"La prosa nascosta" (Narrazioni del Novecento italiano) è un libro di Raffaele Manica, docente di Letteratura italiana presso l'Università di Roma Tor Vergata. E' stato pubblicato recentemente da Avagliano Editore e contiene saggi già comparsi in altre sedi e interventi tenuti dal Manica in convegni di studio o seminari. Si tratta di lavori relativi a nove autori, scrittori, poeti, della nostra letteratura contemporanea (Comisso, Quarantotti Gambini, Moravia, Soldati, Delfini, Bassani, Volponi, La Capria, Parise), alcuni ancora in vita e tutti esaminati dal saggista in maniera insolita. Punto di partenza per ognuno è quel che di lui è rimasto ancora poco noto o sconosciuto ("la prosa nascosta"), opere incomplete o inedite o non valutate dalla critica perchè minori, corrispondenza o diari tenuti segreti, abbozzi, ricordi, impressioni o altro materiale scritto ma non diffuso. Indagando su questi testi Manica offre al lettore la possibilità di sapere quanto finora gli mancava, di completare la visione di certi autori, di conoscere meglio i percorsi, a volte sotterranei, che li hanno condotti alle opere maggiori e soprattutto gli permette di sentirli vicini come generalmente succede quando si partecipa di confessioni o rivelazioni.
Una dimensione familiare, umana procura lo studioso ai suoi autori tramite i propri scritti che ha chiamato "narrazioni" perchè rimangono lontani dal rigore di un'analisi puramente tecnica e si mostrano disposti verso i toni ed i ritmi del narrato, del raccontato. Sembra quasi li abbia tutti conosciuti, incontrati i personaggi dei quali Manica scrive e quel che scrive sembra la storia di cosa si sono detti, di come, in loro, è successo che l'uomo diventi artista tanto vere, autentiche risultano le figure e le relative situazioni, tanto immediata, spontanea la lingua che ne parla, tanto naturale lo stile. Leggendo ci si inserisce in un movimento continuo dove i passaggi tra le citazioni dai testi, i riferimenti ad opere ed autori diversi da quelli presentati nonchè al contesto sociale, culturale ed artistico sono così rapidi e frequenti da allargare continuamente la visione proposta dal Manica facendola comprensiva di letteratura, arte, storia, filosofia, psicologia, sociologia, scienza ed ogni aspetto assunto dalla vita e dall'intellettualità del ventesimo secolo. E' un modo particolare di essere saggista, un modo che muove, fa vivere, anima quanto trattato e coinvolge il lettore più di altri. Attraverso la piccola e grande autobiografia di Comisso, l'arte del dialogo di Quarantotti Gambini, la forza delle idee semplici di Moravia, la prosa invisibile come l'acqua o il vetro di Soldati, le ossessioni di Delfini, il guardare dietro i vetri di Bassani, la malinconia di Volponi, i romanzi di formazione di La Capria, la scrittura di viaggio di Parise, Manica ricostruisce ció che è avvenuto nella storia e nella cultura italiane e straniere nell'arco di tempo compreso tra i primi decenni del secolo scorso e gli ultimi, segnala i rapporti, i richiami che tra esse vi sono stati. In ogni saggio si parte dal basso, dal minimo, una citazione da diario o da opera inedita o sconosciuta, s'è detto, e ci si estende sempre più fino a cogliere l'autore nella completezza della propria figura ed opera e nella totalità della sua epoca, del suo tempo. Questo procedimento di estensione, di crescita contengono i brani del Manica: in essi egli quasi scompare e ad emergere sono gli autori tramite i loro scritti sicchè tale processo sembra avvenire da solo, da soli i singoli casi diventano storia.
Una lezione di letteratura si puó dire del libro condotta senza l'intento di insegnare ma con l'entusiasmo di chi vuole comunicare una scoperta.
Con il grande impulso che la cultura italiana ebbe nelle corti della fine del Quattrocento, a Ferrara, Mantova, Milano, Firenze, vennero rappresentate commedie di Plauto e Terenzio; ma solo al principio del secolo seguente, nel generale sforzo di dare alla letteratura volgare la dignità e la ricchezza delle letterature antiche, si ebbero le prime commedie regolari italiane, composte a imitazione dei comici latini.
Iniziatore del nuovo teatro fu Ludovico Ariosto, che fece rappresentare le sue due prime commedie, La Cassaria ed I Suppositi, rispettivamente nel 1508 e nel 1509 a Ferrara. Nel 1513 venne poi rappresentata a Urbino La Calandria di Bernardo Dovizi da Bibbiena, commedia di spiriti più boccacceschi che plautini o terenziani.
Sia le commedie dell'Ariosto sia quella del Bibbiena furono composte in prosa, ma l'Ariosto volle più tardi versificare le sue opere per meglio uniformarle al teatro antico. Già qui è un indizio del diverso spirito col quale l'imitazione degli antichi venne intesa dai nostri commediografi: se da un lato infatti fu sentita l'esigenza di uniformarsi ai Latini nello svolgimento drammatico, ed ebbe perció fortuna la commedia d'intreccio intricato risolto dalle improvvise soluzioni, dall'altro si volle salvare l'originalità della commedia moderna, intesa quale rappresentazione della vita contemporanea. Così, mentre i classicisti di stretta osservanza presero direttamente spunto dalle opere plautine e terenziane e usarono a lungo il verso, gli autori più geniali e spregiudicati preferirono ispirarsi alla realtà del loro tempo e scrivere in prosa.
Pertanto i capolavori del teatro comico cinquecentesco furono scritti in prosa: la Mandragola del Machiavelli, le cinque commedie di Pietro Aretino, Gli Straccioni di Annibal Caro, Il Candelaio di Giordano Bruno e, sulla fine del secolo, le quattordici commedie composte da Giovanni Battista Della Porta.
Una lunga crisi della commedia regolare fu determinata dal trionfo della commedia dell'arte che, iniziata verso la metà del XVI sec., dominó sino al XVIII, quando, nel restaurato classicismo dell'Arcadia, non pochi letterati provarono a comporre commedie scritte e regolari, come: Girolamo Gigli, Giambattista Fagiuoli, Jacopo Angelo Nelli, Scipione Maffei.
ok saró piu sintetico la prossima volta
