Responsabilità in cosa? Ricordo che lo stabilimento e' stato costruito nel 1961. Nemmeno i Riva ne erano proprietari a quel tempo.australiano ha scritto: allora... che Bersani, sotto il profilo PENALE, (fino ad oggi) sia immacolato.. non l'ho mai messo in dubbio.
ma POLITICAMENTE è tutta un'altra storia.
sulla vicenda ILVA... è vero.. i finanziamenti sono leciti.. ed è vero che ad oggi la magistratura non ha dimostrato alcuna responsabilità di Bersani.. ma è molto STRANO (sempre politicamente parlando... non giuridicamente eh) che combinazione il ministro dell'industria che avrebbe dovuto controllare... abbia detto "ok, tutto bene... andate pure avanti così". ripeto... a livello POLITICO, la cosa puzza.
Il fatto che ci siano situazioni industriali del genere e' colpa un po' di tutti, in questo caso anche dei tarantini. Il problema della responsabilità delle imprese in merito alle conseguenze in campo economico, sociale e ambientale delle loro attività non e' mai stato posto, in maniera seria e decisa. E' cosa recente. E in Italia come per tante altre cose, questa presa di coscienza e' arrivata in ritardo. La sentenza che ha fatto scoppiare tutto, già 20 anni fa non sarebbe mai arrivata.
So che e' OT ma: Sul concetto di responsabilità di impresa. Esiste un paradosso di fondo tra il fatto che mai come nei nostri anni si è scritto e parlato di etica d’impresa, di responsabilità sociale dell’impresa e contemporaneamente mai si è visto un susseguirsi tanto impressionante di casi di imprese dai comportamenti gravemente irresponsabili. Per quanto riguarda l’impatto ambientale, per esempio, l’Ilva non è certo la sola a poter essere considerata irresponsabile: in tutta Italia, sono circa una ventina gli impianti che non hanno ancora ottenuto l’Aia, ossia l’autorizzazione integrata ambientale. Possiamo definire come irresponsabile un’impresa che, al di là degli elementari obblighi di legge, suppone di non dover rispondere ad alcuna autorità pubblica e privata, né all’opinione pubblica, in merito alle conseguenze in campo economico, sociale e ambientale delle sue attività (Luciano Gallino, L’impresa irresponsabile, Torino: Einaudi, 2005). Da questa definizione è possibile allora dedurre anche quella di impresa responsabile, intendendo con questo termine l’impresa che, oltre ad osservare le leggi, risponde con convinzione alla collettività del suo operato, dei suoi obiettivi e dei suoi risultati. Le imprese rappresentano, o meglio, dovrebbero rappresentare, organi della società mai fini a sé stessi: come sostiene la moderna teoria d’impresa, esse dovrebbero esistere per svolgere una determinata funzione sociale, essere strumenti per assolvere fini che le trascendono (P.E. Drucker, Manuale di Management, Milano: ETAS 1978). Sulla base di quanto detto, la responsabilità dell’Ilva è duplice: da un lato è responsabile del proprio impatto ambientale in termini di territorio, salute dei cittadini e dei lavoratori; dall’altro in termini sociali, come produttrice di profitto e di lavoro per la popolazione stessa. Chiudendo lo stabilimento il problema dell’impatto ambientale almeno per il futuro sarebbe risolto; non così quello della perdita di posti di lavoro. Come affronta questi temi l’azienda? I dirigenti dell’Ilva sostengono di aver già agito per ridurre le emissioni presentando un piano, che è stato tuttavia successivamente respinto dai magistrati, con la previsione di investimenti per circa 400 milioni di euro in funzione dell’abbattimento delle polveri e della copertura dei depositi di carbone che ora sono a cielo aperto, chiedendo comunque di continuare a produrre, anche se in maniera ridotta. La magistratura ha bocciato il piano sostenendo che continuare la produzione avrebbe significato continuare a infliggere danni alla popolazione. L’Ilva oggi produce un terzo del fabbisogno di acciaio italiano e dà lavoro a 12.000 lavoratori diretti, che diventano 40.000 se consideriamo l’indotto. Sono cifre importanti che spiazzano di fronte alle decisioni da prendere. Governo e sindacati spingono per evitare la chiusura della fabbrica e, in questo senso, mostrano di considerare prevalente la responsabilità sociale dell’impresa nei confronti del posti di lavoro che in caso di chiusura andrebbero persi, a scapito però della responsabilità nei confronti dell’ambiente e della salute dei cittadini. Si è così cercato un compromesso: tenere aperto e produttivo lo stabilimento favorendone il risanamento tramite uno strumento, cui accennavamo prima, l’Aia, ossia l’autorizzazione integrata ambientale. Tale strumento autorizza l’utilizzo dell’impianto a patto però che l’azienda attui una serie di interventi distribuiti nell’arco di tre anni che prevedano la riduzione della produzione in maniera significativa, la copertura dei parchi di carbone, l’ammodernamento degli altiforni e monitoraggi costanti. Tuttavia, secondo gli esperti, gli effetti positivi di questi provvedimenti si vedrebbero solo a partire dal 2015 e il costo totale degli stessi si aggirerebbe intorno ai tre miliardi cui lo Stato contribuirebbe per 330 milioni.