sono un elettore dell'Ulivo e mi fa tristezza veder D'alema che rinnega sè stesso per opportunità . Mi da egualmente fastidio essere sulla stessa posizione di un fesso come Buttiglione, che ha avallato la guerra all'Iraq.
Ad ogni modo leggete qui:
[size=18:6ce0e3a998][b:6ce0e3a998]Referendum: quando quelli del SI elogiavano il NON VOTO [/b:6ce0e3a998][/size:6ce0e3a998]
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Non ce ne sarebbe bisogno, perché è ormai chiaro a tutti che il NON VOTO non è una furbata o una decisione dalla dubbia legittimità . Ma poiché la partita si gioca tutta su questo fronte, cioè sul raggiungimento o meno del quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto, non sarà male dare un'occhiata a ciò che, appena qualche anno fa, coloro che oggi attaccano la scelta del NON VOTO dicevano e, soprattutto, facevano.
Il cuore del discorso è che tutti, ma proprio tutti, hanno invitato, chi più chi meno, chi prima chi dopo, i cittadini italiani a non votare in occasione di un referendum. Chi lo ha fatto e perché dipende naturalmente dal singolo quesito, ma tutti, senza eccezione alcuna, lo hanno fatto.
Lo fece, udite udite, perfino Marco Pannella, che durante la campagna referendaria contro il referendum sulla scala mobile proposto dal Pci (9 giugno 1985) fece sorgere per primo l'arma del NON VOTO come modalità strategica per far fallire il referendum. In quell'occasione, dopo aver prospettato l'astensione, il leader radicale si convinse a cambiare strategia - e a chiedere dunque, nell'ultimo periodo di campagna elettorale, il NO. Ma lo fece in seguito alla decisione assunta dal presidente del Consiglio Bettino Craxi, che non volle investire sul NON VOTO puntando sulla vittoria dei NO, che poi ci fu (con il 54,3%).
Se Pannella pensò all'astensione, proponendola per primo, per poi (costretto) ripensarci e votare NO, tutti gli altri attuali sostenitori del SI hanno, chi prima chi dopo, utilizzato l'arma del NON VOTO. Concentriamoci sui due principali partiti della sinistra, i DS e Rifondazione Comunista.
A Fausto Bertinotti non piaceva il referendum che il 18 aprile 1999 il Patto Segni propose per l'abolizione della quota proporzionale alla Camera. La vittoria dei SI a quel referendum avrebbe significato gravi problemi per Rifondazione, "costretta" ad allearsi con il centro sinistra per avere rappresentanza parlamentare (ricordiamo che il governo Prodi era caduto, il 9 ottobre 1998, proprio per il ritiro della fiducia da parte di Rifondazione). Ebbene: Bertinotti non scelse il NO, ma il NON VOTO, chiedendo a tutti i cittadini di non andare a votare. E precisava: "Sono contrario a criminalizzare quello che decide di non votare, perché un referendum deve essere anche capace di guadagnare un consenso da parte degli elettori. E se non lo guadagna non è colpa dei cittadini, ma del referendum stesso" (Ansa, 9 aprile 1999).
Ma il materiale più ricco è quello riguardante il referendum del 15 e 16 giugno 2003, quello sull'art. 18, per il quale si dichiararono a favore la Cgil e i partiti della sinistra. I DS si spaccarono, con il "correntone" sulle posizioni di Rifondazione e la gran parte del partito schierato contro il quesito referendario. E il segretario Fassino scelse, in quella occasione, non il NO, ma il NON VOTO.
Volendo ripercorrere la vicenda occorre partire dal 29 aprile 2003, quando la segreteria nazionale dei DS diffonde un comunicato in cui giudica il referendum appena indetto per l'ultima domenica utile di giugno "un'iniziativa dannosa per il paese" e un "errore" perché portatore di "lacerazioni". Per questo ribadisce la "posizione critica verso la scelta di promuovere il referendum" confermando "la sua inutilità ". E annuncia che i DS assumeranno "una posizione del tutto coerente col giudizio politico negativo" espresso in quei mesi.
Il giorno dopo Fassino afferma nel corso di una intervista: "Non mi risulta che questo referendum sia stato voluto da noi ed è responsabilità di chi l'ha promosso spiegare agli elettori le proprie ragioni". E poi: "Ripeto: non siamo noi i promotori di questo referendum sbagliato e la nostra agenda politica non può e non deve essere dettata dalle scelte di altri". E allora perché non votare NO? "Perché", dice Fassino, "un «no» sarebbe meramente conservativo, un no inadeguato su problemi complessi che non si lasciano ridurre alla logica semplicistica del sì e del no». E se mai non fosse chiaro: "Deve essere chiaro che la nostra scelta non è la neutralità . Non siamo equidistanti, né indifferenti (...) [size=18:6ce0e3a998][b:6ce0e3a998]E' un referendum dannoso e bisogna renderlo inutile, vanificarlo, sterilizzarlo[/b:6ce0e3a998][/size:6ce0e3a998]". (fonte: sito DS).
La posizione dei DS verrà chiarita nelle settimane successive, con l'indicazione del NON VOTO al referendum. A quattro giorni dal voto il direttivo nazionale conferma: "I DS si asterranno", e Fassino invita ancora alla "astensione attiva". Si legge nei documenti ufficiali del partito: "Noi diamo una indicazione di astensione attiva, consapevole, forte. Non è un modo ipocrita di nascondere differenze di posizione interne, non è alchimia politica di bassa lega, non è un modo per non scegliere, per neutralità o equidistanza, o per confondere le idee. E' un preciso modo di scegliere e di indicare una posizione. E' proprio per questo che nei referendum abrogativi di leggi vigenti è richiesto il superamento del quorum. Per evitare che si decida sulla base della prevalenza di indicazioni di voto di una minoranza della popolazione". E ancora: "L'astensione attiva è una espressione di voto, che evita il pronunciamento qualora si consideri inadeguato o sbagliato sia il voto positivo che quello negativo". E alla domanda "perché non votare scheda bianca?", la ovvia risposta (che oggi sembra si siano dimenticati) è: "Perché in questo modo si contribuisce ad alzare il quorum". E gli stessi DS ricordano - in modo polemico - la posizione di Bertinotti nel 1999, che abbiamo visto più su.
Che la scelta dei DS fosse largamente condivisa è dimostrato dalle dichiarazioni di Sergio Cofferati, che meno di un anno prima aveva lasciato (dopo aver portato tre milioni di persone al Circo Massimo) la guida della Cgil. Quella Cgil che aveva proposto il referendum e che invitava al SI. Ebbene, affermava allora l'attuale sindaco di Bologna: "Non andare a votare è secondo me la strada migliore. Il referendum è uno strumento democratico dagli effetti semplificati, a volte addirittura rozzi, è un istituto di fronte al quale bisogna porsi laicamente scegliendo tra le tre ipotesi possibili: sì, no, non voto. Sono tre le ipotesi, a tal punto che lo stesso ordinamento costituzionale lo esplicita attraverso la fissazione di un quorum minimo per la validazione dell'esito referendario. Quorum che non è richiesto infatti a nessun altra modalità elettorale. Per questo penso che si possa decidere consapevolmente, ripeto consapevolmente, come esercizio attivo il non partecipare al voto e non capisco per quale ragione bisognerebbe sottostare alla semplificazione rozza di chi, come Rifondazione Comunista, si pone obiettivi strumentali».
E con piglio straordinario rispondeva così a chi sosteneva che in tal modo sarebbe cresciuta la disaffezione al voto: "Considero una mancanza di rispetto verso gli elettori l'insistenza sulla tesi che se non si vota si favorisce la disaffezione. In tempi passati, ma non lontani, gruppi di quesiti referendari hanno incontrato una scarsissima attenzione da parte degli elettori e gli stessi elettori sono tornati a votare nelle occasioni successive sia nelle elezioni politiche o amministrative che per altri voti referendari" (fonte: sito DS).
Che dire? Che non fa una grinza. E infatti immediatamente Giovanna Melandri, che in questi giorni di campagna per il SI si è particolarmente distinta, oltre che per le solite accuse sulla scelta del NON VOTO, anche per il "raffinato" tentativo di spostare l'attenzione sull'aborto, informando gli italiani, dalle colonne dell'Unità , che "c'è un quinto quesito" nascosto su cui votare (che riguarderebbe la 194), questa stessa Giovanna Melandri affermava convinta: "Cofferati ha ragione: non andrò a votare".
Sarebbe troppo facile oggi ironizzare sulle vecchie prese di posizione di chi oggi propaganda il SI e cerca di gettare discredito sulla scelta del NON VOTO. In fondo, peraltro, fa parte delle regole del gioco. Ognuno tira l'acqua al suo mulino, e fa quello che crede in base a quanto accade. Non ci rimane dunque che una semplice affermazione: chi ha scelto, consapevolmente, di non appoggiare i quesiti referendari del prossimo 12 e 13 giugno, chi insomma vuole difendere la legge 40 sulla fecondazione assistita, ha in teoria due scelte (il NO e il NON VOTO) e in pratica una sola (il NON VOTO) per difendere davvero la legge 40. Può (legittimamente) non piacere, ma la realtà è questa. Il NO aiuta il SI. Il NON VOTO difende la legge. Tutto il resto, davvero, sono solo chiacchiere.