pontellino ha scritto:ultron ha scritto:Dopo tutti questi anni, io ho ancora un dubbio che spero qualcuno mi aiuti a risolvere: ma gli attori che compaiono nel fotoromanzo, recitano sul serio? Cioè, mentre il fotografo scatta le foto, loro dicono davvero quello che è nella vignetta oppure no?
Mi sembra improbabile che dicano per filo e per segno quello che compare nelle vignette... Probabilmente seguiranno una sorta di "copione" della storia che li aiuti a calarsi nell'atmosfera della vicenda e a rendere al meglio le scene che devono recitare... Una specie di storyboard scritto per dare indicazioni agli attori su che tipo di posa (non porno) ci si aspetti da loro in una determinata scena...
Concordo che ci sarà stata per forza una specie di sceneggiatura con “story board”, e anche abbastanza esauriente (cioè, con panelli come i fumetti veri e propri che mostra ambiente, tipo di luce per interni, e forse anche tipologia di ripresa – angolazione, se primo piano, medio, o da lontano, ecc, e soprattutto quanti attori erano necessari in ogni scena). Tutto questo non tanto per aiutare gli attori (i quali, non per essere crudele, ma che dal punto di vista dello sceneggiatore, del fotografo, e soprattutto del produttore – ossia colui che ci metti i soldi – sono delle bestie da somma da sfruttare, e basta) ma per non buttare via soldi inutili lavorando “a cazzo di cane” senza un preciso programma. (Non scordare che anche nel più misero degli sets, ci saranno almeno 6 o 7 persone, tra fotografo, aiutante fotografo, quelli chi si occupano di posizionare luci, un paio di persone che su occupano del trucco, e uno o due ragazzi che servano solo a curare e spostare l’equipaggiamento.) C’è anche il fatto che non tutti gli attori parlavano la stessa lingua (come nei film di oggi che usano attrici russe, ungheresi, polacche in una produzione francese o tedesca; infatti quando vedi i “behind the scenes” è un babele di istruzioni date in una lingua franca monosillabica abbozzata, accompagnata da gesti). Ed è improbabile che, nei fumetti porno, un regista perdeva tempo ad aiutare gli attori a “calarsi nella scena” anziché dire semplicemente “adesso devi sembrare arrabbiato” o “adesso fai finta di avere un orgasmo”. Questi fotoromanzi non erano delle riprese per il cinema “mainstream” con grandi attori di mestiere; con poche eccezioni le attrici porno, specie negli anni ’70 e ’80, erano prostitute, escorts, stripteuses, fotomodelle, o semplicemente delle ragazze carine cui servivano dei soldi e che rispondevano ai reclame nei giornali specializzati. Insomma, improbabile dunque che un regista fosse stato lì a dire “Allora, cara, in questa scena tu devi dire questa frase, mentre ti passa questo pensiero per la mente”; mica stanno girando Shakespeare con attori usciti dalla Royal Academy. Più probabile l’istruzione tipo “OK, adesso stai lì a carponi e resta assolutamente ferma per non rovinare la messa a fuoco, mentre lui si sega e ti sborra sulle chiappe”.

Non scordare la frase cinica della Karen Lancaume in un’intervista pronunciata nel porno-documentario
Exhibitions in cui si lamentava che “Alla fine ero lì, ricoperta di sperma, faceva un freddo cane, e nessuno si è nemmeno prestato per offrirmi un asciugamano. Non appena quelli dell’
équipe finiscono la scena, tu non vali niente, sei uno zero totale”. E Sharon Mitchell che disse “Dopo la sborrata stai lì sporca, l’attore con cui ha appena scopato non ti guarda nemmeno, sia lui che i tecnici fanno i cazzi loro e non ti aiutano nemmeno ad alzarti. Se io non arrivavo sul set con il mio ragazzo o con un’amica che ti aiuta magari a raccogliere i tuoi vestiti, non mi avrebbe cagato nessuno”.
Partiamo dalla logistica della regia. Prima cosa, le diverse scene non vanno girate nell'ordine in cui si svolge la storia, ma nemmeno i singoli panelli vengono fotografati nell’ordine che li vedi all’interno di una stessa scena. Ad esempio, se più scene si svolgono in un certo ambiente – una villa, un ristorante, una camera d’albergo, qualche esterno – allora girano tutte quelle scene di fila, nello stesso giorno, anche se coinvolgono attori diversi. Mica giravano una scena iniziale in una villa lunedì, per poi tornarci mercoledì per una scena che si svolge alla fine del romanzo. Questo perché sono ambienti che vanno affittati (o per i quali vanno richiesti permessi per girare), oppure richiedono un’impostazione anche complicata di luci e di pannelli riflettori. Poi c’è da programmare lo
schedule degli attori per raccogliere nel modo più efficiente le presenze simultanee (e di evitare presenze inutilizzate) – gli attori vanno pagato non solo “a scena” ma anche “a giornata”, dunque vuoi evitare di pagare una mezza giornata dove uno degli attori resta senza far niente. Infine, c’è il problema luci (soprattutto all’epoca, prima delle camere digitali da alte prestazioni, dove – come oggi – puoi praticamente scattare a lume di candela o comunque a luce naturale e vedere anche subito la qualità), e il fatto che dovevi scattare una moltitudine di immagini di ogni posa per essere certa che, quando venivano sviluppate le pellicole, avevi sempre almeno un paio di scatti per ogni panello che andavano bene (se l’attrice magari batteva le ciglia proprio nel momento dello scatto, oppure c’era un temporaneo riflesso da una finestra che non avevi notato sul momento, dovevi attendere più ore per capire che lo scatto era rovinato). Specie negli interni e nei locali che non erano degli “sets” con banchi di luce pre-impostati (bensì, ad esempio, in un ristorante vero, affittato magari dall’ora di chiusura fino all’alba) non potevi girare una scena immaginando che il fotografo forse diceva “OK, mettetevi a scopare che io intanto giro attorno e vi scatto”. Invece, s’impostavano le luci per poter riprendere gli attori magari visto dal basso e da sinistra, e si scattavano tutte i fotogrammi previsti da quei panelli; poi si reimpostava il tutto e si riprendevano le immagini previste a medio piano da destra, ecc ecc. E così magari mentre tu leggi una scena nella sequenza 1-2-3-4-5 ecc, è stata invece scattata nell’ordine 3-4, 9-10, 15-1, 6-7, ecc. Questo vale anche per le sborrate. Dave Cummings (regista attore californiano) raccontava che la prima cosa che filmava, in una scena che richiedeva due sborrate, era il “facial” finale, quando l’attore (cui veniva detto di “astenerti per un paio di giorni prima di venire sul set”) doveva dare il massimo del volume. Peter North (secondo un suo collega) era buono per una sola sborrata “copiosa” ogni paio di giorni, e dunque le riprese che lo coinvolgevano andavano programmate di conseguenza (se invece, per esigenza di budget, doveva girare due scene nella stessa giornata, la seconda sborrata era sovente relativamente miserina; vedi ad esempio
Smart Ass oppure
Pumping Irene 2, dove lui ha due scene girate chiaramente nello stesso giorno in ambienti presi in affitto — una villa, una palestra — e si capisce benissimo, dal volume di semenza, quale delle scene fu girata per prima

). Dunque, nella suddetta “sceneggiatura / storyboard” sarà stata anche indicata quale scena doveva avere una sborrata d’eccezione, e la si fotografava per prima. Se il copione richiedeva più sborrate nella scena, naturalmente si doveva programmare la giornata per avere due o tre ore a disposizione (e decidere quali delle sborrate sarebbero state di “minor portata”) oppure subentrava il vecchio vizio delle sborrate simulate (che non vediamo – infatti le “cream pies” sono nate per la finzione cinematografica – oppure con l’impiego della sborra finta – di cui Brigitte Lahaie, divertita, diede pure la ricetta in una intervista anni fa). Infine, c’è anche il fatto che (in quella lontana epoca pre-Viagra) si doveva anche tener conto della durata dell’erezione e la capacità degli attori di provvedere velocemente a “rialzarsi”, per organizzare la ripresa con l’asta bella tosta al momento giusto. Ultimo dettaglio (che spiega anch’esso le scene con sborrata simulata o la sua assenza del tutto), sempre legato alle spese dell’impresa, era quello di girare simultaneamente diverse scene da fotoromanzo quando si avevano a disposizione attori, locale affittato, ed
équipe: ecco spiegato a esempio perché in un numero di
Supersex vediamo magari una scena con Tina Loren, Gabriel Pontello e altro attore dove sborra Pontello ma non l’altro attore, poi in un numero dei
Fotoromanzi Porno uscito magari quello stesso mese, vediamo il medesimo (altro) attore con Tina Loren che porta la stessa pettinatura, stesso vestito, girato in esattamente lo stesso ambiente della scena di
Supersex, ma questa volta, l’altro attore sborra. Venivano programmati, per così dire, “a catena di montaggio”.
Dal punto di vista degli attori (come ho accennato sopra), nulla di più freddo, distaccato, o “clinico” che girare queste scene “da fermo” (a differenza dei filmati dove devono, in effetti, scopare in modo “animato”). Le pose vanno tenute ferme per non compromettere la messa a fuoco (cosa ancora più delicata usando il bianco e nero che non quando si fotografa a colori). Non stento per nulla a credere a quella moltitudine di attrici che hanno detto, in più interviste, “Io non ho mai avuto un orgasmo sul set”; mi è invece più difficile credere a quelle che (per solleticare i loro
fans) affermano l’opposto! Per fartene un’idea, guarda ad esempio alcuni dei “Private Woodman Castings” dove filmano le riprese di una “session” destinata ad una rivista patinata di alta qualità (quelle con Bettina o con Julia Tchernei sono esempi classici). Per assicurare la massima della ripresa fotografica ad alta definizione l’attrice resta assolutamente ferma (magari con un cazzo infilato in culo) mentre i maschi assumano pose plastiche e il fotografo scatta una ventina di foto da una postazione, prima di far cambiare la posa degli attori; e alla fine lei si atteggia con la “faccia da estasi” – ma sempre fermissima come un manichino – mentre prima un attore, poi l’altro si segano furiosamente per poi restare immobili anche loro mentre schizzano e il fotografo riprende velocissimo una quantità di scatti, per captare i getti. Di erotico in tutto questo, per gli attori, non c’è proprio nulla.
In un articolo apparso sulla rivista di economia
Forbes (incredibile ma vero), il regista Seymore Butts disse che “la parte più difficile per l’attore maschile nel porno è farsi venire l’erezione. Devi poter essere ‘duro’ nel momento preciso in cui te lo richiedono per non far perdere tempo costoso a tutti, lo devi poter fare nelle condizioni più difficili, non ultimo perché spesso non ti trovi minimamente attratto all’attrice con cui devi recitare (e anche lei non ti caga minimente, a livello personale), devi fare sesso in condizioni difficili come nelle stanze troppo fredde o calde, o su delle superficie dure, in pose contorte o scomode, ma soprattutto perché devi fermarti e poi riprendere costantemente mentre viene reimpostato l’equipaggiamento di ripresa”. Una mia conoscenza di 35 anni fa il quale, per tirare giù qualche soldo mentre studiava in Germania, aveva partecipato a una manciata di “loops” e di fotoromanzi girati ad Amburgo, mi ha raccontato la freddezza con cui il tutto veniva fatto (per non parlare della sporcizia degli ambienti, altro dettaglio che lo ha lasciato con una ricordo tutt’altro che erotico dell’esperienza), nonché il distacco delle attrici (spesso rintontiti dalla droga) e i tipi loschi che giravano nell’ambiente (quelli che ci mettevano il finanziamento e che spesso si aspettavano che le “attrici”, finte le riprese, avrebbero dato delle “prestazioni” anche a loro, gratis, lontani dalle macchine da presa), al punto di dirmi che per tenersi eretto durante le riprese, lui si concentrava a pensare ad una sua ex fidanzata. Te lo immagini? Sei lì a trombare magari con Cathy Menard ma per tenerti duro devi chiudere gli occhi a pensare alla Mariella Concettina che ti aveva tirato una sega dietro casa quand’eravate al liceo…. (

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Grazie ancora,
ultron, per lo splendido edito, e
pontellino, per l'ottimizzazione grafica!