sane regole di ingaggio, alle quali comunque tenevano, per un rispetto, anche se molto personale, per quell’istituzione, ma soprattutto per chi la rappresentava, o meglio, per la maggior parte di loro, cioè dei professori.
Insomma, la classe, seppur in termini discutibili, aveva comunque una propria morale, delle regole e dei comportamenti che considerava disdicevoli, e quindi, in quanto squadra, faceva valere questi principi, e in qualche modo si autoregolamentava, pur apparendo, ai più, dal di fuori, come una manica di delinquenti”.