La seduzione come forma di propaganda nazista.

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Drogato_ di_porno
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#16 Messaggio da Drogato_ di_porno »

Rodomonte ha scritto:Allora io che seduco e "accumulo" passando ad un0altrasenza mollare le precedenti, non sono un "seduttore"???? Sono solo un "accumulatore"???:)
Posizione interessante rodomonte. Il seduttore mentale detesta lo sforzo fisico. L' ammirazione della donna gli basta e appaga la sua vanità . La scopata fondamentalmente lo annoia.

Tu invece? "accumuli"?
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nik978
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#17 Messaggio da nik978 »

Drogato_ di_porno ha scritto:
Rodomonte ha scritto:Allora io che seduco e "accumulo" passando ad un0altrasenza mollare le precedenti, non sono un "seduttore"???? Sono solo un "accumulatore"???:)
Posizione interessante rodomonte. Il seduttore mentale detesta lo sforzo fisico. L' ammirazione della donna gli basta e appaga la sua vanità . La scopata fondamentalmente lo annoia.

Tu invece? "accumuli"?
verissimo..un mio amico era un maestro in questo..(ora e' impegnato con una ex teen che a quanto pare sia operativissima..e beato lui..)

si sbatteva e non poco..poi arrivato al dunque se non gli paiceva si defilava...un MAESTRO..ho imparato molto da lui...qualunque morto di figa dovrebbe vedere uno come lui all'opera..

seduzione pura..solo per il gusto di sedurre...poi quando al 100% ci sta..n on si fa il passo finale..


questa e' grandezza e seduzione..altroche'..
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ibist
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#18 Messaggio da ibist »

concordo con nik...il gusto è fottere il cervello delle invertebrate ....poi muoversi a stantuffo e darle pure piacere mi annoia....
lo stendardo è una semplice chiave....
fa capire che io "CHIAVO"....nulla di politico.....

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Rodomonte
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#19 Messaggio da Rodomonte »

Ebbene si io accumulo..... certo man mano alcune si perdono per strada, ma devo dire che è sempre spiacevole perdere delle persone per strada, ma è inevitabile. Naturalmente solo donne che mi interessano....... A titolo informativo nel periodo aureo avevo "accumulato" circa una dozzina di "amiche" in contemporanea, e quasi tutte sapevano di questo mio diciamo "hobby/piacere". Alcune durano ancora e si parla di 20/30 anni quelle di più lunga durata:)
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#20 Messaggio da Rodomonte »

Fasce di età ?..... io intorno ai 45...... le amiche dalla più piccola allora 22enne, alla più grande allora 50enne circa!:)
Seduzione?..... beh alcune erano innamorate e di queste un paio lo sono ancora...... altre siamo rimasti amici, altre sono semplicemente andate. Ora il sesso solo con poche peró molta amicizia è rimasta!
uaNon so se c'entra la seduzione o meno, di sicuro sono sempre, o quasi, stato io a fare il primo passo e a cercare di "conquistare".
Comunque è bello "accumulare":):):)
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#21 Messaggio da Il Fede »

Sarà  anche da stronzi, peró è divertente assai sedurre, lasciar credere di non intaccare l'istinto o il pensiero altrui mentre in realtà  si comanda il simpatico giuochino. La scopata finale io non la disdegno ( altrimenti non perderei tempo nemmeno a sedurre ), peró sono d'accordo anche con chi dice che sedurre puó essere anche più divertente che scopare.
Osservandola, perfino Ratzinger si convincerebbe di quanto sia necessario l'uso dei contraccettivi ( Matt Z Bass ).

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#22 Messaggio da Rodomonte »

SEdurre senza scopare? senza sesso? ......bleah! è solo per maniaci sessuali!, pervertiti del pensiero, tanto per vedere se sei in gardo di "conquistare"......
Meglio molto meglio farlo per piacere per sapere che ci potró godere e tanto con quella persona, e soprattutto farla godere e non sedurla e poi lasciarla così con un palmo di naso.......... è solo egoismo sadico PPPPP
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#23 Messaggio da Il Fede »

Non è egoismo, quando mi accorgo di piacere a qualcuno/a la mia autostima sale. Sedurre è un esercizio di stile, perchè in fondo con l'applicazione e lo studio posso arrivare a sedurre chi mi interessa veramente. Comunque son troppo pigro, se qualcuno non mi interessa stai tranquillo che non lo cago :)
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#24 Messaggio da Drogato_ di_porno »

Ma sì infatti, quando ti ami da solo, che te ne fai dell' amore degli altri?
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#25 Messaggio da nik978 »

Drogato_ di_porno ha scritto:Ma sì infatti, quando ti ami da solo, che te ne fai dell' amore degli altri?
ahi ahi..occhio

uesta e' una gabbia seducente..
amarsi troppo ti porta ad avere le spalle ENORMI e gestirti il rapproto con le donne con uan freddezza e una capacita' di recupero di eventuali 9rari) 2 di picche valutabile in pochi minuti..

ma come dettoprima una relazione e' anche sinonimo di stabilita' e se esistono le premesse per un rapporto solido non va evitata..

amandosi da solo (cosa che io purtroppo faccio..sono sposato col mio lavoro e me stesso) il rischio di restare soli per sempre non e' basso.
(poi ci mancherebbe..vivere in pace da soli per sempre..e morire da soli, se non si hannor impianti, e' bellissimo...)
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#26 Messaggio da balkan wolf »

la seduzione senza la scopata serve per tirarsela di bruttissimo e tornare a scopare senza sedurre ( la vera via del sesso ) senza sentirsi troppo sfigosi


solito discorso di sesso come affermazione sociale vs sesso come affermazione spirituale

don giovanni che fa il catalogo europeo vs casanova che studia le fasi lunari per martellare di più tanto per capirci

pvv. le due cose convivono si bilanciano e non si escludono ma si tende sempre al tipy A o al type B imho
“Quando il treno dei tuoi pensieri sferraglia verso il passato e le urla si fanno insopportabili, ricorda che c’è sempre la follia. La follia è l’uscita d’emergenza!”
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#27 Messaggio da Mavco Pizellonio »

Il seduttore descritto da Drogato appartiene a un sottoinsieme della più ampia categoria del narcisismo. Per quanto questo termine possa sintetizzare caratteri anche molto diversi tra loro, esistono delle caratteristiche minime comuni. Una di queste è la ricerca - quando non la lotta - per il potere. Il fatto che sedurre voglia dire esercitare un potere è abbastanza evidente. Inoltre spiega un elemento su cui molti di voi si sono ritrovati d'accordo, e cioè che la consumazione dell'atto sessuale non è strettamente necessaria, una volta avuta la certezza che il nostro potere seduttivo "ha vinto". Per alcuni individui la cosa non vale, e il potere che si desidera esercitare ha caratteristiche particolarmente fisiche ("falliche"), e "fottere" la donna risulta indispensabile (tanto che qui accade piuttosto il contrario: non è necessario sedurre la donna, la si puó anche pagare. L'importante è esercitare una superiorità  prettamente fisica. Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti, iscritte a questo forum e aventi per avatar la foto di una nota pornostar italiana è puramente casuale.).

Io non amo sedurre nel modo sopra descritto. La reazione spontanea di fronte all'interesse di una ragazza è l'allontanamento. Un po' perchè mi spaventa il potere - la responsabilità  del potere - del quale vengo investito, e un po' perchè "io non vorrei mai appartenere a un club che contasse fra i suoi membri uno come me". Ma sono un narcisista, e anch'io ricerco il potere. Altre forme di potere, altre forme di seduzione. Per me è necessario essere - o apparire, differenza che per un narcisista tende ad assottigliarsi ("Il seduttore è l' uomo proiettato nell' esteriorità ", verissimo drogato) - intelligente.
Il mio stile è vecchio
come la casa di Tiziano
a Pieve di Cadore

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#28 Messaggio da dostum »

ZOMBI NAZISTI ARRAPATI

Il prolifico tema degli zombi nazisti ha dato il suo frutto anche in quel di Francia.
In un paesino della campagna francese, a pochi anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, efferati omicidi vengono compiuti ai danni di giovani donne che si avvicinano incautamente al "lago maledetto dei maledetti" (così lo chiama il sindaco), situato in prossimità della casa-maniero del primo cittadino. A compiere la mattanza è un gruppo di non-morti in divisa da soldato tedesco: essi erano nazisti trucidati dalla Resistenza, che aveva nascosto i cadaveri nel lago. Dopo che molte ingenue e disinibite ragazze (le scene di nudo, a volte a carattere quasi ginecologico, non si contano) perderanno la vita, gli abitanti riusciranno a liberarsi del gruppo di assatanati non-morti sfruttando cinicamente l'amore paterno di uno di essi, che ritrova la figlioletta avuta prima di morire da una ragazza del paese.
Il solo fatto di aver pensato che uno degli zombi possa andare a cercare post-mortem la figlia e che la protegga con tanto di scazzottata con un altro zombie (episodio forse del tutto inedito nella storia del cinema) è il sintomo del delirio che ha animato il regista di questo filmbrutto doc. Il senso del ridicolo che permea la pellicola è dovuto in gran parte alle molte scene subacquee, vero piatto forte del film: oltre del fatto che esse sono state palesemente girate in una piscina dove è stata buttata qualche foglia qua e là per tentare pateticamente un misero raccordo ambientale con il sudicio laghetto, lo spettatore potrà anche godere degli spasmi dei poveri attori, portati al limite dell'apnea per rendere più avvincenti le scene di emersione dal lago.
Ma non basta, perchè gli zombie di questo film sono probabilmente i più ridicoli mai apparsi su celluloide: faccia dipinta di verde, trucco che stinge di continuo macchiando la pelle delle vittime, espressioni facciali imbarazzanti, movimenti goffissimi ed impacciati che sono la metafora tangibile della lentezza disarmante di questa pellicola.
La ripetitività del film è fortunatamente spezzata da alcune scene madri, come quella dell'aggressione di gruppo ad una squadra di basket femminile in gita al laghetto, o quella del colloquio fra il sindaco ed una inutile giornalista, nella quale una delle luci di scena si spenge per poi riaccendersi qualche istante dopo, dando vita ad un macroscopico effetto luce-ombra-luce clamoroso. Notevole è anche l'irruzione degli arrapatissimi zombie (mirano solo alle donne!) nel bar del paese, dove l'assurdità dei loro movimenti raggiunge l'apice del ridicolo.

[img:dfad60f18c]http://www.filmsayong.com/pics/review/z ... ke1980.gif[/img:dfad60f18c]
Ultima modifica di dostum il 25/11/2007, 1:46, modificato 1 volta in totale.
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#29 Messaggio da Drogato_ di_porno »

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#30 Messaggio da dostum »

Torino: Einaudi. 2007 [IMG] Libro importante e impegnativo, come si può intuire dalla mole (956 pagine) e dalla bella copertina che riproduce un'opera di Lucio Fontana. Libro anche discusso e indigesto, che non si può definire bello, anche se la densità della scrittura è del tutto funzionale alla narrazione. A me è piaciuto molto e ne consiglio vivamente la lettura, anche se richiede coraggio tanto per l'asprezza dei temi sia per le asperità stilistiche. Anche la recensione sarà lunga, e vi prego di avere pazienza. Cominciamo con il riassunto che ne fa lo stesso editore. Nato in Alsazia da padre tedesco e madre francese, Maximilien Aue dirige sotto falso nome una fabbrica di merletti nel nord della Francia. Svolge bene il suo lavoro, è un uomo preciso ed efficiente. Preciso ed efficiente, del resto, lo era stato anche negli anni del nazismo, quando fra il 1937 e il 1945, aveva fatto carriera nelle SS in Germania. Pur essendo un nazionalsocialista convinto, il giovane e brillante giurista era entrato per caso nel corpo, punta di diamante del Reich hitleriano: fermato dalla polizia dopo un incontro omosessuale, aveva accettato di arruolarsi per evitare la denuncia, grazie anche all'intercessione di Thomas Hauser, un giovane ufficiale che in seguito sarà sempre al suo fianco nei momenti decisivi. Nel 1941 Max è sul fronte orientale, dove nell'ambito delle Einsatzgruppen dà il suo contributo al genocidio di ebrei, zingari e comunisti. Trasferito nel Caucaso e poi nella Stalingrado accerchiata dall'Armata rossa, sopravvive miracolosamente a una grave ferita alla testa. Durante la convalescenza ristabilisce per la prima volta dopo molti anni i contatti con la madre che vive in Costa Azzurra con il secondo marito, un uomo d'affari francese. A lei attribuisce, con odio feroce, sia la scomparsa del padre, sia il distacco da Una, la sorella gemella, alla quale sin dall'infanzia è legato da un mai risolto rapporto incestuoso(hanno fatto assieme 2 figli). I fatti sanguinosi legati a questo soggiorno in Costa Azzurra rimangono anche per lui avvolti in una fitta nebbia. Dopo il rientro in Germania, lavora a stretto contatto con Himmler, con Speer, con Eichmann, con tutta la gerarchia nazionalsocialista, cercando di innalzare la produttività dei detenuti nei campi di concentramento. Per la Germania tuttavia, la guerra ormai è persa, la Wehrmacht arretra su tutti i fronti: nel corso di una licenza in Pomerania nella villa della sorella, Max resta intrappolato dietro le linee nemiche. Thomas lo salva anche in questa occasione e insieme raggiungono la capitale del Reich, devastata dai bombardamenti alleati. Qui, al crepuscolo del nazismo, gli viene in aiuto il suo bilinguismo: assumendo l'identità di un francese deportato in Germania, riesce a fuggire. Grande affresco epico e tragico, non romanzo storico, ma storia assoluta in cui sembrano condensarsi i temi di tutta la letteratura occidentale, dall'Orestea di Eschilo a Vita e destino di Vassilij Grossman, Le Benevole ci fa rivivere gli orrori della Seconda guerra mondiale dal punto di vista terribile e ripugnante dei carnefici. Trascinato dalla corrente della Storia e inseguito da fantasmi che, come le furie «benevole» dei Greci, le Eumenidi, cercano vendetta, Maximilien Aue è parte di noi, la parte più nera. E forse l'impresa e lo scandalo di questo grande romanzo, come ha scritto lo storico Pierre Nora, sono proprio quelli di «ricondurre all'umano l'inumano totale». Poi vorrei suggerirvi due recensioni d'altri che ho trovato pertinenti, quella di Wu Ming 1 comparsa su Carmilla e su L'Unità (Nessuno è immune dal diventare nazista) e quella di Emanuele Trevi comparsa su il manifesto del 31 ottobre 2007 (Monologo d'un pazzo all'ombra delle Furie). Poiché il manifesto non mi consente di ripubblicare l'articolo (vergogna! ma questa è un'altra storia...), riporto alcuni passi che mi sembrano significativi: Poiché non c'è alcuna differenza ontologica tra le Furie o Erinni e le Eumenidi, le Benevole, non bisogna lasciarsi ingannare: tra le pagine del romanzo le Eumenidi, divinità sorridenti e dispensatrici di pace, non si sostituiscono alle Furie che tormentano Oreste dal momento in cui ha sparso il sangue di sua madre, perché ciò che cambia è solo l'atteggiamento che queste divinità - antichissime, pre-olimpiche, figlie della Notte, legate al regno dei morti e al mondo sotterraneo - assumono nei confronti dei mortali e delle loro colpe. Perciò, tutto il discorso di Maximilien, nonostante la sua programmatica freddezza e la macabra ironia che volentieri si concede, è da intendersi come pronunciato all'ombra delle Furie, inchiodato al loro tormento. [...] il nodo decisivo del suo destino consiste in un paradosso: convinto sostenitore delle teorie razziali naziste, Maximilien è un sangue misto, tedesco per parte di padre ma francese di madre (glielo farà notare, con un pizzico di disapprovazione, Himmler in persona, uno dei tanti sommi gradi della gerarchia del Reich che entrano in veste di personaggi nel libro di Littell). Dunque la lingua madre del futuro matricida non è il tedesco ma il francese, ed è appunto in francese che Littell ha concepito e realizzato la confessione del suo personaggio a noi «fratelli umani». Di tutti gli elementi agghiaccianti contenuti nel libro, il francese usato da Maximilien non è certo il meno perturbante. Al tedesco del padre perduto il testo riserva solo una parte ben delimitata, quella del lessico parlato dalla gerarchia nazista e usato per nominare le tecniche dello sterminio di massa, a sigillo di una unicità che è anche intraducibilità . La scelta linguistica dello scrittore (americano di origine, nato nel 1967 a New York e cresciuto in Francia) funziona come una immensa figura retorica, una specie di effetto teatrale capace di conferire al discorso una ulteriore connotazione macabra e visionaria. [...) Miracolosamente sopravvissuto al proiettile che gli ha trapassato la testa da parte a parte, Maximilien interpreta ben presto quel buco che gli è rimasto sulla fronte come un terzo occhio, la chance di una vista ulteriore - forse assimilabile a quella che Leo Sestov, in un saggio famoso su Dostoevskij, attribuiva al passaggio dell'angelo della morte. Maximilien definisce a più riprese «pineale» questa seconda vista, e conviene approfondirne il significato per non farsi sfuggire la metafora rivelatrice che nasconde. L'occhio pineale, in effetti, è un organo generato dall'epifisi, paragonabile a un occhio vero e proprio e presente in certe antichissime razze di rettili. Quella che si risveglia nello sguardo di Maximilien è dunque una specie di latenza bestiale e primordiale, che somma in sé la velocità e l'indifferenza del predatore. Puntualmente, in questo modo di vedere si rispecchia il modo di raccontare, un modo in cui ogni criterio di rappresentazione finisce per assoggettarsi alle necessità dettate dalla paura, dal desiderio, dal bisogno. Maximilien è dotato di un occhio-diaframma, una finestra che mette in relazione l'interno con l'esterno, la vita nuda e la Storia, il sintomo e il paesaggio, tutto accomunando e rendendo indistinto nelle macabre tinte di un orrore irrimediabile. E questa vista ulteriore è anche, dalla prospettiva della tecnica romanzesca, uno straordinario punto di vista, che struttura alla sua maniera la vastissima architettura dell'intreccio, quel suo afflato epico così intimamente corrotto, così sgradevole, così privo di onore e compassione che anche la geografia vi appare come una ulteriore patologia. [...] Se in questo libro è implicita una qualche forma di intento pedagogico, esso sembra consistere nella constatazione per cui più ci addentriamo in un mondo che siamo costretti a riconoscere come il nostro stesso mondo, più desideriamo che esso non sia mai esistito, non sia mai stato creato. Condurci fin qua non è impresa di poco conto per uno scrittore. E fermo restando il fatto che si farà sempre in tempo a cercare i peli nell'uovo di un libro così ambizioso e generoso, con altrettanta intemperanza, e correndo i rischi che sempre ci impongono le opere dei nostri contemporanei, dirò che mi sembra del tutto lecito riconoscere nelle Benevole il timbro e la necessità di un capolavoro. Al di là degli eccessi di erudizione (ragazzi, è pur sempre una delle spesso illeggibili pagine culturali de il manifesto - che peraltro non sfugge alla logica "parcondicista" di affiancare a questa recensione entusiasta una stroncatura), sono sostanzailmente d'accordo con questa analisi. Quindi, non aggiungerò altro per dare spazioa a qualche pagina del libro. Cominciamo dall'incipit (tutto il primo capitolo, Toccata, meriterebbe di essere citato): Fratelli umani, lasciate che vi racconti com'è andata. Non sia­mo tuoi fratelli, ribatterete voi, e non vogliamo saperlo. Ed è ben vero che si tratta di una storia cupa, ma anche edificante, un ve­ro racconto morale, ve l'assicuro. Rischia di essere un po' lungo, in fondo sono successe tante cose, ma se per caso non andate trop­po di fretta, con un po' di fortuna troverete il tempo. E poi vi ri­guarda: vedrete che vi riguarda. Non dovete credere che cerchi di convincervi di qualcosa; in fondo, come la pensate è affar vostro. Se mi sono deciso a scrivere, dopo tutti questi anni, è per mette­re in chiaro le cose per me stesso, non per voi. A lungo uno stri­scia su questa terra come un bruco, nell' attesa della diafana e splen­dida farfalla che porta in sé. E poi il tempo passa, la ninfosi non arriva, rimani larva, desolante constatazione, ma che farci? Cer­to, il suicidio resta un' opzione. Ma per la verità , il suicidio mi ten­ta poco. Ci ho pensato molto, ovviamente; e se dovessi ricorrervi, ecco come farei: mi piazzerei una bomba a mano proprio sul cuo­re e me ne andrei in un violento scoppio di gioia. Una piccola bom­ba a mano rotonda a cui toglierei con delicatezza la sicura prima di rilasciare la linguetta, sorridendo al lieve rumore metallico del­la molla, l'ultimo che sentirei, oltre ai battiti del mio cuore nelle orecchie. E poi, finalmente, la felicità , o perlomeno la pace, e le pareti dello studio addobbate di brandelli di carne. Toccherà alle domestiche pulire, sono pagate per questo, affari loro. Ma come ho detto, il suicidio non mi tenta. Non so perché, del resto, un vecchio residuo di morale filosofica, forse, che mi fa dire che in fondo non siamo qui per divertirci. Per far che, allora? Non ne ho idea, per durare, probabilmente, per ammazzare il tempo prima che lui ammazzi noi. E in tal caso, come occupazione, a tempo per­so, scrivere vale come qualsiasi altra (p. 5). Un incidente di poco conto illuminò d'un tratto quelle crepe che andavano allargandosi. Nel grande parco innevato, dietro la statua di Sevcenko, portavano alla forca una giovane partigiana. Si stava radunando una folla di Tedeschi: Landser della Wehrmacht e Orpo, ma anche uomini dell'organizzazione Todt, Goldfasanen dell'Ostministerium, piloti della Luftwaffe. Era una ragazza piuttosto magra, con un viso alterato dall'isteria, incorniciato dai folti capelli neri, tagliati corti, molto alla buona, come con le cesoie. Un ufficiale le legò le mani, la mise sotto la forca e le passò la corda al collo. Allora i soldati e gli ufficiali presenti le sfilarono davanti e la baciarono sulla bocca a uno a uno. Lei rimaneva in silenzio, tenendo gli occhi aperti. Alcuni la baciavano affettuosamente, quasi castamente, come scolaretti; altri le tenevano la testa con entrambe le mani per aprirle a forza le labbra. Quando fu il mio turno, mi guardò, uno sguardo chiaro e luminoso, lavato da ogni cosa, e vidi che lei, lei capiva tutto, sapeva tutto, e di fronte a quel sapere così puro esplosi in fiamme. I miei vestiti crepitavano, la pelle del ventre si spaccava, il grasso sfrigolava, il fuoco mi ruggiva nelle orbite e nella bocca e ripuliva l'interno del cranio. La vampata era cosi intensa che lei dovette distogliere il capo. lo mi calcinai, i miei resti si trasformavano in statua di sale; dei pezzi, raffreddatisi in fretta, si staccavano, prima una spalla, poi una mano, poi metà della testa. Infine crollai completamente ai suoi piedi e il vento spazzò via quel mucchio di sale e lo disperse. Già si faceva avanti l'ufficiale successivo, e quando furono passati tutti, la impiccarono. Riflettei per giorni su quella strana scena; ma la riflessione si ergeva di fronte a me come uno specchio, e mi rimandava sempre soltanto la mia immagine, capovolta, certo, ma fedele. Anche il corpo di quella ragazza era per me uno specchio. La corda si era rotta o era stata tagliata, e lei giaceva nella neve del giardino dei Sindacati, con la nuca spezzata, le labbra gonfie, un seno nudo rosicchiato dai cani. La sua capigliatura ricciuta le formava una cresta da medusa intorno al capo e mi sembrava favolosamente bella, insediata nella morte come un idolo, Nostra Signora delle Nevi. Qualunque itinerario scegliessi per andare dall'albergo ai nostri uffici, la trovavo sempre sdraiata sulla mia strada, una domanda ostinata, ottusa, che mi gettava in un labirinto di vane speculazioni e mi faceva perdere il controllo. Durò per settimane (p. 175). Penso che possa bastare. Ci sono molto pagine come questa, intollerabili e memorabili. Alcune sembrano avere una vita a sé, come quella del vecchio ebreo che ha visto il luogo dove dovrà morire... Leggetelo da soli. Un'idea dell'affascinante mistura di fredda osservazione e di delirio che percorre il romanzo penso di avervela data

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