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Rugby, Nordest a muso duro: «Roma
si arrenda, la Lega celtica è cosa nostra»
La partecipazione al campionato di Scozia, Galles e Irlanda diventa caso politico. Alemanno: la capitale deve esserci
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Sergio Parisse (Benetton) in meta
di Ivan Malfatto
VENEZIA (5 marzo) - Mauro Bergamasco meglio di Dario Franceschini. La palla ovale meglio del Pd. Quel che non riesce all'opposizione, spaccare e far litigare la maggioranza, riesce al rugby. Che sia il caso per i dirigenti democratici di andare a lezione da capitan Parisse & C., nonostante i ripetuti ko dell'Italia nel Sei Nazioni, per imparare ad essere più efficaci?
La provocazione circola in questi giorni nel mondo politico e ovale, visto quanto sta succedendo per la scelta delle squadre italiane che dovranno partecipare alla Celtic League. Il campionato di Scozia, Galles e Irlanda al quale sono state ammesse due nostre franchige, se il progetto e le garanzie presentate dalla Fir (federugby) verrà accettato dai dirigenti celtici entro fine marzo. Una rivoluzione epocale per questo sport in Italia. Che ha l'obiettivo di portarlo allo stesso livello degli altri tre Paesi celtici, migliorando la qualità dei giocatori messi a disposizione della Nazionale.
La Lega Nord con il deputato Gianni Fava, ex presidente del Viadana Rugby, si è messa in testa che le due formazioni devono venire dalla Padania. Un po' per la suggestione del nome appiccicato al torneo, Lega Celtica. Tanto perchè ritiene che il vero cuore del movimento sia qui. Con otto squadre su dieci nel massimo campionato, più tradizione, scudetti e competenze da vendere. Alleanza Nazionale con il sindaco Gianni Alemanno ritiene invece che una squadra deve essere assegnata a Roma. Per motivi turistici, di distribuzione geografica e di continuità con l'evento principe di questo sport, il Sei Nazioni.
Forza Italia per il momento sta alla finestra, anzi in panchina nel gergo rugbistico.
Ma un ex campione e suo esponente di spicco in Friuli Venezia Giulia come Elio De Anna va in sostegno alle tesi della Lega.
Una bella mischia, non c'è che dire. Della quale sarà emozionate vedere l'esito. Tenendo presente che potrebbe trasformarsi anche in una mischia no contest. Visto che i dirigenti della Celtic League potrebbero giudicare inadeguato il progetto italiano e rispedirlo al mittente. O rinviare l'ingresso delle nostre squadre al torneo 2010/11 e non al prossimo, come vorrebbe la federazione. Che vede di buon grado, comunque vada a finire, il dibattito. «Se l'interesse scatenatosi intorno alla Celtic servirà a raccogliere finanziamenti per il rugby non ho nulla in contrario - dichiara il presidente della Fir Giancarlo Dondi - Abbiamo bisogno di appoggio politico da qualunque parte venga per sostenere la svolta epocale che ha avuto il nostro sport».
Il riferimento è anche alla candidatura alla Coppa del Mondo 2015. Per presentare la quale la Fir ha bisogno di una garanzia di solvibilità (patronage è il termine tecnico) di 80 milioni di sterline da parte del Governo italiano.
Una svolta di popolarità e appeal tale che «lo stesso Umberto Bossi mi ha detto: dedicati a questa cosa e falla con tutto l'impegno possibile» confessa Fava. Al di là di suggestioni e facili battute (che c'azzecca Roma con i celtici? Basta leggere i fumetti di Asterix per capirlo...) il deputato viadanese, rugbista dall'età di 10 anni e amico del dg Franco Tonni, una dei dirigenti più capaci in Italia, porta avanti un ragionamento lucido. «Non si dice una bestialità - afferma - quando si dice che il rugby si è sviluppato prevalentemente sull'area lombardo-veneta. La politica si è posta il problema e la Lega ha sposato questo sport ricco di valori, da Gobbo a Zaia, da Stiffoni a Mara Bizzotto che mi telefona ogni giorno. Le uniche due candidature vere presentate finora per la Celtic League sono quelle di Treviso come club solitario e degli Aironi del Po come franchigia (capofila Viadana unita a Gran Parma, Colorno, Mantova e forse Reggio Emilia, ndr). Hanno il budget richiesto (8 milioni di euro), gli sponsor (Benetton, Montepaschi), le strutture, le competenze, il management, i requisiti chiesti dal board della Celtic e tutto ció che serve. La terza candidatura, di Roma, è effimera. Inventata all'ultimo momento. Messa insieme tra due squadre di basso profilo nel Super 10 (Capitolina, Roma) e un'altra minore (Lazio). Senza budget, visto che mette a bilancio un milione e mezzo dalla federazione per arrivare agli otto previsti. Perchè bisognerebbe sceglierla?».
Alemanno non ci sta e rivendica «un corretto e ragionevole criterio di equa distribuzione delle due sedi di Celtic League, con una al nord e una per il centro-sud, che non puó non avere Roma come epicentro. Le ragioni storiche, economiche, di appeal turistico, di bacino sportivo e commerciale sono talmente ovvie che parrebbe inutile sottolinearle».
Roma in fatto di tradizioni, bisogna riconoscerlo, non è certo seconda al Nord. Quando realtà come Rovigo, Padova e Treviso nascevano là si vincevano già gli scudetti (1935), o si mandavano i quattro fratelli Vinci contemporaneamente in maglia azzurra. Aggiungiamo il fatto che Roma è sede della Fir, che da quando ospita il Sei Nazioni è diventata strategica per ogni scelta federale e vediamo che la forza della sua candidatura puó davvero preoccupare i padani.
Ma proprio la sede di Fir e Sei Nazioni è visto invece come un limite per la scelta da parte di De Anna, campione azzurro e della Sanson Rovigo negli anni '70, oggi assessore regionale allo Sport in Friuli Venezia Giulia e presidente dei Dogi. La "nazionale" veneta dei suoi tempi, che ora potrebbe trasformarsi in una franchigia e quindi in una quarta potenziale candidata per un posto in Celtic.
«Roma ha già la Fir e il Sei Nazioni, sarebbe riduttivo portare là una squadra di Celtic. Come sarebbe un errore non riconoscere al Nordest una peculiarità in fatto di rugby, visti i quaranta scudetti conquistati in 78 anni di storia del campionato (contro i cinque di Roma), i giocatori che da sempre fornisce alla Nazionale (sette su 22 anche nell'ultima partita in Scozia), la forza del vivaio, la tradizione, la passione del pubblico, il tessuto di piccole società e grandi piazze storiche. Per questo come Dogi abbiamo valutato l'idea di trasformare la selezione, inattiva dagli anni '90, in franchigia. Constatato che Treviso vuole andare in Celtic da sola, abbiamo iniziato il discorso per accorpare il resto del Nordest intorno all'asse delle tre società di Super 10 Padova, Rovigo e Venezia».
La forza per presentare un candidatura di Celtic oggi non c'è. Ma non è detto che in futuro non si possa trovare.
In questo scenario fra il politico e lo sportivo, dove Asterix e Obelix sono tornati a combattere i centurioni di Cesare, si deciderà il futuro del rugby italiano. Se i celtici accoglieranno il nostro progetto saranno gli Aironi del Po e il Benetton a volare oltremanica, o solo una di loro insieme alla franchigia romana? Qualunque sia il risultato c'è da farsi anche un'altra domanda. Al di là delle polemiche e delle scelte, la rivoluzione Celtic è davvero la strada giusta per fare crescere il rugby italiano? C'è una corrente di pensiero, molto forte anche nel lombardo-veneto, per cui la risposta è no. Ma assomiglia tanto al Pd, visto che non riesce a unirsi veramente e fare sentire la sua voce...
"Duca conte buonasera..sono le 17...le serviamo un tè?" Maurizio Liberti, 25.03.2007
"Sono venuto qui per disgustarmi! oh! Voglio vomitare! oh! siete un cess.... cessi! cessi, diceva toto'! cessi! la banda! cessi!" Carmelo Bene, 1995