OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
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Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
L'Egitto non è paragonabile alla Libia.
Paese povero, con 80 milioni di abitanti, privo di risorse petrolifere di rilievo.
Il malessere sociale presente esplode letteralmente già negli anni 80 sotto forma di attentati ai turisti per segare una voce d'entrata di primo piano. Non credo che gli autori fossero liberali. Da questo -per quanto concerne l'Egitto- credo che Foa tragga la sua certezza.
Trovo che il ragionamento di Giulio Tremonti fila perfettamente, anche se non in linea con l'affermazione precedente circa un'ispirazione liberale di tutta la cosiddetta primavera islamica.
Che interesse avrebbero avuto gli USA nel rovesciamento di Mubarak ? Nessuno.
Ma era immaginabile uno scenario in cui da una parte combattevano contro Gheddafi e dall'altra a favore di Mubarak ?
Allora hanno scelto di gettarsi sulla vacca grassa e di sostenere (a parole) gli insorti egiziani, tenendo aperto un dialogo per sempre possibili accordi futuri.
In tempo di grave crisi economica era una scelta obbligata: interessi economici versus interessi strategici. Che poi, a ben vedere, un Egitto fondamentalista non è che cambi più di tanto lo scacchiere. Sì, un Israele più isolato, anche a causa della svolta turca, ma in definitiva su quel terreno la partita vera si gioca con l'Iran.
Paese povero, con 80 milioni di abitanti, privo di risorse petrolifere di rilievo.
Il malessere sociale presente esplode letteralmente già negli anni 80 sotto forma di attentati ai turisti per segare una voce d'entrata di primo piano. Non credo che gli autori fossero liberali. Da questo -per quanto concerne l'Egitto- credo che Foa tragga la sua certezza.
Trovo che il ragionamento di Giulio Tremonti fila perfettamente, anche se non in linea con l'affermazione precedente circa un'ispirazione liberale di tutta la cosiddetta primavera islamica.
Che interesse avrebbero avuto gli USA nel rovesciamento di Mubarak ? Nessuno.
Ma era immaginabile uno scenario in cui da una parte combattevano contro Gheddafi e dall'altra a favore di Mubarak ?
Allora hanno scelto di gettarsi sulla vacca grassa e di sostenere (a parole) gli insorti egiziani, tenendo aperto un dialogo per sempre possibili accordi futuri.
In tempo di grave crisi economica era una scelta obbligata: interessi economici versus interessi strategici. Che poi, a ben vedere, un Egitto fondamentalista non è che cambi più di tanto lo scacchiere. Sì, un Israele più isolato, anche a causa della svolta turca, ma in definitiva su quel terreno la partita vera si gioca con l'Iran.
Non seguire le orme degli antichi, ma quello che essi cercarono. (Matsuo Basho,1685) - fa caldo l'Italia è sull'orlo di un baratro e non scopo da mesi (cimmeno 2009) - ...stai su un forum di segaioli; dove pensavi di stare, grande uomo? (sunday silence,2012)
Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
Comunque adesso tocca a loro

MEGLIO LICANTROPI CHE FILANTROPI
Baalkaan hai la machina targata Sassari?
VE LA MERITATE GEGGIA
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Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
La morte violenta di Mu’ammar Gheddafi ha subito richiamato alla mente quella di Saddam Hussein, solo di pochi anni precedente. Malgrado certe differenze palesi (Hussein non fu assassinato da una manica di balordi armati di telefonini, ma giustiziato dopo un più o meno regolare processo), le analogie sono evidenti, tanto che il parallelo è stato subito fatto proprio dalla stampa. Un paio di similitudini si sono però perse nel discorso “mainstream”.
Entrambi i “Rais” sono passati, se non proprio per una “luna di miele”, quanto meno per una fase di serena e pacifica convivenza col Patto Atlantico. Saddam Hussein negli anni ’80 conduceva una lunga e sanguinosissima guerra contro l’Iràn rivoluzionario, forte dell’appoggio esplicito della NATO. Certo non sapeva che, mentre i paesi della NATO lo rifornivano delle armi necessarie a combattere gl’Iraniani, gli USA – tramite insospettabili triangolazioni con Israele e il Nicaragua – garantivano un trattamento non dissimile, anche se celato nell’ombra, a Tehran. Ma in quel frangente Hussein accoglieva sorridente e fiducioso gli stravaganti doni (inclusi degli speroni d’oro) che gli portava dagli USA l’inviato speciale di Reagan in Medio Oriente. Costui si chiamava Donald Rumsfeld; vent’anni più tardi avrebbe guidato, come segretario alla Difesa, l’invasione dell’Iràq e la deposizione del presidente Hussein.
Gheddafi, dal canto suo, dopo una lunga carriera da rivoluzionario anti-imperialista, ha intrapreso la strada della normalizzazione dei rapporti con gli USA e l’Europa negli anni ’90, quando il crollo dell’URSS e l’inizio della fase unipolare d’egemonia statunitense lasciavano pochi spazi di manovra (persino ai condottieri fantasiosi e imprevedibili come lui). Mandava il suo figlio e delfino Saif al-Islam a studiare a Vienna e poi alla London School of Economics, esperienze da cui rientrava come fautore delle riforme neoliberali nella socialista Jamahiriya libica. Mu’ammar Gheddafi accettava la responsabilità dell’attentato di Lockerbie e l’esborso dei conseguenti indennizzi. Ma soprattutto, stringeva rapporti politico-economici sempre più vincolanti con paesi della NATO, come la Francia, l’Italia e la Gran Bretagna. Ma non solo. Malgrado mantenesse la sua verve polemica verso gli USA, denunciandone il comportamento in Iràq ed impegnandosi, tramite il progetto dell’Unione Africana, a respingerne il neocolonialismo nel continente nero, faceva proprio degli Stati Uniti d’America il principale beneficiario degl’investimenti esteri di capitali libici.
In nome della normalizzazione dei rapporti con la NATO, sia Hussein sia Gheddafi accettarono di smobilitare una parte del proprio apparato bellico, in particolare quello più temibile – ossia le armi chimiche e batteriologiche. Saddam Hussein si disarmò, sotto l’attento controllo degl’ispettori dell’ONU, dopo la dura sconfitta patita ad opera degli USA nel 1991. Ma quando Washington fu sicura che l’Iràq non possedesse più armi per difendersi, l’aggredì – agitando, con involontaria ironia, proprio lo spettro delle “armi di distruzione di massa” che in realtà il paese vicinorientale aveva distrutto su loro richiesta – e depose Hussein, poi catturato e giustiziato dal nuovo regime locale. Nel 2003 anche Gheddafi, timoroso di diventare prossimo obiettivo della crociata neoconservatrice per la “democratizzazione” del “Grande Medio Oriente”, annunciò l’annullamento del suo programma nucleare e la distruzione di tutte le armi chimiche e batteriologiche, nonché dei missili balistici a lungo raggio. È cronaca recente ancor più che storia la sorte toccata a Gheddafi, per mano della NATO stessa, solo pochi anni dopo le sue concessioni.
Abbiamo dunque veduto come il tentativo di distendere i rapporti con la NATO non abbia portato fortuna a Iràq e Libia. Gli USA, capialleanza della NATO, perseguono una strategia egemonica che non contempla rapporti normali ed alla pari con paesi del “Terzo Mondo”. O meglio, considera rapporti “normali” con questi paesi la loro pura e semplice sudditanza.
Inoltre, le aggressioni atlantiste ai due paesi arabi, conseguenti a parziali smilitarizzazioni da parte dei loro dirigenti, ci mettono di fronte ad un’altra realtà. Malgrado tutte le teorie idealistiche e post-moderne delle relazioni internazionali forgiate e proposte nel periodo post-Guerra Fredda, il fattore militare ricopre ancora un ruolo di primo piano. È senz’altro vero che oggi vi sono strumenti di guerra diversi da quello militare, come argomentato da Liang e Xiangsui, ma ciò non lo cancella. La politica internazionale è ancora un agone di competizione non pacifica. Dato che in questi giorni i commentatori italiani sembrano in preda ad un attacco di “latinismo acuto”, adeguiamoci alla moda del momento ed affermiamo che la politica mondiale è una bellum omnium contra omnes (guerra di tutti contro tutti) in cui homo homini lupus (l’uomo è il lupo dell’uomo).
Cerchiamo la controprova per corrobare quanto appena asserito, e la troviamo in Corea del Nord. La Repubblica Democratica Popolare non ha cercato di normalizzare i rapporti con gli USA, nemmeno durante il periodo unipolare. Ha coscientemente optato per l’isolamento, con tutte le conseguenze negative del caso sul piano commerciale, economico e non solo. Ma nel contempo, lungi dallo smilitarizzare sperando così d’evitare un’aggressione esterna, si è invece armata fino ai denti. Si vis pacem para bellum (se vuoi la pace prepara la guerra), dicevano i nostri antenati. Ancora latino. Gli antichi nella loro austera saggezza avevano già capito e descritto tutto.
Ma torniamo al presente, torniamo a Pyongyang. I Nordcoreani, nel loro assillo di tutelarsi con le armi dalle minacce esterne, non si sono fermati di fronte a nulla e sono arrivati fino al deterrente supremo offerto dalla nostra epoca: la bomba nucleare. Di fronte al pericolo di vedersi polverizzare le proprie nutrite guarnigioni in Corea del Sud e in Giappone con pochi e ben assestati colpi nucleari, gli USA si sono guardati bene dal mettere in atto con Pyongyang le maniere forti usate contro Baghdad e Tripoli. Si può ben dire che nella penisola coreana le armi hanno mantenuto la pace; quella stessa pace che il disarmo ha minato nel Vicino Oriente e in Nordafrica, portandovi guerre luttuose i cui morti si contano in centinaia di migliaia (forse milioni) in Iràq, in decine di migliaia (ma la cifra aumenterà) in Libia.
Alla luce di quanto detto finora, non sarebbe logico e giustificato attribuire il prossimo Premio Nobel per la Pace non a Internet, come vorrebbero taluni, ma alla bomba atomica? Un premio per la pace all’arma più letale di tutte può essere percepita come una provocazione illogica, ma dopo il conferimento del medesimo riconoscimento a Barack Obama ogni candidatura diventa più difendibile. Nel peggiore dei casi si potrà argomentare che fallacia alia aliam trudit (un inganno tira l’altro). I latini avevano davvero previsto tutto.
Daniele Scalea
Entrambi i “Rais” sono passati, se non proprio per una “luna di miele”, quanto meno per una fase di serena e pacifica convivenza col Patto Atlantico. Saddam Hussein negli anni ’80 conduceva una lunga e sanguinosissima guerra contro l’Iràn rivoluzionario, forte dell’appoggio esplicito della NATO. Certo non sapeva che, mentre i paesi della NATO lo rifornivano delle armi necessarie a combattere gl’Iraniani, gli USA – tramite insospettabili triangolazioni con Israele e il Nicaragua – garantivano un trattamento non dissimile, anche se celato nell’ombra, a Tehran. Ma in quel frangente Hussein accoglieva sorridente e fiducioso gli stravaganti doni (inclusi degli speroni d’oro) che gli portava dagli USA l’inviato speciale di Reagan in Medio Oriente. Costui si chiamava Donald Rumsfeld; vent’anni più tardi avrebbe guidato, come segretario alla Difesa, l’invasione dell’Iràq e la deposizione del presidente Hussein.
Gheddafi, dal canto suo, dopo una lunga carriera da rivoluzionario anti-imperialista, ha intrapreso la strada della normalizzazione dei rapporti con gli USA e l’Europa negli anni ’90, quando il crollo dell’URSS e l’inizio della fase unipolare d’egemonia statunitense lasciavano pochi spazi di manovra (persino ai condottieri fantasiosi e imprevedibili come lui). Mandava il suo figlio e delfino Saif al-Islam a studiare a Vienna e poi alla London School of Economics, esperienze da cui rientrava come fautore delle riforme neoliberali nella socialista Jamahiriya libica. Mu’ammar Gheddafi accettava la responsabilità dell’attentato di Lockerbie e l’esborso dei conseguenti indennizzi. Ma soprattutto, stringeva rapporti politico-economici sempre più vincolanti con paesi della NATO, come la Francia, l’Italia e la Gran Bretagna. Ma non solo. Malgrado mantenesse la sua verve polemica verso gli USA, denunciandone il comportamento in Iràq ed impegnandosi, tramite il progetto dell’Unione Africana, a respingerne il neocolonialismo nel continente nero, faceva proprio degli Stati Uniti d’America il principale beneficiario degl’investimenti esteri di capitali libici.
In nome della normalizzazione dei rapporti con la NATO, sia Hussein sia Gheddafi accettarono di smobilitare una parte del proprio apparato bellico, in particolare quello più temibile – ossia le armi chimiche e batteriologiche. Saddam Hussein si disarmò, sotto l’attento controllo degl’ispettori dell’ONU, dopo la dura sconfitta patita ad opera degli USA nel 1991. Ma quando Washington fu sicura che l’Iràq non possedesse più armi per difendersi, l’aggredì – agitando, con involontaria ironia, proprio lo spettro delle “armi di distruzione di massa” che in realtà il paese vicinorientale aveva distrutto su loro richiesta – e depose Hussein, poi catturato e giustiziato dal nuovo regime locale. Nel 2003 anche Gheddafi, timoroso di diventare prossimo obiettivo della crociata neoconservatrice per la “democratizzazione” del “Grande Medio Oriente”, annunciò l’annullamento del suo programma nucleare e la distruzione di tutte le armi chimiche e batteriologiche, nonché dei missili balistici a lungo raggio. È cronaca recente ancor più che storia la sorte toccata a Gheddafi, per mano della NATO stessa, solo pochi anni dopo le sue concessioni.
Abbiamo dunque veduto come il tentativo di distendere i rapporti con la NATO non abbia portato fortuna a Iràq e Libia. Gli USA, capialleanza della NATO, perseguono una strategia egemonica che non contempla rapporti normali ed alla pari con paesi del “Terzo Mondo”. O meglio, considera rapporti “normali” con questi paesi la loro pura e semplice sudditanza.
Inoltre, le aggressioni atlantiste ai due paesi arabi, conseguenti a parziali smilitarizzazioni da parte dei loro dirigenti, ci mettono di fronte ad un’altra realtà. Malgrado tutte le teorie idealistiche e post-moderne delle relazioni internazionali forgiate e proposte nel periodo post-Guerra Fredda, il fattore militare ricopre ancora un ruolo di primo piano. È senz’altro vero che oggi vi sono strumenti di guerra diversi da quello militare, come argomentato da Liang e Xiangsui, ma ciò non lo cancella. La politica internazionale è ancora un agone di competizione non pacifica. Dato che in questi giorni i commentatori italiani sembrano in preda ad un attacco di “latinismo acuto”, adeguiamoci alla moda del momento ed affermiamo che la politica mondiale è una bellum omnium contra omnes (guerra di tutti contro tutti) in cui homo homini lupus (l’uomo è il lupo dell’uomo).
Cerchiamo la controprova per corrobare quanto appena asserito, e la troviamo in Corea del Nord. La Repubblica Democratica Popolare non ha cercato di normalizzare i rapporti con gli USA, nemmeno durante il periodo unipolare. Ha coscientemente optato per l’isolamento, con tutte le conseguenze negative del caso sul piano commerciale, economico e non solo. Ma nel contempo, lungi dallo smilitarizzare sperando così d’evitare un’aggressione esterna, si è invece armata fino ai denti. Si vis pacem para bellum (se vuoi la pace prepara la guerra), dicevano i nostri antenati. Ancora latino. Gli antichi nella loro austera saggezza avevano già capito e descritto tutto.
Ma torniamo al presente, torniamo a Pyongyang. I Nordcoreani, nel loro assillo di tutelarsi con le armi dalle minacce esterne, non si sono fermati di fronte a nulla e sono arrivati fino al deterrente supremo offerto dalla nostra epoca: la bomba nucleare. Di fronte al pericolo di vedersi polverizzare le proprie nutrite guarnigioni in Corea del Sud e in Giappone con pochi e ben assestati colpi nucleari, gli USA si sono guardati bene dal mettere in atto con Pyongyang le maniere forti usate contro Baghdad e Tripoli. Si può ben dire che nella penisola coreana le armi hanno mantenuto la pace; quella stessa pace che il disarmo ha minato nel Vicino Oriente e in Nordafrica, portandovi guerre luttuose i cui morti si contano in centinaia di migliaia (forse milioni) in Iràq, in decine di migliaia (ma la cifra aumenterà) in Libia.
Alla luce di quanto detto finora, non sarebbe logico e giustificato attribuire il prossimo Premio Nobel per la Pace non a Internet, come vorrebbero taluni, ma alla bomba atomica? Un premio per la pace all’arma più letale di tutte può essere percepita come una provocazione illogica, ma dopo il conferimento del medesimo riconoscimento a Barack Obama ogni candidatura diventa più difendibile. Nel peggiore dei casi si potrà argomentare che fallacia alia aliam trudit (un inganno tira l’altro). I latini avevano davvero previsto tutto.
Daniele Scalea
MEGLIO LICANTROPI CHE FILANTROPI
Baalkaan hai la machina targata Sassari?
VE LA MERITATE GEGGIA
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Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
MAHMOUD JIBRIL E IL PROGETTO DI RIDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA DI GHEDDAFI
Il Colonnello Muammar Gheddafi simboleggia molte cose per molte differenti persone nel mondo. Che si ami o si odi il leader libico, sotto di lui la Libia si è trasformata da uno dei paesi più poveri sulla faccia della terra al paese con i migliori standard di vita in Africa. Per usare le parole del professor Henri Habibi:
Quando la Libia ottenne la sua indipendenza dalle Nazioni Unite il 24 dicembre 1951, fu descritta come una delle nazioni più povere e maggiormente arretrate del mondo. La popolazione all’epoca non superava 1,5 milioni di abitanti, era analfabeta per oltre il 90% e non aveva esperienza politica o di know-how. Non c’erano università e solo un numero limitato di scuole secondarie che erano state istituite sette anni prima dell’indipendenza (1).
Gheddafi aveva molti grandi progetti. Molti di questi erano di natura pan-africana, inclusa la formazione degli Stati Uniti d’Africa.
Il Progetto pan-africano di Gheddafi
Il Colonnello Gheddafi iniziò la costruzione del Grande Fiume Fatto dall’Uomo. Si tratta di un imponente progetto per trasformare il deserto del Sahara e invertire il processo di desertificazione in Africa. Il Grande Fiume, con i suoi piani di irrigazione, fu pensato anche per aiutare il settore agricolo in altre parti dell’Africa. Questo progetto è stato uno degli obbiettivi vittime degli attacchi NATO in Libia.
Gheddafi aveva anche previsto istituzioni finanziarie pan-africane indipendenti. La Libyan Investment Authority e la Libyan Foreign Bank sono stati attori importanti nella creazione di queste istituzioni. Attraverso di esse, Gheddafi è stato determinante nel creare la prima rete satellitare dell’Africa, la RASCOM (Regional African Satellite Communication Organization) per ridurre la dipendenza africana da poteri esterni (2).
Si pensa che il suo coronamento sarebbe stata la creazione degli Stati Uniti di Africa. Questa entità sopranazionale sarebbe stata creata attraverso l’African Investment Bank, l’African Monetary Fund e, infine, l’African Central Bank. Tutte queste istituzioni erano viste con ostilità dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti, dal FMI e dalla Banca Mondiale.
Il progetto di redistribuzione della ricchezza di Gheddafi
Gheddafi aveva un progetto di redistribuzione della ricchezza all’interno della Libia. Fonti del Congresso americano in un rapporto al Congresso lo confermano. Il 18 febbraio 2011, nel rapporto si legge:
Nel marzo del 2008 (il Colonnello Gheddafi) aveva annunciato l’intenzione di sciogliere la maggior parte degli organi amministrativi e di istituire il Programma di Distribuzione della Ricchezza per cui i proventi del petrolio sarebbero stati erogati ai cittadini con cadenza mensile per permettergli di amministrarli personalmente, in collaborazione e tramite i comitati locali. Citando le critiche del popolo riguardo gli assolvimenti del governo in un lungo discorso a tutto il paese, (egli) ha affermato ripetutamente che lo Stato tradizionale sarebbe presto “morto” in Libia e che il controllo diretto dei cittadini sarebbe stato realizzato attraverso la distribuzione dei proventi derivati dal petrolio. (Esercito), affari esteri, sicurezza e modalità di produzione del petrolio, ha riferito, sarebbero rimasti sotto la responsabilità del governo nazionale, mentre altri settori sarebbero stati eliminati. Nei primi mesi del 2009 i Congressi Popolari di Base Libici hanno analizzato gli emendamenti variazioni alle proposte e il Congresso Generale del Popolo ha votato per prorogare gli adempimenti (3).
Il Progetto di Redistribuzione della Ricchezza, insieme alla creazione di un sistema politico anarchico, fu visto come una vera e propria minaccia dagli USA e dall’UE e da un gruppo di funzionari libici corrotti. In caso di successo avrebbe creato disordini politici nelle popolazioni di tutto il mondo. All’interno, molti funzionali libici erano al lavoro per ritardare il progetto.
Perché Mahmoud Jibril ha aderito al Consiglio di Transizione
Tra i funzionari libici che si sono opposti a questo progetto e lo hanno guardato con orrore c’è Mahmoud Jibril. Jibril era stato posto in carica da Saif Al-Islam Gheddafi. A causa della forte influenza e dei suggerimenti di Stati Uniti e Unione Europea, Saif Al-Islam ha scelto Jibril per trasformare l’economia libica e imporre riforme economiche neoliberiste.
Jibril sarebbe diventato il capo di due istituzioni della Jamahiriya Araba Libica, il Consiglio Nazionale di Pianificazione della Libia e il Consiglio Nazionale per lo Sviluppo Economico. Mentre quest’ultimo era un ministero normale, il primo avrebbe effettivamente messo Jibril in una posizione superiore a quella del Primo Ministro – l’Ufficio del Segretario Generale del Comitato Popolare della Libia. Jibril, a tutti gli effetti, è stato una delle forze che hanno spalancato le porte alla privatizzazione e alla povertà in Libia.
Circa sei mesi prima dell’inizio dei conflitti in Libia, Mahmoud Jibril incontrò Bernard-Henry Lévy in Australia per discutere la formazione del Consiglio di Transizione con lo scopo di rimuovere Gheddafi (4). Descrisse il Progetto di Redistribuzione della Ricchezza di Gheddafi come “folle” nei rapporti e nei documenti del Consiglio Nazionale per lo Sviluppo Economico della Jamahiriya Araba Libica (5). Jibril era convinto che le masse non erano adatte a governare sé stesse e che un’élite avrebbe dovuto avere il controllo del destino e della ricchezza di ogni nazione. Ciò che Jibril aveva in mente era ridimensionare il governo e licenziare una larga parte del settore pubblico, in cambio di un aumento dei regolamenti governativi in Libia. Citava sempre Singapore come perfetto esempio di stato neo-liberista. È probabile che incontrerà Bernard-Henry Lévy anche a Singapore, dove aveva l’abitudine di recarsi regolarmente.
Quando i problemi sono scoppiati a Bengasi, Mahmoud Jibril è andato al Cairo, in Egitto. Ha detto ai suoi colleghi che sarebbe ritornato presto a Tripoli, ma non aveva intenzione di ritornare. In realtà è andato al Cairo per incontrare i dirigenti del Consiglio Nazionale siriano e Lévy. Lo stavano tutti aspettando per coordinare gli eventi in Libia e in Siria. Questa è una delle ragioni per cui il Consiglio di Transizione ha riconosciuto il Consiglio Nazionale siriano come legittimo governo della Siria.
Mahmoud Jibril è oggi Primo Ministro del Consiglio di Transizione libico. L’opposizione di Jibril al Progetto di Redistribuzione della Ricchezza di Gheddafi e il suo atteggiamento elitario sono tra le ragioni della sua cospirazione nei confronti di Gheddafi e del suo contributo alla formazione del Consiglio di Transizione. Questo funzionario dell’ex regime, che è stato sempre un aperto sostenitore dei dittatori arabi nel Golfo Persico, è davvero un rappresentante del popolo?
Fonti varie qui: http://www.comedonchisciotte.org/site/m ... e&sid=9282
Il Colonnello Muammar Gheddafi simboleggia molte cose per molte differenti persone nel mondo. Che si ami o si odi il leader libico, sotto di lui la Libia si è trasformata da uno dei paesi più poveri sulla faccia della terra al paese con i migliori standard di vita in Africa. Per usare le parole del professor Henri Habibi:
Quando la Libia ottenne la sua indipendenza dalle Nazioni Unite il 24 dicembre 1951, fu descritta come una delle nazioni più povere e maggiormente arretrate del mondo. La popolazione all’epoca non superava 1,5 milioni di abitanti, era analfabeta per oltre il 90% e non aveva esperienza politica o di know-how. Non c’erano università e solo un numero limitato di scuole secondarie che erano state istituite sette anni prima dell’indipendenza (1).
Gheddafi aveva molti grandi progetti. Molti di questi erano di natura pan-africana, inclusa la formazione degli Stati Uniti d’Africa.
Il Progetto pan-africano di Gheddafi
Il Colonnello Gheddafi iniziò la costruzione del Grande Fiume Fatto dall’Uomo. Si tratta di un imponente progetto per trasformare il deserto del Sahara e invertire il processo di desertificazione in Africa. Il Grande Fiume, con i suoi piani di irrigazione, fu pensato anche per aiutare il settore agricolo in altre parti dell’Africa. Questo progetto è stato uno degli obbiettivi vittime degli attacchi NATO in Libia.
Gheddafi aveva anche previsto istituzioni finanziarie pan-africane indipendenti. La Libyan Investment Authority e la Libyan Foreign Bank sono stati attori importanti nella creazione di queste istituzioni. Attraverso di esse, Gheddafi è stato determinante nel creare la prima rete satellitare dell’Africa, la RASCOM (Regional African Satellite Communication Organization) per ridurre la dipendenza africana da poteri esterni (2).
Si pensa che il suo coronamento sarebbe stata la creazione degli Stati Uniti di Africa. Questa entità sopranazionale sarebbe stata creata attraverso l’African Investment Bank, l’African Monetary Fund e, infine, l’African Central Bank. Tutte queste istituzioni erano viste con ostilità dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti, dal FMI e dalla Banca Mondiale.
Il progetto di redistribuzione della ricchezza di Gheddafi
Gheddafi aveva un progetto di redistribuzione della ricchezza all’interno della Libia. Fonti del Congresso americano in un rapporto al Congresso lo confermano. Il 18 febbraio 2011, nel rapporto si legge:
Nel marzo del 2008 (il Colonnello Gheddafi) aveva annunciato l’intenzione di sciogliere la maggior parte degli organi amministrativi e di istituire il Programma di Distribuzione della Ricchezza per cui i proventi del petrolio sarebbero stati erogati ai cittadini con cadenza mensile per permettergli di amministrarli personalmente, in collaborazione e tramite i comitati locali. Citando le critiche del popolo riguardo gli assolvimenti del governo in un lungo discorso a tutto il paese, (egli) ha affermato ripetutamente che lo Stato tradizionale sarebbe presto “morto” in Libia e che il controllo diretto dei cittadini sarebbe stato realizzato attraverso la distribuzione dei proventi derivati dal petrolio. (Esercito), affari esteri, sicurezza e modalità di produzione del petrolio, ha riferito, sarebbero rimasti sotto la responsabilità del governo nazionale, mentre altri settori sarebbero stati eliminati. Nei primi mesi del 2009 i Congressi Popolari di Base Libici hanno analizzato gli emendamenti variazioni alle proposte e il Congresso Generale del Popolo ha votato per prorogare gli adempimenti (3).
Il Progetto di Redistribuzione della Ricchezza, insieme alla creazione di un sistema politico anarchico, fu visto come una vera e propria minaccia dagli USA e dall’UE e da un gruppo di funzionari libici corrotti. In caso di successo avrebbe creato disordini politici nelle popolazioni di tutto il mondo. All’interno, molti funzionali libici erano al lavoro per ritardare il progetto.
Perché Mahmoud Jibril ha aderito al Consiglio di Transizione
Tra i funzionari libici che si sono opposti a questo progetto e lo hanno guardato con orrore c’è Mahmoud Jibril. Jibril era stato posto in carica da Saif Al-Islam Gheddafi. A causa della forte influenza e dei suggerimenti di Stati Uniti e Unione Europea, Saif Al-Islam ha scelto Jibril per trasformare l’economia libica e imporre riforme economiche neoliberiste.
Jibril sarebbe diventato il capo di due istituzioni della Jamahiriya Araba Libica, il Consiglio Nazionale di Pianificazione della Libia e il Consiglio Nazionale per lo Sviluppo Economico. Mentre quest’ultimo era un ministero normale, il primo avrebbe effettivamente messo Jibril in una posizione superiore a quella del Primo Ministro – l’Ufficio del Segretario Generale del Comitato Popolare della Libia. Jibril, a tutti gli effetti, è stato una delle forze che hanno spalancato le porte alla privatizzazione e alla povertà in Libia.
Circa sei mesi prima dell’inizio dei conflitti in Libia, Mahmoud Jibril incontrò Bernard-Henry Lévy in Australia per discutere la formazione del Consiglio di Transizione con lo scopo di rimuovere Gheddafi (4). Descrisse il Progetto di Redistribuzione della Ricchezza di Gheddafi come “folle” nei rapporti e nei documenti del Consiglio Nazionale per lo Sviluppo Economico della Jamahiriya Araba Libica (5). Jibril era convinto che le masse non erano adatte a governare sé stesse e che un’élite avrebbe dovuto avere il controllo del destino e della ricchezza di ogni nazione. Ciò che Jibril aveva in mente era ridimensionare il governo e licenziare una larga parte del settore pubblico, in cambio di un aumento dei regolamenti governativi in Libia. Citava sempre Singapore come perfetto esempio di stato neo-liberista. È probabile che incontrerà Bernard-Henry Lévy anche a Singapore, dove aveva l’abitudine di recarsi regolarmente.
Quando i problemi sono scoppiati a Bengasi, Mahmoud Jibril è andato al Cairo, in Egitto. Ha detto ai suoi colleghi che sarebbe ritornato presto a Tripoli, ma non aveva intenzione di ritornare. In realtà è andato al Cairo per incontrare i dirigenti del Consiglio Nazionale siriano e Lévy. Lo stavano tutti aspettando per coordinare gli eventi in Libia e in Siria. Questa è una delle ragioni per cui il Consiglio di Transizione ha riconosciuto il Consiglio Nazionale siriano come legittimo governo della Siria.
Mahmoud Jibril è oggi Primo Ministro del Consiglio di Transizione libico. L’opposizione di Jibril al Progetto di Redistribuzione della Ricchezza di Gheddafi e il suo atteggiamento elitario sono tra le ragioni della sua cospirazione nei confronti di Gheddafi e del suo contributo alla formazione del Consiglio di Transizione. Questo funzionario dell’ex regime, che è stato sempre un aperto sostenitore dei dittatori arabi nel Golfo Persico, è davvero un rappresentante del popolo?
Fonti varie qui: http://www.comedonchisciotte.org/site/m ... e&sid=9282
Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
ecco come finisce la primavera araba (de sto cazzo): altro che diritti umani per le donne, coprono con il velo le fontane dove ci sono delle sirene!
bel risultato davvero. o gli egiziani moderati si danno una mossa o finiranno sotto il giogo arabo.
http://www.ansamed.info/en/news/ME.XEF81872.html
bel risultato davvero. o gli egiziani moderati si danno una mossa o finiranno sotto il giogo arabo.
http://www.ansamed.info/en/news/ME.XEF81872.html
La verginità è un ottima cosa perché capisci meglio cosa è vero e cosa invece è falso.
Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
In cina hanno seguito molto a fondo la vicenda libica (forse per evitare accada lo stesso?)Drogato_ di_porno ha scritto:Pare che per salvare le Amazzoni Silvio abbia messo a disposizione dei sommergibili. Neanche un'Amazzone è rimasta a fianco del Colonnello...non ci sono più le Eve Braun di una volta.
e questa notizia non e'; passata sui media occidentali...quindi non c'e' una conferma o un controllo incrociato e puo essere una bufala.
http://www.chinasmack.com/2011/pictures ... tions.html
E' la vecchia guardia e i suoi interventi sul darkside sono imprescindibili, affronta il lato oscuro del sesso estremo con l'approccio dostojeschiano dell'uomo che soffre, mitizza e somatizza.UN DEMONE
Now I lay me down to sleep,Pray the lord my soul to keep.And if I die before I wake pray the lord my soul to take.
Now I lay me down to sleep,Pray the lord my soul to keep.And if I die before I wake pray the lord my soul to take.
Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
"Gli italiani corrono sempre in aiuto del vincitore." Ennio Flaiano
“Cercava la rivoluzione e trovò l'agiatezza.” Leo Longanesi
“Cercava la rivoluzione e trovò l'agiatezza.” Leo Longanesi
Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
I grossi contractor italiani nel settore petrolifero, impiantistico e edilizio hanno già ripreso le attività in Libia.
(fonte diretta)
(fonte diretta)

"Innalzare templi alla virtù e scavare oscure e profonde prigioni al vizio."
Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
Gheddafi non voleva essere pagato coi dollari
http://www.luogocomune.net/site/modules ... oryid=3863

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"Gli italiani corrono sempre in aiuto del vincitore." Ennio Flaiano
“Cercava la rivoluzione e trovò l'agiatezza.” Leo Longanesi
“Cercava la rivoluzione e trovò l'agiatezza.” Leo Longanesi
Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
Egitto nudo
Domenica 13 novembre una ragazza egiziana, Aliaa Magda Elmahdy, posta sul suo blog una sua foto completamente nuda, in nome della libertà d'espressione.
"Dà voce alle urla contro una società di violenza, razzismo, sessismo, molestie sessuali e ipocrisia.
La censura sulla nostra conoscenza, la nostra espressione e la nostra sessualità.
Ho il diritto di vivere liberamente in qualsiasi posto.
Mi sento felice e soddisfatta quando sento di essere veramente viva."

Domenica 13 novembre una ragazza egiziana, Aliaa Magda Elmahdy, posta sul suo blog una sua foto completamente nuda, in nome della libertà d'espressione.
"Dà voce alle urla contro una società di violenza, razzismo, sessismo, molestie sessuali e ipocrisia.
La censura sulla nostra conoscenza, la nostra espressione e la nostra sessualità.
Ho il diritto di vivere liberamente in qualsiasi posto.
Mi sento felice e soddisfatta quando sento di essere veramente viva."

STATO LADRO & RAPINATORE
La ricchezza è solo un boccaglio in un mare di merda (N. Balasso)
La ricchezza è solo un boccaglio in un mare di merda (N. Balasso)
Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
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Ultima modifica di dostum il 27/11/2011, 0:25, modificato 1 volta in totale.
MEGLIO LICANTROPI CHE FILANTROPI
Baalkaan hai la machina targata Sassari?
VE LA MERITATE GEGGIA
Baalkaan hai la machina targata Sassari?
VE LA MERITATE GEGGIA
Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
Mosca avverte che non tollererà che le potenze occidentali passino una "linea rossa"
Ora sappiamo che cosa quelle sei navi da guerra russe - che a quanto è stato riferito sono entrate nelle acque territoriali siriane la scorsa settimana - stavano trasportando.
Oltre a rappresentare una dimostrazione di forza per scoraggiare le potenze della NATO dal lanciare un attacco militare, a bordo vi erano esperti tecnici russi pronti ad aiutare Damasco a far funzionare un sofisticato sistema di difesa missilistica vendutogli da Mosca.
«Le navi da guerra russe che hanno raggiunto le acque al largo della Siria negli ultimi giorni stavano trasportando, tra l'altro, consulenti tecnici russi che aiuteranno i siriani a installare una serie di missili S-300 che Damasco ha ricevuto nelle ultime settimane, ha rivelato un articolo del giornale londinese in lingua araba “Al Quds Al-Arabi” di giovedì 24 novembre. Citando fonti in Siria e in Russia, il giornale ha riferito che Mosca considera un attacco occidentale contro la Siria come una "linea rossa" che non tollererà», riferisce «Arutz Sheva».
russian s300missile090304I missili S-300, che secondo il reportage saranno utilizzati per «prevenire un possibile attacco da parte della NATO o degli USA e UE,» sono missili terra-aria a lungo raggio sviluppati dalla Russia nel 1979 allo scopo di proteggere complessi industriali e militari di grandi dimensioni da attacchi aerei nemici e da missili da crociera.
Il sistema è ampiamente considerato come uno dei più potenti sistemi anti-aerei nella guerra moderna, dato che è in grado di monitorare fino a 100 bersagli e affrontarne 12 alla volta. La Russia ha recentemente cercato di vendere lo stesso sistema all’Iran, ma l'operazione è stata interrotta dopo le pressioni degli Stati Uniti e di Israele.
Armare la Siria con un così efficace mezzo di difesa aerea non sarebbe ovviamente di buon auspicio per ogni potenziale "no fly zone" in programma da parte delle potenze occidentali. Diversi articoli sono circolati nel corso dell’ultima settimana sul fatto che dei caccia provenienti dalla Turchia e da altri stati arabi sarebbero presto entrati nello spazio aereo siriano sotto pretesti "umanitari" con l'aiuto logistico degli Stati Uniti.
«Insieme con i missili, il rapporto afferma che la Russia ha installato sistemi radar avanzati presso tutte le principali installazioni militari e industriali siriane. Il sistema radar copre anche le aree a nord e a sud della Siria, dove sarà in grado di rilevare il movimento di truppe o di aeromobili in direzione del confine siriano. Gli obiettivi dei radar comprendono gran parte di di Israele, così come la base militare di Incirlik in Turchia, che viene utilizzata dalla NATO», afferma il reportage.
Il Ministro degli Esteri francese Alain Juppé ieri ha assicurato alle forze siriane di opposizione che le potenze della NATO stanno progettando di lanciare un intervento militare inteso a imporre «corridoi umanitari o zone umanitarie» motivate dalla protezione dei civili dai presunti abusi del regime al-Assad.
La prospettiva di attacchi aerei lanciati da sotto uno striscione "umanitario" è vista sempre più probabile dato il fatto che la portaerei George HW Bush è stata spostata verso le coste siriane nei giorni scorsi hanno lasciando il suo teatro tradizionale di operazioni poco fuori dallo Stretto di Hormuz.
Ieri si sono anche intensificate le tensioni dopo che l'ambasciata USA a Damasco ha invitato i suoi cittadini a lasciare la Siria "immediatamente", mentre il ministero degli Esteri della Turchia ha detto ai suoi cittadini di evitare di viaggiare attraverso il paese al loro rientro dall’Arabia Saudita.
Come abbiamo già affermato, l’attacco alla Siria potrebbe semplicemente essere un antipasto per un attacco contro l'Iran, perché Teheran ha promesso di difendere il suo alleato

Ora sappiamo che cosa quelle sei navi da guerra russe - che a quanto è stato riferito sono entrate nelle acque territoriali siriane la scorsa settimana - stavano trasportando.
Oltre a rappresentare una dimostrazione di forza per scoraggiare le potenze della NATO dal lanciare un attacco militare, a bordo vi erano esperti tecnici russi pronti ad aiutare Damasco a far funzionare un sofisticato sistema di difesa missilistica vendutogli da Mosca.
«Le navi da guerra russe che hanno raggiunto le acque al largo della Siria negli ultimi giorni stavano trasportando, tra l'altro, consulenti tecnici russi che aiuteranno i siriani a installare una serie di missili S-300 che Damasco ha ricevuto nelle ultime settimane, ha rivelato un articolo del giornale londinese in lingua araba “Al Quds Al-Arabi” di giovedì 24 novembre. Citando fonti in Siria e in Russia, il giornale ha riferito che Mosca considera un attacco occidentale contro la Siria come una "linea rossa" che non tollererà», riferisce «Arutz Sheva».
russian s300missile090304I missili S-300, che secondo il reportage saranno utilizzati per «prevenire un possibile attacco da parte della NATO o degli USA e UE,» sono missili terra-aria a lungo raggio sviluppati dalla Russia nel 1979 allo scopo di proteggere complessi industriali e militari di grandi dimensioni da attacchi aerei nemici e da missili da crociera.
Il sistema è ampiamente considerato come uno dei più potenti sistemi anti-aerei nella guerra moderna, dato che è in grado di monitorare fino a 100 bersagli e affrontarne 12 alla volta. La Russia ha recentemente cercato di vendere lo stesso sistema all’Iran, ma l'operazione è stata interrotta dopo le pressioni degli Stati Uniti e di Israele.
Armare la Siria con un così efficace mezzo di difesa aerea non sarebbe ovviamente di buon auspicio per ogni potenziale "no fly zone" in programma da parte delle potenze occidentali. Diversi articoli sono circolati nel corso dell’ultima settimana sul fatto che dei caccia provenienti dalla Turchia e da altri stati arabi sarebbero presto entrati nello spazio aereo siriano sotto pretesti "umanitari" con l'aiuto logistico degli Stati Uniti.
«Insieme con i missili, il rapporto afferma che la Russia ha installato sistemi radar avanzati presso tutte le principali installazioni militari e industriali siriane. Il sistema radar copre anche le aree a nord e a sud della Siria, dove sarà in grado di rilevare il movimento di truppe o di aeromobili in direzione del confine siriano. Gli obiettivi dei radar comprendono gran parte di di Israele, così come la base militare di Incirlik in Turchia, che viene utilizzata dalla NATO», afferma il reportage.
Il Ministro degli Esteri francese Alain Juppé ieri ha assicurato alle forze siriane di opposizione che le potenze della NATO stanno progettando di lanciare un intervento militare inteso a imporre «corridoi umanitari o zone umanitarie» motivate dalla protezione dei civili dai presunti abusi del regime al-Assad.
La prospettiva di attacchi aerei lanciati da sotto uno striscione "umanitario" è vista sempre più probabile dato il fatto che la portaerei George HW Bush è stata spostata verso le coste siriane nei giorni scorsi hanno lasciando il suo teatro tradizionale di operazioni poco fuori dallo Stretto di Hormuz.
Ieri si sono anche intensificate le tensioni dopo che l'ambasciata USA a Damasco ha invitato i suoi cittadini a lasciare la Siria "immediatamente", mentre il ministero degli Esteri della Turchia ha detto ai suoi cittadini di evitare di viaggiare attraverso il paese al loro rientro dall’Arabia Saudita.
Come abbiamo già affermato, l’attacco alla Siria potrebbe semplicemente essere un antipasto per un attacco contro l'Iran, perché Teheran ha promesso di difendere il suo alleato
MEGLIO LICANTROPI CHE FILANTROPI
Baalkaan hai la machina targata Sassari?
VE LA MERITATE GEGGIA
Baalkaan hai la machina targata Sassari?
VE LA MERITATE GEGGIA
Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
Adesso stiamo vedendo tutti come la famosa "primavera araba", tanto osannata idealizzata poetizzata, stia portando una ventata di laicità e progresso nel nordafrica eh....
YANKEE-Crew Official President: per la supremazia dell'erotismo occidentale - contro il pornopiattume delle melanzane, soviet e mangia-sushi!
Re: OT - I am an anti-Muhammad - Anarchy in Maghreb!
un paese musulmano come la turchia ha indicato la strada di tutti i nuovi partiti islamici.
sono una sorta di "dc" in salsa islamica, a mio modesto parere niente di estremo,
parlo del partito Nahda in tunisia http://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_ ... _(Tunisia)
e di quello che ha vinto le elezioni in marocco (dove effettivamente ancora comanda il RE)
entrambi simili al partito di erdogan in turchia
sui fratelli musulmani in egitto invece non mi esprimo ho letto tutto e il contrario di tutto sinceramente non saprei.
in libia poi cosa ci si può aspettare dopo un regime lungo 40 anni e una guerra di 9 mesi se non disastri?
sono una sorta di "dc" in salsa islamica, a mio modesto parere niente di estremo,
parlo del partito Nahda in tunisia http://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_ ... _(Tunisia)
e di quello che ha vinto le elezioni in marocco (dove effettivamente ancora comanda il RE)
entrambi simili al partito di erdogan in turchia
sui fratelli musulmani in egitto invece non mi esprimo ho letto tutto e il contrario di tutto sinceramente non saprei.
in libia poi cosa ci si può aspettare dopo un regime lungo 40 anni e una guerra di 9 mesi se non disastri?
nell'avatar un caloroso saluto da Eveline Dellai.