[O.T.] La peggiore sinistra del mondo
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Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
Tempo sei mesi massimo un annetto e il paese torna in mano a silvio che se la ride di gusto.
Da valutare seriamente di andarsene il prima possibile. (non che fino ad ora ci fosse da ridere)
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Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
La fretta di Renzi e la crisi della politica
di Andrea Bianchi
Qual è la caratteristica principale dell'azione di Renzi? La fretta. Fretta di lasciare un segno, per non logorarsi, di differenziarsi da riti e tempi della vecchia politica. Se c'è qualcosa per cui Renzi vuole essere innovativo, non è per i contenuti, ma per il ritmo.
E' senza dubbio questa la caratteristica fondamentale del leader PD, che vuole apparire in contrapposizione ai tradizionali tempi lunghi della politica italiana, come sottolineato da Ilvo Diamanti. E', in qualche modo, obbligato a mostrarsi in grado di raggiungere risultati immediati, qualsiasi essi siano.
In realtà, tanta alacrità sta attualmente portando all'effetto paradosso di imprigionare Renzi - come un uccello impaniato che, quanto più batte le ali, tanto più si mette in trappola nei riti della “vecchia politica”: il rimpasto, la staffetta, il cambio di marcia. E, per ora, i risultati annunciati sono lungi dall'essere raggiunti. Se ne è solo sottolineata, una volta di più, l'urgenza. In linea, peraltro, con la logica perennemente emergenziale nel cui nome si giustifica il perdurare e vivacchiare di governi che nessun elettore ha scelto.
In ogni caso, il messaggio che Renzi vuole trasmettere è che, con lui, i tempi delle decisioni si fanno veloci, gli obiettivi raggiungibili. Per questo fine, ogni mezzo è lecito: anche trattare, prioritariamente, se non esclusivamente, con un condannato in via definitiva, che sembrava, infine, incredibile dictu, destinato ad uscire dalla scena politica.
Di questa apologia della velocità, fa parte l'insistenza di Renzi sulla natura “storica” del pacchetto di riforme che ha proposto prima al Cavaliere, poi alle altre forze politiche. Ma è davvero così? Sarebbe facile sottolineare che i problemi del paese sono ben altri, a partire da quell'aumento letteralmente vertiginoso delle diseguaglianze che è stato, per l'ennesima volta, recentemente sottolineato dal rapporto di Bankitalia.
Renzi potrebbe, a ragione, rispondere che è ben conscio della centralità delle questioni economiche, ma che la riforma della legge elettorale è una necessità preliminare e propedeutica a qualsiasi altro intervento. Si può essere senz'altro d'accordo; è anche indubbio, però, che legarla alle altre due proposte di riforma istituzionale, e quindi vincolarne l'applicabilità all'abolizione del bicameralismo perfetto, allunga i tempi a dismisura e rischia di prolungare l'impasse politica che ci imprigiona come un incantesimo. Ma, per il leader Pd, è il pacchetto delle tre riforme che costituirebbe quel cambio di marcia storico che serve al paese per ripartire.
E' sulla base di questa definizione, insistita e reiterata, che vengono giustificati i mezzi poco nobili e il “prendere o lasciare”; è perche fa parte di questo “storico” tris di riforme che sulla legge elettorale non si può fare troppo gli schizzinosi, pena il mettere a rischio un insieme di modifiche istituzionali che sarebbe addirittura in grado di far compiere al paese la svolta decisiva e tanto attesa dai cittadini.
Dando per scontata la necessità di una nuova legge elettorale, per quale motivo le altre due riforme dovrebbero, per i cittadini, avere tanto rilievo? In realtà le si conosce poco nel dettaglio. Sul nuovo Senato delle autonomie, si è saputo qualcosa, di abbastanza pasticciato, solo durante la direzione PD del 6 febbraio scorso e non si possiede ancora un testo scritto. Appare chiaro che Renzi è mosso, oltre che dal culto della velocità, dal desiderio di vellicare gli umori anti-casta degli italiani. Sembra che una riforma così delicata e importante, come la rinuncia al bicameralismo perfetto in un momento politicamente e socialmente tanto complesso, serva principalmente a soddisfare l'astio degli italiani verso la classe politica nel suo insieme, dandogli in pasto l'abolizione degli stipendi dei 315 senatori.
Ora, l'odio anti-casta, nella forma che ha assunto negli ultimi anni, è un sentimento sostanzialmente “plebeo”, che prende il posto di una riflessione ragionata sulla cause della degenerazione della politica, sulle molteplici forme del privilegio e sulle contromisure da prendere per favorire eguaglianza e partecipazione. E' “plebeo” in quanto si contrappone all'atteggiamento critico dei cittadini, capaci di guicciardiniana “discrezione” e di un esercizio consapevole dei propri diritti di cittadinanza.
La contrapposizione masaniellesca fra “noi” e “loro”, l'odio per gli eletti in quanto tali, costituiscono, nella loro forma più semplicistica, un diversivo rispetto alla presa di coscienza, da parte dei cittadini, dei loro autentici interessi, della natura del modello economico vigente e dei reali meccanismi alla base dell'esponenziale aumento delle diseguaglianze.
Rispetto a questo tipo di umori anti-politici, rimane valido l'argomento di Bertrand Russell, che diceva che l'argomento più forte a favore della democrazia è che, quando vige il suffragio universale, “un eletto non può essere più stupido dei suoi elettori: più è stupido (o corrotto) lui, più lo sono coloro che l'hanno eletto”. Certo, resta il problema della possibilità dell'opinione pubblica di formarsi in reale autonomia e attraverso una libera e corretta informazione; questione su cui torneremo.
Renzi esalta i risparmi che deriverebbero dalla trasformazione del Senato e dagli interventi sul titolo V (dei quali si è parlato pochissimo, mettendo l'accento, di nuovo in chiave anti-casta, quasi esclusivamente sulla riduzione degli emolumenti ai consiglieri regionali, su cui si può non aver nulla da eccepire, ma che sarebbe davvero azzardato definire una svolta utile a far ripartire il paese), quantificandoli in circa 700 milioni.
Si tratta di una cifra davvero poco significativa, se si pensa, ad esempio, che la tassa sui grandi patrimoni esistente in Francia (L'impôt de solidarité sur la fortune, non abolita neppure da Sarkozy, mentre da noi è un tabù assoluto) procura circa 4 miliardi l'anno e che una cifra maggiore si otterrebbe con un'imposizione su successioni e donazioni sempre sul modello francese, cui si potrebbe aggiungere quella sulle rendite finanziarie; tutte opzioni assenti dal dibattito attuale.
Quello che occorre soprattutto chiedersi è se, dando per accertato che i problemi del paese abbiano anche bisogno di una risposta sul piano del funzionamento istituzionale, le proposte avanzate vadano nella direzione giusta. Quali sono le cause della crisi della politica che investe tutti i paesi avanzati e che si manifesta ovunque con una crescente disaffezione dei cittadini verso la politica, lasciando spazio, oltre che all'astensionismo, a spinte populistiche e reazionarie di varia natura?
La causa più generale, che riguarda tutto l'Occidente, sta nel fatto che la politica non sembra più capace di essere quella “scelta dei fini”, in cui è sempre consistita, ma si riduce alla pura scelta dei mezzi più idonei per realizzare fini che sono determinati da altre istanze e che vengono percepiti come insindacabili e parte, per così dire, di uno sfondo naturale che non può essere messo in discussione. E' la totale abdicazione della politica rispetto all'economia finanziaria che offre un corposo argomento al tradizionale pregiudizio popolare per cui “i politici sono tutti uguali”.
Il nesso potere-denaro, il serpente ouroboros di cui parla Zagrebelsky, impedisce alla politica di essere quel confronto fra visioni alternative e modelli diversi di società capace di coinvolgere nella discussione, su un piano paritario, il maggior numero di cittadini. E arriva a far percepire ogni pretesa democratica come un attacco all'efficienza e al funzionamento dei mercati, imposti come unico valore incontestabile e autoevidente. Questo riduce sempre più a un simulacro l'autonomia della politica, che si limita alla scelta fra diverse – minime – sfumature nell'applicazione dei diktat finanziari.
Per questo le sinistre, quando sono al governo, deludono sempre le attese, anche quando, come nel caso di Hollande, si erano proposte agli elettori con programmi relativamente avanzati (d'altra parte, Krugman ha ben sottolineato la disapprovazione dei mercati – con relative pressioni – verso la scelta del governo Hollande-Ayrault di privilegiare, nell'azione di risanamento del bilancio, l'aumento delle imposte sui redditi più elevati ai tagli al welfare. Tali pressioni sono una delle cause della recente svolta di Hollande, definita, in Francia, “socialdemocratica”; termine che, peraltro, in Italia, se applicato al PD, indicherebbe una svolta a sinistra).
Per cui, alla fine, riescono, nel migliore dei casi, come Zapatero e lo stesso Hollande, a caratterizzarsi per le scelte in tema di costume e diritti civili (da noi, come sappiamo, neanche per quelle), mentre sul piano delle politiche economiche vengono percepite come una copia sbiadita delle destre. In Italia, a questo problema globale, si aggiungono l'abnorme tasso di corruzione della classe dirigente nel suo complesso, la concentrazione mediatica e la natura anomala, sul piano delle regole democratiche, di alcune delle forze politiche sulla scena.
E' impossibile sopravvalutare l'importanza del fatto che l'Italia occupa la 69esima posizione al mondo nella classifica sulla corruzione percepita, mentre tutti i principali paesi occidentali si trovano nelle prime 25. Sono queste le questioni che dovrebbero essere affrontate con adeguati interventi legislativi e istituzionali. Prioritario non è tanto diminuire ciò che gli eletti ricevono legalmente, quanto ridurre al minimo la possibilità- e l'accettabilità sociale- di comportamenti illegali.
Davvero rivoluzionaria per il nostro paese, sarebbe una seria legge anti-corruzione e per la trasparenza amministrativa, seguita – o preceduta – da una prassi conseguente (che non sembra sia stata in cima alle preoccupazioni di Renzi nella scelta delle candidature in Sardegna). Così come lo sarebbero una rigorosa legge sul conflitto di interessi, soprattutto riguardo al tema cruciale dell'informazione e del potere mediatico, così determinante per la formazione dell'opinione pubblica e della percezione, da parte dei cittadini, delle priorità politiche e sociali, e norme altrettanto rigorose sulla democrazia interna ai partiti.
Naturalmente è difficile mettere sul tappeto tali questioni, che davvero segnerebbero una discontinuità rivoluzionaria rispetto agli ultimi vent'anni, se si sceglie Berlusconi come interlocutore principale sulla via delle riforme. Inoltre, il problema più generale della disaffezione verso la politica e della crisi della rappresentatività sembra richiedere, in aggiunta ad una profonda riflessione sul nodo centrale dei rapporti fra economia e politica, che si dia spazio al massimo di pluralismo, per favorire la più ampia partecipazione dei cittadini e permettere al dibattito pubblico di arricchirsi delle posizioni più diverse e critiche, sottraendosi così ad un appiattimento uniforme rotto solo da sussulti populistici.
La politica non può essere solo la presa d'atto dei rapporti di forza esistenti, ma dovrebbe, data la gravità della situazione, lasciare spazio alla possibilità che nascano nuove forze che rivitalizzino il confronto di idee ed amplino il novero delle opzioni possibili. Invece, la legge elettorale proposta, oltre a sottrarre ai cittadini la scelta dei candidati con nuove liste bloccate, andrebbe, con uno sbarramento altissimo e inusitato per le forze non coalizzate, nella direzione opposta.
Immaginiamo un parlamento, ridotto a una sola camera, diviso fra Forza Italia, PD e M5S. Due partiti guidati da un capo e un terzo che rischia di diventarlo. Non sarebbe un quadro desolante per molti cittadini, che non si sentirebbero rappresentati e andrebbero ad ingrossare le fila dei delusi e degli indifferenti? Un PD da anni in preda a una deriva moderata, che fatica anche ad aderire al PSE, può monopolizzare l'area di centrosinistra? E farlo proprio nel momento in cui molti dei suoi nuovi dirigenti renziani si caratterizzano per l'esaltazione di un liberismo quasi thatcheriano che non può che suscitare sconcerto in esponenti di un partito che dovrebbe rappresentare in Italia la sinistra europea?
Lo spostamento sempre più a destra del baricentro del quadro politico nel suo complesso fa, da noi, apparire radicale ed estremista qualsiasi posizione critica verso il pensiero dominante, rendendo il dibattito sulle possibili alternative all'attuale modello di sviluppo, sull'austerity, sulle riforme necessarie all'Europa, del tutto marginale – diversamente che in altri paesi, pur coinvolti come noi nella crisi della rappresentanza – e confinandoci in un asfittico provincialismo.
D'altronde, la speranza che la condanna definitiva di Berlusconi potesse aprire la strada al graduale affermarsi di una normale destra europea perde ogni fondamento nel momento in cui si propone una legge elettorale che ridà una centralità totale al partito-azienda del Cavaliere e dei suoi eventuali eredi. Ridare fiato a Berlusconi quando sembra ormai destinato a uscire di scena è da anni una costante dell'azione della dirigenza DS-PD; una vera coazione a ripetere. Anche, ma non solo, per questo, d'alemiani e renziani ricordano quei due teologi di Borges, che, dopo essersi combattuti per tutta la vita, scoprono nell'aldilà di essere la stessa persona. Anche l'elezione indiretta del Senato non appare la scelta migliore per contrastare l'autoreferenzialità della classe dirigente, come ha ben sottolineato Nadia Urbinati.
Le proposte di Renzi sembrano avere solo due obiettivi: eliminare i partiti minori (e questo è il principale motivo della scelta di Berlusconi come interlocutore principale) e velocizzare il processo decisionale. Ma è molto dubbio che il problema principale dell'Italia, negli anni passati, sia stata l'assenza di governabilità dovuta alla frammentazione politica. Le difficoltà in questo senso sono piuttosto derivate dalle assurdità del Porcellum.
Berlusconi ha governato a lungo (il Berlusconi II e il Berlusconi IV sono stati i governi più longevi della storia repubblicana) con un'ampia maggioranza senza grandi frutti; e sembra anzi, dalle sue stesse lamentele, che sia stata la presenza di altre forze nella sua coalizione a evitare che facesse danni ancora maggiori. Per quanto riguarda il centrosinistra, se indubbiamente il primo governo Prodi è caduto a causa di Bertinotti, la vicenda del secondo è ben altrimenti complessa e legata soprattutto alle scelte di Veltroni.
In base alle considerazioni sopra espresse, la scelta di sacrificare il pluralismo e gli equilibri del potere legislativo ad esigenze di efficienza e uniformità appaiono le meno opportune nel contesto attuale. Col suo decisionismo, che ricorda il primo Craxi, Renzi ripropone l'insofferenza più volte espressa da Berlusconi nei confronti della lentezza del processo legislativo. Ma il problema è davvero tale lentezza, che non impedisce comunque la produzione di una pletora di leggi e leggine, o piuttosto la qualità dell'azione politica?
La somma di esaltazione della rapidità, desiderio di soddisfare le pulsioni anti-casta e aspirazione alla semplificazione forzata del quadro politico e alla riduzione del pluralismo non sembrano all'altezza delle sfide che la politica ha di fronte a sé. Prima fra tutte, la capacità di ritornare ad essere luogo di confronto partecipato fra visioni alternative, di avere uno sguardo d'insieme sulla società e di dare risposte al disagio sociale. Cessando di essere appiattita sul presente, sul “giorno per giorno”, sulla rinuncia ad ogni battaglia culturale in nome dell'accettazione dell'esistente e della sondaggiocrazia (che appare la moderna incarnazione dell'oclocrazia polibiana e insieme di quella deriva verso la passività dei cittadini profetizzata da Tocqueville).
Sotto le parvenze della discontinuità, e di una frenesia ipnotica, le scelte di Renzi appaiono, in realtà, in linea con l'involuzione della politica (ridotta alla gestione tecnico-amministrativa di programmi eterodiretti, da parte di un notabilato ideologicamente uniforme ed incapace di elaborazione culturale) in corso da anni ed alla base della crisi della rappresentanza cui assistiamo.
(13 febbraio 2014)
di Andrea Bianchi
Qual è la caratteristica principale dell'azione di Renzi? La fretta. Fretta di lasciare un segno, per non logorarsi, di differenziarsi da riti e tempi della vecchia politica. Se c'è qualcosa per cui Renzi vuole essere innovativo, non è per i contenuti, ma per il ritmo.
E' senza dubbio questa la caratteristica fondamentale del leader PD, che vuole apparire in contrapposizione ai tradizionali tempi lunghi della politica italiana, come sottolineato da Ilvo Diamanti. E', in qualche modo, obbligato a mostrarsi in grado di raggiungere risultati immediati, qualsiasi essi siano.
In realtà, tanta alacrità sta attualmente portando all'effetto paradosso di imprigionare Renzi - come un uccello impaniato che, quanto più batte le ali, tanto più si mette in trappola nei riti della “vecchia politica”: il rimpasto, la staffetta, il cambio di marcia. E, per ora, i risultati annunciati sono lungi dall'essere raggiunti. Se ne è solo sottolineata, una volta di più, l'urgenza. In linea, peraltro, con la logica perennemente emergenziale nel cui nome si giustifica il perdurare e vivacchiare di governi che nessun elettore ha scelto.
In ogni caso, il messaggio che Renzi vuole trasmettere è che, con lui, i tempi delle decisioni si fanno veloci, gli obiettivi raggiungibili. Per questo fine, ogni mezzo è lecito: anche trattare, prioritariamente, se non esclusivamente, con un condannato in via definitiva, che sembrava, infine, incredibile dictu, destinato ad uscire dalla scena politica.
Di questa apologia della velocità, fa parte l'insistenza di Renzi sulla natura “storica” del pacchetto di riforme che ha proposto prima al Cavaliere, poi alle altre forze politiche. Ma è davvero così? Sarebbe facile sottolineare che i problemi del paese sono ben altri, a partire da quell'aumento letteralmente vertiginoso delle diseguaglianze che è stato, per l'ennesima volta, recentemente sottolineato dal rapporto di Bankitalia.
Renzi potrebbe, a ragione, rispondere che è ben conscio della centralità delle questioni economiche, ma che la riforma della legge elettorale è una necessità preliminare e propedeutica a qualsiasi altro intervento. Si può essere senz'altro d'accordo; è anche indubbio, però, che legarla alle altre due proposte di riforma istituzionale, e quindi vincolarne l'applicabilità all'abolizione del bicameralismo perfetto, allunga i tempi a dismisura e rischia di prolungare l'impasse politica che ci imprigiona come un incantesimo. Ma, per il leader Pd, è il pacchetto delle tre riforme che costituirebbe quel cambio di marcia storico che serve al paese per ripartire.
E' sulla base di questa definizione, insistita e reiterata, che vengono giustificati i mezzi poco nobili e il “prendere o lasciare”; è perche fa parte di questo “storico” tris di riforme che sulla legge elettorale non si può fare troppo gli schizzinosi, pena il mettere a rischio un insieme di modifiche istituzionali che sarebbe addirittura in grado di far compiere al paese la svolta decisiva e tanto attesa dai cittadini.
Dando per scontata la necessità di una nuova legge elettorale, per quale motivo le altre due riforme dovrebbero, per i cittadini, avere tanto rilievo? In realtà le si conosce poco nel dettaglio. Sul nuovo Senato delle autonomie, si è saputo qualcosa, di abbastanza pasticciato, solo durante la direzione PD del 6 febbraio scorso e non si possiede ancora un testo scritto. Appare chiaro che Renzi è mosso, oltre che dal culto della velocità, dal desiderio di vellicare gli umori anti-casta degli italiani. Sembra che una riforma così delicata e importante, come la rinuncia al bicameralismo perfetto in un momento politicamente e socialmente tanto complesso, serva principalmente a soddisfare l'astio degli italiani verso la classe politica nel suo insieme, dandogli in pasto l'abolizione degli stipendi dei 315 senatori.
Ora, l'odio anti-casta, nella forma che ha assunto negli ultimi anni, è un sentimento sostanzialmente “plebeo”, che prende il posto di una riflessione ragionata sulla cause della degenerazione della politica, sulle molteplici forme del privilegio e sulle contromisure da prendere per favorire eguaglianza e partecipazione. E' “plebeo” in quanto si contrappone all'atteggiamento critico dei cittadini, capaci di guicciardiniana “discrezione” e di un esercizio consapevole dei propri diritti di cittadinanza.
La contrapposizione masaniellesca fra “noi” e “loro”, l'odio per gli eletti in quanto tali, costituiscono, nella loro forma più semplicistica, un diversivo rispetto alla presa di coscienza, da parte dei cittadini, dei loro autentici interessi, della natura del modello economico vigente e dei reali meccanismi alla base dell'esponenziale aumento delle diseguaglianze.
Rispetto a questo tipo di umori anti-politici, rimane valido l'argomento di Bertrand Russell, che diceva che l'argomento più forte a favore della democrazia è che, quando vige il suffragio universale, “un eletto non può essere più stupido dei suoi elettori: più è stupido (o corrotto) lui, più lo sono coloro che l'hanno eletto”. Certo, resta il problema della possibilità dell'opinione pubblica di formarsi in reale autonomia e attraverso una libera e corretta informazione; questione su cui torneremo.
Renzi esalta i risparmi che deriverebbero dalla trasformazione del Senato e dagli interventi sul titolo V (dei quali si è parlato pochissimo, mettendo l'accento, di nuovo in chiave anti-casta, quasi esclusivamente sulla riduzione degli emolumenti ai consiglieri regionali, su cui si può non aver nulla da eccepire, ma che sarebbe davvero azzardato definire una svolta utile a far ripartire il paese), quantificandoli in circa 700 milioni.
Si tratta di una cifra davvero poco significativa, se si pensa, ad esempio, che la tassa sui grandi patrimoni esistente in Francia (L'impôt de solidarité sur la fortune, non abolita neppure da Sarkozy, mentre da noi è un tabù assoluto) procura circa 4 miliardi l'anno e che una cifra maggiore si otterrebbe con un'imposizione su successioni e donazioni sempre sul modello francese, cui si potrebbe aggiungere quella sulle rendite finanziarie; tutte opzioni assenti dal dibattito attuale.
Quello che occorre soprattutto chiedersi è se, dando per accertato che i problemi del paese abbiano anche bisogno di una risposta sul piano del funzionamento istituzionale, le proposte avanzate vadano nella direzione giusta. Quali sono le cause della crisi della politica che investe tutti i paesi avanzati e che si manifesta ovunque con una crescente disaffezione dei cittadini verso la politica, lasciando spazio, oltre che all'astensionismo, a spinte populistiche e reazionarie di varia natura?
La causa più generale, che riguarda tutto l'Occidente, sta nel fatto che la politica non sembra più capace di essere quella “scelta dei fini”, in cui è sempre consistita, ma si riduce alla pura scelta dei mezzi più idonei per realizzare fini che sono determinati da altre istanze e che vengono percepiti come insindacabili e parte, per così dire, di uno sfondo naturale che non può essere messo in discussione. E' la totale abdicazione della politica rispetto all'economia finanziaria che offre un corposo argomento al tradizionale pregiudizio popolare per cui “i politici sono tutti uguali”.
Il nesso potere-denaro, il serpente ouroboros di cui parla Zagrebelsky, impedisce alla politica di essere quel confronto fra visioni alternative e modelli diversi di società capace di coinvolgere nella discussione, su un piano paritario, il maggior numero di cittadini. E arriva a far percepire ogni pretesa democratica come un attacco all'efficienza e al funzionamento dei mercati, imposti come unico valore incontestabile e autoevidente. Questo riduce sempre più a un simulacro l'autonomia della politica, che si limita alla scelta fra diverse – minime – sfumature nell'applicazione dei diktat finanziari.
Per questo le sinistre, quando sono al governo, deludono sempre le attese, anche quando, come nel caso di Hollande, si erano proposte agli elettori con programmi relativamente avanzati (d'altra parte, Krugman ha ben sottolineato la disapprovazione dei mercati – con relative pressioni – verso la scelta del governo Hollande-Ayrault di privilegiare, nell'azione di risanamento del bilancio, l'aumento delle imposte sui redditi più elevati ai tagli al welfare. Tali pressioni sono una delle cause della recente svolta di Hollande, definita, in Francia, “socialdemocratica”; termine che, peraltro, in Italia, se applicato al PD, indicherebbe una svolta a sinistra).
Per cui, alla fine, riescono, nel migliore dei casi, come Zapatero e lo stesso Hollande, a caratterizzarsi per le scelte in tema di costume e diritti civili (da noi, come sappiamo, neanche per quelle), mentre sul piano delle politiche economiche vengono percepite come una copia sbiadita delle destre. In Italia, a questo problema globale, si aggiungono l'abnorme tasso di corruzione della classe dirigente nel suo complesso, la concentrazione mediatica e la natura anomala, sul piano delle regole democratiche, di alcune delle forze politiche sulla scena.
E' impossibile sopravvalutare l'importanza del fatto che l'Italia occupa la 69esima posizione al mondo nella classifica sulla corruzione percepita, mentre tutti i principali paesi occidentali si trovano nelle prime 25. Sono queste le questioni che dovrebbero essere affrontate con adeguati interventi legislativi e istituzionali. Prioritario non è tanto diminuire ciò che gli eletti ricevono legalmente, quanto ridurre al minimo la possibilità- e l'accettabilità sociale- di comportamenti illegali.
Davvero rivoluzionaria per il nostro paese, sarebbe una seria legge anti-corruzione e per la trasparenza amministrativa, seguita – o preceduta – da una prassi conseguente (che non sembra sia stata in cima alle preoccupazioni di Renzi nella scelta delle candidature in Sardegna). Così come lo sarebbero una rigorosa legge sul conflitto di interessi, soprattutto riguardo al tema cruciale dell'informazione e del potere mediatico, così determinante per la formazione dell'opinione pubblica e della percezione, da parte dei cittadini, delle priorità politiche e sociali, e norme altrettanto rigorose sulla democrazia interna ai partiti.
Naturalmente è difficile mettere sul tappeto tali questioni, che davvero segnerebbero una discontinuità rivoluzionaria rispetto agli ultimi vent'anni, se si sceglie Berlusconi come interlocutore principale sulla via delle riforme. Inoltre, il problema più generale della disaffezione verso la politica e della crisi della rappresentatività sembra richiedere, in aggiunta ad una profonda riflessione sul nodo centrale dei rapporti fra economia e politica, che si dia spazio al massimo di pluralismo, per favorire la più ampia partecipazione dei cittadini e permettere al dibattito pubblico di arricchirsi delle posizioni più diverse e critiche, sottraendosi così ad un appiattimento uniforme rotto solo da sussulti populistici.
La politica non può essere solo la presa d'atto dei rapporti di forza esistenti, ma dovrebbe, data la gravità della situazione, lasciare spazio alla possibilità che nascano nuove forze che rivitalizzino il confronto di idee ed amplino il novero delle opzioni possibili. Invece, la legge elettorale proposta, oltre a sottrarre ai cittadini la scelta dei candidati con nuove liste bloccate, andrebbe, con uno sbarramento altissimo e inusitato per le forze non coalizzate, nella direzione opposta.
Immaginiamo un parlamento, ridotto a una sola camera, diviso fra Forza Italia, PD e M5S. Due partiti guidati da un capo e un terzo che rischia di diventarlo. Non sarebbe un quadro desolante per molti cittadini, che non si sentirebbero rappresentati e andrebbero ad ingrossare le fila dei delusi e degli indifferenti? Un PD da anni in preda a una deriva moderata, che fatica anche ad aderire al PSE, può monopolizzare l'area di centrosinistra? E farlo proprio nel momento in cui molti dei suoi nuovi dirigenti renziani si caratterizzano per l'esaltazione di un liberismo quasi thatcheriano che non può che suscitare sconcerto in esponenti di un partito che dovrebbe rappresentare in Italia la sinistra europea?
Lo spostamento sempre più a destra del baricentro del quadro politico nel suo complesso fa, da noi, apparire radicale ed estremista qualsiasi posizione critica verso il pensiero dominante, rendendo il dibattito sulle possibili alternative all'attuale modello di sviluppo, sull'austerity, sulle riforme necessarie all'Europa, del tutto marginale – diversamente che in altri paesi, pur coinvolti come noi nella crisi della rappresentanza – e confinandoci in un asfittico provincialismo.
D'altronde, la speranza che la condanna definitiva di Berlusconi potesse aprire la strada al graduale affermarsi di una normale destra europea perde ogni fondamento nel momento in cui si propone una legge elettorale che ridà una centralità totale al partito-azienda del Cavaliere e dei suoi eventuali eredi. Ridare fiato a Berlusconi quando sembra ormai destinato a uscire di scena è da anni una costante dell'azione della dirigenza DS-PD; una vera coazione a ripetere. Anche, ma non solo, per questo, d'alemiani e renziani ricordano quei due teologi di Borges, che, dopo essersi combattuti per tutta la vita, scoprono nell'aldilà di essere la stessa persona. Anche l'elezione indiretta del Senato non appare la scelta migliore per contrastare l'autoreferenzialità della classe dirigente, come ha ben sottolineato Nadia Urbinati.
Le proposte di Renzi sembrano avere solo due obiettivi: eliminare i partiti minori (e questo è il principale motivo della scelta di Berlusconi come interlocutore principale) e velocizzare il processo decisionale. Ma è molto dubbio che il problema principale dell'Italia, negli anni passati, sia stata l'assenza di governabilità dovuta alla frammentazione politica. Le difficoltà in questo senso sono piuttosto derivate dalle assurdità del Porcellum.
Berlusconi ha governato a lungo (il Berlusconi II e il Berlusconi IV sono stati i governi più longevi della storia repubblicana) con un'ampia maggioranza senza grandi frutti; e sembra anzi, dalle sue stesse lamentele, che sia stata la presenza di altre forze nella sua coalizione a evitare che facesse danni ancora maggiori. Per quanto riguarda il centrosinistra, se indubbiamente il primo governo Prodi è caduto a causa di Bertinotti, la vicenda del secondo è ben altrimenti complessa e legata soprattutto alle scelte di Veltroni.
In base alle considerazioni sopra espresse, la scelta di sacrificare il pluralismo e gli equilibri del potere legislativo ad esigenze di efficienza e uniformità appaiono le meno opportune nel contesto attuale. Col suo decisionismo, che ricorda il primo Craxi, Renzi ripropone l'insofferenza più volte espressa da Berlusconi nei confronti della lentezza del processo legislativo. Ma il problema è davvero tale lentezza, che non impedisce comunque la produzione di una pletora di leggi e leggine, o piuttosto la qualità dell'azione politica?
La somma di esaltazione della rapidità, desiderio di soddisfare le pulsioni anti-casta e aspirazione alla semplificazione forzata del quadro politico e alla riduzione del pluralismo non sembrano all'altezza delle sfide che la politica ha di fronte a sé. Prima fra tutte, la capacità di ritornare ad essere luogo di confronto partecipato fra visioni alternative, di avere uno sguardo d'insieme sulla società e di dare risposte al disagio sociale. Cessando di essere appiattita sul presente, sul “giorno per giorno”, sulla rinuncia ad ogni battaglia culturale in nome dell'accettazione dell'esistente e della sondaggiocrazia (che appare la moderna incarnazione dell'oclocrazia polibiana e insieme di quella deriva verso la passività dei cittadini profetizzata da Tocqueville).
Sotto le parvenze della discontinuità, e di una frenesia ipnotica, le scelte di Renzi appaiono, in realtà, in linea con l'involuzione della politica (ridotta alla gestione tecnico-amministrativa di programmi eterodiretti, da parte di un notabilato ideologicamente uniforme ed incapace di elaborazione culturale) in corso da anni ed alla base della crisi della rappresentanza cui assistiamo.
(13 febbraio 2014)
I was having fish n chips with my dad this week. He had cod, I had plaice. He said: good cod! I said, space is the plaice! - Sun Ra
Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
Il vantaggio è che ci liberiamo prima del giovine citrullo.
Lo svantaggio è che ci tocca fare un altro bagno nella merda con l'anziano piazzista,
in attesa che la vecchia Catlina faccia il suo mestiere.
In soldoni: prepararsi a vendere i BTP sui massimi e a riacquistare sui minimi.
Lo svantaggio è che ci tocca fare un altro bagno nella merda con l'anziano piazzista,
in attesa che la vecchia Catlina faccia il suo mestiere.
In soldoni: prepararsi a vendere i BTP sui massimi e a riacquistare sui minimi.
Ille ego, Blif, ductus Minervæ sorte sacerdos (ბლუფ)
Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
Sarà un distastro di proporzioni bibliche.
Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
Venni vedemmo e senza indugio la fottemmo!
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Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
La mossa politica di questo pomeriggio sarà tragica per i giovani che non lavorano. Col 40% di disoccupazione giovanile, l'immobilismo delle aziende che non possono assumere.
Mi sa che mi conviene rimanere in Olanda, solo che mi rode proprio il culo vedere sto paese ffondre in questo modo.
E la colpa secondo me è della generazione dei mie genitori che al posto di scendere in piazza protestare quando non levavano il finanziamento ai partiti, quando dopo tangentopoli si facevano inculare da sti ladri e di esempi ne potrei fare a bizzeffe.
Una società di lobotomizzati grazie ai talent, a uomini e donne, a programmi televisivi che coprono lo scmpio che ogni giorno questi non degni fanno. Signori queste sono le cause della crisi che ci sta accerchiando.
Mi sa che mi conviene rimanere in Olanda, solo che mi rode proprio il culo vedere sto paese ffondre in questo modo.
E la colpa secondo me è della generazione dei mie genitori che al posto di scendere in piazza protestare quando non levavano il finanziamento ai partiti, quando dopo tangentopoli si facevano inculare da sti ladri e di esempi ne potrei fare a bizzeffe.
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Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
è quello che fanno da 20 anni a questa parte...dell ha scritto:Il Fede ha scritto:GeishaBalls ha scritto:
Alle prossime elezioni (se continua così sarà tra 50 anni) possono dare direttamente il governo in mano a forza italia
Tutto quello che faceva paura del comunismo - che avremmo perso le nostre case, i nostri risparmi, che ci avrebbero costretto a lavorare tutto il tempo per un salario scarso, e che non avremmo avuto alcuna voce contro il sistema - è diventato realtà grazie al capitalismo.
Se esiste un Dio, un giorno sarà lui a dovermi chiedere perdono (frase letta su un muro di Auschwitz).
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Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
Certo che ste primarie del PD spaccano.
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Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
A questo punto mi viene il sospetto che Silvio sia in possesso di video compromettenti - D'Alema a trans, Renzi boy scout che si infila un flauto in culo e cose del genere.
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Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
Dopo tante critiche (che ci stanno) a Renzi vorrei provare ad elencare qualche punto di forza del boy scout fiorentino:
1)A differenza di Letta, Renzi avrà (inizialmente) il controllo totale del suo partito. Oggi ha ricevuto 136 "sì" contro una decina di "no". Gli avversari interni (D'Alema, Cuperlo, Civati) sono costretti nelle tane come talpe in attesa di tempi migliori. Il "congresso permanente del PD" è in una situazione diversa da quella degli ultimi anni: là le varie correnti erano tante ed in equilibrio. Oggi la supremazia di Renzi è schiacciante ed è una cosa che non si era mai verificata prima (né con Prodi, D'Alema, Veltroni, Bersani o Letta). Letta aveva i giorni contati fin dalla sconfitta PD di febbraio che aveva lanciato Renzi come un proiettile impossibile da fermare (e dire che era stato sconfitto alle primarie pochi mesi prima). Quando Bersani perse Renzi non riuscì a nascondere la sua soddisfazione. Poi li ha killerati uno ad uno, scientificamente, Letta era l'ultimo highlander della vecchia guardia.
2)Renzi avrà il coltello della legge elettorale dalla parte del manico. Se non si farà la legge potrà dire che non si può andare ad elezioni finchè non c'è una legge (semplice e lineare).
3)Prima o poi Berlusconi dovrà fare i domiciliari e in questa fase non avrà interesse ad andare a votare con Giovanni Toti candidato premier.
4)A differenza del pretino Letta e della vecchia guardia dei comunisti, in fatto di propaganda Renzi non è secondo a Grillo e Silvio. A prescindere dagli atti concreti di governo, tutto dipenderà dalla sua capacità di sparare scoregge a mitraglia sugli umanoidi fecali che popolano questo paese. Con una propaganda intensa e martellante potrebbe ottenere un consenso superiore a quello di Letta che è dimesso come un pretino di campagna. Tutto si giocherà sull'immagine e sull'offensiva mediatica forsennata (cui prevedibilmente risponderanno da par loro Grillo e Silvio).
Domenica si vota in Sardegna, primo test.
1)A differenza di Letta, Renzi avrà (inizialmente) il controllo totale del suo partito. Oggi ha ricevuto 136 "sì" contro una decina di "no". Gli avversari interni (D'Alema, Cuperlo, Civati) sono costretti nelle tane come talpe in attesa di tempi migliori. Il "congresso permanente del PD" è in una situazione diversa da quella degli ultimi anni: là le varie correnti erano tante ed in equilibrio. Oggi la supremazia di Renzi è schiacciante ed è una cosa che non si era mai verificata prima (né con Prodi, D'Alema, Veltroni, Bersani o Letta). Letta aveva i giorni contati fin dalla sconfitta PD di febbraio che aveva lanciato Renzi come un proiettile impossibile da fermare (e dire che era stato sconfitto alle primarie pochi mesi prima). Quando Bersani perse Renzi non riuscì a nascondere la sua soddisfazione. Poi li ha killerati uno ad uno, scientificamente, Letta era l'ultimo highlander della vecchia guardia.
2)Renzi avrà il coltello della legge elettorale dalla parte del manico. Se non si farà la legge potrà dire che non si può andare ad elezioni finchè non c'è una legge (semplice e lineare).
3)Prima o poi Berlusconi dovrà fare i domiciliari e in questa fase non avrà interesse ad andare a votare con Giovanni Toti candidato premier.
4)A differenza del pretino Letta e della vecchia guardia dei comunisti, in fatto di propaganda Renzi non è secondo a Grillo e Silvio. A prescindere dagli atti concreti di governo, tutto dipenderà dalla sua capacità di sparare scoregge a mitraglia sugli umanoidi fecali che popolano questo paese. Con una propaganda intensa e martellante potrebbe ottenere un consenso superiore a quello di Letta che è dimesso come un pretino di campagna. Tutto si giocherà sull'immagine e sull'offensiva mediatica forsennata (cui prevedibilmente risponderanno da par loro Grillo e Silvio).
Domenica si vota in Sardegna, primo test.
"Non devo essere io ad insegnarvi che avete nemici ed in gran numero, che non sanno perché lo siano, ma che come cani bastardi di villaggio, si mettono ad abbaiare quando i loro simili lo fanno" (Shakespeare, Enrico VIII)
Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
1) Renzi non ha affatto il controllo totale ma neanche parziale del PD
2)Nessuno vuole realmente cambiare la legge elettorale
3)Finchè cè Napolitano silvione può star tranquillo
4)Si come venditore di fole può competere con gli altri

2)Nessuno vuole realmente cambiare la legge elettorale
3)Finchè cè Napolitano silvione può star tranquillo
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MEGLIO LICANTROPI CHE FILANTROPI
Baalkaan hai la machina targata Sassari?
VE LA MERITATE GEGGIA
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Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
Invece sì, sono saltati tutti sul suo carro (es. Veltroni e Franceschini).dostum ha scritto:1) Renzi non ha affatto il controllo totale ma neanche parziale del PD
Ovvio che se dovesse bruciarsi o logorarsi i topi uscirebbero dalle fogne ma attualmente nessuno ha la forza per poterlo fare.
"Non devo essere io ad insegnarvi che avete nemici ed in gran numero, che non sanno perché lo siano, ma che come cani bastardi di villaggio, si mettono ad abbaiare quando i loro simili lo fanno" (Shakespeare, Enrico VIII)
Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
Ahia, missà che è partita una nuova seriedostum ha scritto:

Non vedo l'ora che Renzi vada a Berlino per le foto hard con la Merkel - anche se va detto che quelle con Monti secondo me sono difficilmente battibili...
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#COLPADELSINDICO!!!!1!
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Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
Ci puoi giurare questo stronzetto già mi stava abbondantemente sulle palle come sindaco di Firenzehoover ha scritto:Ahia, missà che è partita una nuova seriedostum ha scritto:![]()
Non vedo l'ora che Renzi vada a Berlino per le foto hard con la Merkel - anche se va detto che quelle con Monti secondo me sono difficilmente battibili...

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Re: [O.T.] La peggiore sinistra del mondo
Io avrei aggiunto "il simpatico boy scout fiorentino". Potevi dirlo prima invece di far finta di essere analitico verso tutto: si era capito da un bel po' che sei un sostenitore del PD (e di conseguenza in questo momento di Renzi, come tutti coloro che vogliono provare l'ebbrezza di vincere a prescindere proprio perché fino a ora non hanno mai vinto) e che le critiche al partito che hai fatto fin'ora erano farlocche e fatte apposta, giusto per mascherare la tua appartenenza. Le critiche a Renzi secondo te "ci stanno", in altri casi invece fanno parte del linguaggio corrente eh? Le parole sono importanti (cit.), quelle che usi tu tradiscono le tue intenzioni e smascherano quello che in realtà era emerso da tempo.Drogato_ di_porno ha scritto:Dopo tante critiche (che ci stanno) a Renzi vorrei provare ad elencare qualche punto di forza del boy scout fiorentino:
Schierati apertamente e abbi il coraggio di dire chi appoggi invece di far la parte di quello che vuol criticare tutto per paura di far capire agli altri quello che voti, tanto più che usi pesi e misure diverse e si capisce benissimo chi difendi per spirito di squadra e chi vuoi attaccare a prescindere.
Drogato, sai benissimo che Renzi non ha proprio nessun punto di forza e che è stato messo lì per essere bruciato (cosa che avverrà a breve, con somma gioia di tanti, senza nessun bisogno di fatica e opposizioni e manco di Grillo), fai prima a dire che sei pro renzino e simpatizzante PD, invece di far finta di trovargli difetti per fare il politologo

Mi sembri Gheisha Balls che dice di essere perplesso quando si capisce benissimo che gode come una bestia a vedere Renzi a capo di non sappiamo cosa (e non sappiamo per quanto). Un po' di coraggio su.
A questo punto ci mancava che tu scrivessi "lasciamolo lavorare" e siamo apposto.
Con simpatia ovviamente, ti stimo. Però sei credibile come una moneta da 3 euro

Osservandola, perfino Ratzinger si convincerebbe di quanto sia necessario l'uso dei contraccettivi ( Matt Z Bass ).