[O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Anche la Grande Inter del mago Herrera restituisca tutti i suoi successi degli anni '60. Erano dopati.
http://www.calciomercato.com/vivoperlei ... ola-707127
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
eh no, c'è la prescrizione!tiffany rayne ha scritto:Anche la Grande Inter del mago Herrera restituisca tutti i suoi successi degli anni '60. Erano dopati.
http://www.calciomercato.com/vivoperlei ... ola-707127
E sorridi! (Earl J. Hickey)
Di regole io ne conosco una sola: bisogna essere buoni, cazzo (K. Vonnegut)
Chi è senza peccato non ha un cazzo da raccontare (V. Costantino)
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Mamma mia quanto ve rode ancora...!! 

"Gli amici del campetto
passati dalle Marlboro direttamente all'eroina
alla faccia delle droghe leggere"
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
senza dimenticare il rigore di iuliano
per non parlare del gol di turone, che era bbono...
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Cazzo però se siete permalosi.
Parlare di un episodio del passato ormai morto e sepolto non dovrebbe destare vespai o polemiche.
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Per il mio ego può bastare che SCB mi citi nella sua firma, tutto il resto è noia.
Cicciuzzo 1.6.2016
Mi spiegate come postare le immagini, sono scemo oltre che cornuto
Furore 1.3.2017
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
giusto per giove!
dimenticavo il gol di muntari!
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Non sono simpatizzante juventino, ma esiste una lista di farmaci e sostanze dopanti riguardante la juve di quegli anni?cicciuzzo ha scritto:
l'ho già postato nel topic dei libri, ma mi sia consentito indicarlo anche qui. Mola non guarda in faccia nessuno. ed ovviamente c'è la parte riguardante la Juve degli anni '90, abbondantemente dopata e potenziata. questa è storia, non è che c'è tanto da confutare, altro che cultura del sospetto
Ovvero, da qualche parte si possono trovare riferimenti alle sostanze assunte dai calciatori? E soprattutto, quali?
Non è una provocazione verso nessuno: solo una richiesta al fine di capire e colmare una mia ignoranza in materia.
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
parliamo di cose serie, ho letto che Pato si è lasciato con Barbara...
Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non é cosi. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene. (Tyler Durden, Fight Club)
Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
avrà avuto un infortunio anche alla minchiaMauroG ha scritto:parliamo di cose serie, ho letto che Pato si è lasciato con Barbara...
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
dai non essere così cattivo. magari era lei la causa dei suoi mali, non ha la tembra di boateng per resistere a certe sessioni
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
trema, melissa!!!
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Perchè beve l'acqua Uliveto l'acqua che fa digerire meglio.cicciuzzo ha scritto:Ciao Alex, prima di partire ci spieghi come mai sei lievitato fisicamente in modo significativo negli anni '90? è un pò che aspetto la risposta.....
Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
peccato che finito il campionato non ne abbia parlato piùrufus t. firefly ha scritto:giusto per giove!
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Cicciuzzo 1.6.2016
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Libero in gran spolvero su comunismo e Zeman.
Giuseppe Pollicelli
Zdenek Zeman è uomo di silenzi, provocazioni e paradossi. Ma il paradosso più grande non lo ha espresso con le parole, lo ha prodotto con la biografia, lo ha realizzato attraverso la sua parabola esistenziale e professionale.
Il più grande paradosso di Zeman consiste nell’avere abbandonato a ventuno anni la sua città, Praga, per fuggire al comunismo, e nell’essere poi divenuto una delle personalità più popolari e carismatiche d’Italia (dove vive dal 1968, quando fece la scelta dolorosa di fermarsi a Palermo, lontano dai carri armati sovietici ma anche dagli affetti più cari) ricorrendo senza rendersene conto alle medesime «armi» che hanno garantito al comunismo le sue fortune. Quella che viene accordata a Zeman e al suo immodificabile modulo di gioco, il 4-3-3, non è mai semplice e razionale stima: è adesione fideistica, è un abbandono dai connotati mistici che ha le esatte caratteristiche della fede nel comunismo e nelle sue mirabolanti promesse. Una fede che, in quanto tale, non tiene in alcun conto le evidenze, nutrendosi bensì di profezie, di attese messianiche, di invettive.
Stessa ideologia
Le analogie tra la figura di Zeman e il comunismo sono talmente tante, e così stringenti, che vale la pena passarle in rassegna. Innanzi tutto, alla base della filosofia zemaniana, vi è l’ideologia: per Zeman, come per il comunismo, non sono mai le idee a doversi adattare alla realtà, è la realtà che deve piegarsi agli schemi dell’ideologia. E se la realtà a questi schemi non si piega, vuol dire che è la realtà a essere sbagliata, non l’ideologia, la quale è perfetta e, dunque, immutabile.
Come nel comunismo, ciò che è collettivo deve sempre fare premio, per Zeman, su ciò che è individuale: il calciatore che osi trasgredire il modulo va subito emarginato, affinché non contamini il corpo sano della squadra. Come il comunismo, Zeman auspica l’avvento di un uomo nuovo, una forma evoluta di essere umano che non conosca tentazioni, cedimenti, slealtà. Come il comunismo, Zeman preconizza il sol dell’avvenire, il materializzarsi di un evo in cui nessuna squadra giocherà più per portare a casa il risultato e tutte le partite finiranno 8-5 o 2-6, e la formazione allenata da Zeman, che è il migliore, conquisterà il campionato più spesso delle altre perché non vi saranno più cinici imbroglioni a impedirlo.
Come il comunismo, Zeman applica la disciplina di partito: lo fece quando, in un sorprendente accesso garantista, prese le difese del patron del Foggia Pasquale Casillo, implicato in fatti di camorra. Come capitava a un Togliatti o a un Berlinguer, e ancor di più succede con l’icona di Guevara, a Zeman è riservato un autentico (e trasversale) culto della personalità. Come il comunismo, Zeman ottiene sporadici successi e innumerevoli fallimenti (nessun trofeo vinto in carriera, una quantità ragguardevole di esoneri, eccezionali record negativi come i quattro derby persi in un anno sulla panchina della Roma), ma ai suoi seguaci non importa, poiché il tempo dell’affermazione arriverà.
Come il comunismo, Zeman vuole il riscatto dei perdenti e dei (presunti) derelitti, sempre demagogicamente considerati la parte buona da contrapporre a quella, ignobile, dei vincenti. Come il comunismo, Zeman ha il suo nemico giurato, la Juventus (identificata con il grande capitale e le sue losche manovre), che è anche un poderoso alibi per giustificare le sconfitte, il comodo bersaglio grosso da colpire ogni volta che gli eventi prendono una brutta piega. Come il comunismo, Zeman difetta quanto a coerenza: paladino dell’integrità morale, nel 1994 spese queste parole riguardo alla mafia: «Io non l’ho mai scoperta, la mafia. (...) Le stragi di Capaci e via d’Amelio? Ma questa è mafia? Allora, se questa è mafia, cancello tutto e dico che la mafia è una cosa bruttissima, gravissima e così via. Ma io non sono convinto che quella sia mafia».
Qualche bugia...
Come il comunismo, Zeman mente: in qualità di teste dell’accusa al processo di Calciopoli disse di non aver mai avuto a che fare in vita sua con Moggi, salvo smentirsi clamorosamente nel documentario Zemanlandia, in cui racconta di quando, da allenatore del Parma, pranzò proprio con Big Luciano. Come il comunismo, Zeman gode di un occhio di riguardo da parte dei media (che lo trattano alla stregua di un santo o di un eroe), delle istituzioni (di recente il sindaco di Roma gli ha consegnato il premio fair play «Avversari sì, nemici mai», non molti giorni dopo la diffusione di una foto che immortala Zdenek mentre autografa una maglia con su scritto «Odio la Juve!»), e della giustizia, che non lo ha indagato per omessa denuncia benché nel 2005 avesse avuto la sensazione - lo disse lui stesso, e figuriamoci se un leader del suo calibro poteva non sapere cosa accadeva nel proprio spogliatoio - che i giocatori del suo Lecce si fossero accordati con quelli del Parma per non farsi male.
Come il comunismo, Zdenek promette meraviglie che, alla resa dei conti, si rivelano ingannevoli miraggi. E allora hasta la victoria, mister Zeman! Tanto lo sappiamo che è soltanto un bello slogan.
Giuseppe Pollicelli
Zdenek Zeman è uomo di silenzi, provocazioni e paradossi. Ma il paradosso più grande non lo ha espresso con le parole, lo ha prodotto con la biografia, lo ha realizzato attraverso la sua parabola esistenziale e professionale.
Il più grande paradosso di Zeman consiste nell’avere abbandonato a ventuno anni la sua città, Praga, per fuggire al comunismo, e nell’essere poi divenuto una delle personalità più popolari e carismatiche d’Italia (dove vive dal 1968, quando fece la scelta dolorosa di fermarsi a Palermo, lontano dai carri armati sovietici ma anche dagli affetti più cari) ricorrendo senza rendersene conto alle medesime «armi» che hanno garantito al comunismo le sue fortune. Quella che viene accordata a Zeman e al suo immodificabile modulo di gioco, il 4-3-3, non è mai semplice e razionale stima: è adesione fideistica, è un abbandono dai connotati mistici che ha le esatte caratteristiche della fede nel comunismo e nelle sue mirabolanti promesse. Una fede che, in quanto tale, non tiene in alcun conto le evidenze, nutrendosi bensì di profezie, di attese messianiche, di invettive.
Stessa ideologia
Le analogie tra la figura di Zeman e il comunismo sono talmente tante, e così stringenti, che vale la pena passarle in rassegna. Innanzi tutto, alla base della filosofia zemaniana, vi è l’ideologia: per Zeman, come per il comunismo, non sono mai le idee a doversi adattare alla realtà, è la realtà che deve piegarsi agli schemi dell’ideologia. E se la realtà a questi schemi non si piega, vuol dire che è la realtà a essere sbagliata, non l’ideologia, la quale è perfetta e, dunque, immutabile.
Come nel comunismo, ciò che è collettivo deve sempre fare premio, per Zeman, su ciò che è individuale: il calciatore che osi trasgredire il modulo va subito emarginato, affinché non contamini il corpo sano della squadra. Come il comunismo, Zeman auspica l’avvento di un uomo nuovo, una forma evoluta di essere umano che non conosca tentazioni, cedimenti, slealtà. Come il comunismo, Zeman preconizza il sol dell’avvenire, il materializzarsi di un evo in cui nessuna squadra giocherà più per portare a casa il risultato e tutte le partite finiranno 8-5 o 2-6, e la formazione allenata da Zeman, che è il migliore, conquisterà il campionato più spesso delle altre perché non vi saranno più cinici imbroglioni a impedirlo.
Come il comunismo, Zeman applica la disciplina di partito: lo fece quando, in un sorprendente accesso garantista, prese le difese del patron del Foggia Pasquale Casillo, implicato in fatti di camorra. Come capitava a un Togliatti o a un Berlinguer, e ancor di più succede con l’icona di Guevara, a Zeman è riservato un autentico (e trasversale) culto della personalità. Come il comunismo, Zeman ottiene sporadici successi e innumerevoli fallimenti (nessun trofeo vinto in carriera, una quantità ragguardevole di esoneri, eccezionali record negativi come i quattro derby persi in un anno sulla panchina della Roma), ma ai suoi seguaci non importa, poiché il tempo dell’affermazione arriverà.
Come il comunismo, Zeman vuole il riscatto dei perdenti e dei (presunti) derelitti, sempre demagogicamente considerati la parte buona da contrapporre a quella, ignobile, dei vincenti. Come il comunismo, Zeman ha il suo nemico giurato, la Juventus (identificata con il grande capitale e le sue losche manovre), che è anche un poderoso alibi per giustificare le sconfitte, il comodo bersaglio grosso da colpire ogni volta che gli eventi prendono una brutta piega. Come il comunismo, Zeman difetta quanto a coerenza: paladino dell’integrità morale, nel 1994 spese queste parole riguardo alla mafia: «Io non l’ho mai scoperta, la mafia. (...) Le stragi di Capaci e via d’Amelio? Ma questa è mafia? Allora, se questa è mafia, cancello tutto e dico che la mafia è una cosa bruttissima, gravissima e così via. Ma io non sono convinto che quella sia mafia».
Qualche bugia...
Come il comunismo, Zeman mente: in qualità di teste dell’accusa al processo di Calciopoli disse di non aver mai avuto a che fare in vita sua con Moggi, salvo smentirsi clamorosamente nel documentario Zemanlandia, in cui racconta di quando, da allenatore del Parma, pranzò proprio con Big Luciano. Come il comunismo, Zeman gode di un occhio di riguardo da parte dei media (che lo trattano alla stregua di un santo o di un eroe), delle istituzioni (di recente il sindaco di Roma gli ha consegnato il premio fair play «Avversari sì, nemici mai», non molti giorni dopo la diffusione di una foto che immortala Zdenek mentre autografa una maglia con su scritto «Odio la Juve!»), e della giustizia, che non lo ha indagato per omessa denuncia benché nel 2005 avesse avuto la sensazione - lo disse lui stesso, e figuriamoci se un leader del suo calibro poteva non sapere cosa accadeva nel proprio spogliatoio - che i giocatori del suo Lecce si fossero accordati con quelli del Parma per non farsi male.
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I was having fish n chips with my dad this week. He had cod, I had plaice. He said: good cod! I said, space is the plaice! - Sun Ra
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Re: [O.T.] Serie A e Champions League:fatti e misfatti
Grande articolo di Pollicelli, degno del quotidiano che lo ospita.
Grande spot per Zeman, che mi diventa sempre piu' simpatico. Uno attaccato da Libero merita sempre.
Grande spot per Zeman, che mi diventa sempre piu' simpatico. Uno attaccato da Libero merita sempre.