[O.T.] Aria di fascismo
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Re: [O.T.] Aria di fascismo
Sarà stato Baalkaan?
L’audace colpo dei soliti ignoti sarebbe avvenuto tra maggio e giugno. Dall’Archivio Centrale di Stato all’Eur — l’immensa sede di gran parte della documentazione proveniente dagli organi di Stato — sono stati trafugati 970 labari della marcia su Roma, la «prova di forza» che il 28 ottobre 1922 portò al potere Mussolini. Un furto denunciato ai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico da Elisabetta Reale, direttrice dell’Archivio sino all’avvicendamento, già previsto dal Mibact, con Stefano Vitali poche settimane fa. Ciascuno di quei pezzi può essere venduto a cifre tra i 1.000 e i 10.000 euro, per un «bottino» — è la stima di qualche «insider» — sui cinque milioni. Per questo è assai probabile che dietro la razzia ci sia l’interesse dei collezionisti e c’è chi scommette che i cimeli si vedranno in giro tra un paio d’anni, magari in vista del centenario della marcia degli squadristi. L’ipotesi di un investigatore del Reparto operativo è che il trafugamento sia avvenuto «in modo graduale»; improbabile, dunque, che i gagliardetti siano stati portati via «nello stesso momento». Non è esclusa la «talpa», qualcuno che all’Archivio — un «bunker» con chilometri di scaffali zeppi di documenti microfilmati — conosceva tutto: posizione delle telecamere, allarmi, le stanze in cui gli stendardi erano custoditi. L’attuale direttore Stefano Vitali (tra i maggiori esperti di archivistica in Italia, oltre 120 pubblicazioni), interpellato dal Corriere. non parla dell’inchiesta — «c’è il segreto istruttorio» — però osserva che «ogni reperto era stato perfettamente inventariato e fotografato». Ciò vuol dire che chi ora ha in mano quei labari trafugati è passibile quantomeno di ricettazione. Il materiale era custodito in un sotterraneo nel cuore dell’Eur, elegante quartiere romano costruito durante il Ventennio per celebrare l’Esposizione universale prevista nel 1942 che non si tenne per via della guerra.
Le cento casse
«Memorabilia» che facevano parte di una mostra sul fascismo ideata nel 1928 da Dino Alfieri, ex ministro della Cultura popolare in uno dei governi Mussolini. In tutto 20 mila «pezzi» tra documenti, libri e foto, oggetti come la stampella di Enrico Toti, camicie nere, elmetti, armi e divise indossate dagli squadristi. Tutto custodito in cento casse (assieme a una poderosa documentazione di cui si sa poco, giunta da altri uffici dello Stato e richiesta espressamente dal Duce) che fecero la spola tra Roma e Salò fra il 1944 e la fine del conflitto. Durante i trasferimenti parte del contenuto sparì. Forse venduta o prelevata dagli «007» alleati, interessatissimi ai segreti della Rsi e del regime. Quanto a libri e giornali, il commissario liquidatore della mostra, il grande matematico, pedagogo e partigiano Lucio Lombardo Radice provvide a darli alla Biblioteca nazionale di Roma. «ll resto del materiale finì invece all’Eur», racconta Pietro Cappellari, direttore della biblioteca di storia contemporanea «Coppola» di Paderno (Forlì) che su quei cimeli voleva pubblicare un libro per Herald editore. «Chiesi i permessi per le foto — ricorda il ricercatore — già nel 2013 senza mai ottenere risposta. So che alcuni dei labari erano stati ricamati dalle madri degli squadristi uccisi negli scontri del 1921 e 1922 con socialisti e anarchici. Sui vessilli erano attaccati oggetti personali, bottoni, gradi, addirittura brandelli di stoffa insanguinata. Per averli, c’è chi è disposto a sborsare qualunque cifra».
L’audace colpo dei soliti ignoti sarebbe avvenuto tra maggio e giugno. Dall’Archivio Centrale di Stato all’Eur — l’immensa sede di gran parte della documentazione proveniente dagli organi di Stato — sono stati trafugati 970 labari della marcia su Roma, la «prova di forza» che il 28 ottobre 1922 portò al potere Mussolini. Un furto denunciato ai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico da Elisabetta Reale, direttrice dell’Archivio sino all’avvicendamento, già previsto dal Mibact, con Stefano Vitali poche settimane fa. Ciascuno di quei pezzi può essere venduto a cifre tra i 1.000 e i 10.000 euro, per un «bottino» — è la stima di qualche «insider» — sui cinque milioni. Per questo è assai probabile che dietro la razzia ci sia l’interesse dei collezionisti e c’è chi scommette che i cimeli si vedranno in giro tra un paio d’anni, magari in vista del centenario della marcia degli squadristi. L’ipotesi di un investigatore del Reparto operativo è che il trafugamento sia avvenuto «in modo graduale»; improbabile, dunque, che i gagliardetti siano stati portati via «nello stesso momento». Non è esclusa la «talpa», qualcuno che all’Archivio — un «bunker» con chilometri di scaffali zeppi di documenti microfilmati — conosceva tutto: posizione delle telecamere, allarmi, le stanze in cui gli stendardi erano custoditi. L’attuale direttore Stefano Vitali (tra i maggiori esperti di archivistica in Italia, oltre 120 pubblicazioni), interpellato dal Corriere. non parla dell’inchiesta — «c’è il segreto istruttorio» — però osserva che «ogni reperto era stato perfettamente inventariato e fotografato». Ciò vuol dire che chi ora ha in mano quei labari trafugati è passibile quantomeno di ricettazione. Il materiale era custodito in un sotterraneo nel cuore dell’Eur, elegante quartiere romano costruito durante il Ventennio per celebrare l’Esposizione universale prevista nel 1942 che non si tenne per via della guerra.
Le cento casse
«Memorabilia» che facevano parte di una mostra sul fascismo ideata nel 1928 da Dino Alfieri, ex ministro della Cultura popolare in uno dei governi Mussolini. In tutto 20 mila «pezzi» tra documenti, libri e foto, oggetti come la stampella di Enrico Toti, camicie nere, elmetti, armi e divise indossate dagli squadristi. Tutto custodito in cento casse (assieme a una poderosa documentazione di cui si sa poco, giunta da altri uffici dello Stato e richiesta espressamente dal Duce) che fecero la spola tra Roma e Salò fra il 1944 e la fine del conflitto. Durante i trasferimenti parte del contenuto sparì. Forse venduta o prelevata dagli «007» alleati, interessatissimi ai segreti della Rsi e del regime. Quanto a libri e giornali, il commissario liquidatore della mostra, il grande matematico, pedagogo e partigiano Lucio Lombardo Radice provvide a darli alla Biblioteca nazionale di Roma. «ll resto del materiale finì invece all’Eur», racconta Pietro Cappellari, direttore della biblioteca di storia contemporanea «Coppola» di Paderno (Forlì) che su quei cimeli voleva pubblicare un libro per Herald editore. «Chiesi i permessi per le foto — ricorda il ricercatore — già nel 2013 senza mai ottenere risposta. So che alcuni dei labari erano stati ricamati dalle madri degli squadristi uccisi negli scontri del 1921 e 1922 con socialisti e anarchici. Sui vessilli erano attaccati oggetti personali, bottoni, gradi, addirittura brandelli di stoffa insanguinata. Per averli, c’è chi è disposto a sborsare qualunque cifra».
- OSCAR VENEZIA
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Re: [O.T.] Aria di fascismo
Il fatto che questi oggetti e documenti del regime fascista finirono in mano ai servizi alleati , credo agli inglesi, preoccupo’ sia Togliatti che Nenni che in qualche occasione avevano collaborato con il fascismo e pertanto potevano essere ricattabili.
Tipico modus operandi inglese , gli americani dopo aver occupato l’Italia se ne fottevano di queste cose e si imponevano attraverso il deterrente delle loro forze armate occupanti senza cercare vie traverse.
Tipico modus operandi inglese , gli americani dopo aver occupato l’Italia se ne fottevano di queste cose e si imponevano attraverso il deterrente delle loro forze armate occupanti senza cercare vie traverse.
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Re: [O.T.] Aria di fascismo
estenderei la pacata analisi a chi li vota. E a chi si accaparra i cimeli di quei sbruffoni tragicamente presi sul serioGargarozzo ha scritto: ↑03/08/2020, 15:02Merde schifose
https://m.espresso.repubblica.it/attual ... i-1.318662
Re: [O.T.] Aria di fascismo
Mercato Saraceno, in consiglio comunale una mozione contro il fascismo
„
Il consiglio comunale di Mercato Saraceno ha votato una mozione proposta dal gruppo di maggioranza Semplicemente Mercato Saraceno al fine di ribadire e rinnovare il rifiuto di qualsivoglia fascismo, invitando i richiedenti gli spazi pubblici a riconoscere l’antifascismo.
"Si tratta di una scelta importante, in quanto per la prima volta nella Valle del Savio viene presa una posizione forte da parte dell’amministrazione comunale nei confronti di movimenti e partiti che non rinnegano, ma al contrario, si ispirano alla retorica fascista, acclamando e glorificando figure come Giorgio Almirante (collaborazionista nazista, fondatore del Movimento Sociale Italiano, autore di articoli razzisti ed antisemiti) o Benito Mussolini in persona. La decisione di presentare tale proposta è stata presa dal gruppo di maggioranza in quanto i Consiglieri, la giunta ed il Sindaco ritengono che sia compito delle istituzioni prendere posizioni contro la crescente ondata di sentimenti revisionisti e negazionisti, contro i crescenti episodi di aggressioni e violenze sistematicamente perpetrati da organizzazioni neofasciste (dal 2014 al 2020 sono 207, l’ultimo caso risale al 9 gennaio 2020)".
"L’importanza di una mozione contro il fascismo emerge anche perché è dovere delle istituzioni tutelare la storia da qualsivoglia qualunquismo e semplificazione: l’equiparazione di fascismo, nazismo e comunismo che sempre più frequentemente emerge è uno dei più evidenti tentativi di riscrivere la storia, di racchiudere e ridurre la sua complessità in uno schema al solo scopo di tirarla da tutte le parti per poi finire in uno strano ecumenismo dove tutto diventa simile, in poche parole vorrebbe dire essere complici di un falso storico e di una semplificazione concettuale di cui l’amministrazione comunale non vuole essere complice. La maggioranza ha deciso di portare avanti questa linea di pensiero anche per la fragilità del suo patrimonio storico-culturale: all’interno del Comune di Mercato Saraceno vi è di fatto il complesso di Paderno (da vari anni inserito tra i Luoghi del cuore del FAI) di cui fa parte anche lo studio che durante il ventennio ha ospitato Arnaldo Mussolini. Luoghi del genere vanno tutelati affinché non siano vittime di strumentalizzazioni ed appropriazioni da movimenti e gruppi di estrema destra. e la mozione del gruppo di maggioranza tutela anche luoghi come questo da tali rischi".
"Fa riflettere dunque, la decisione di astenersi dei consiglieri dell’opposizione. Astensione motivata dalla volontà di non sostituire il termine “fascismo” con “totalitarismo”, racchiudendo dunque in sé quella equiparazione e semplificazione di cui si è parlato poco sopra. Non sono mancate le critiche al gruppo di maggioranza e alla decisione di mantenere separate le complessità storiche e i particolarismi, definendo questa decisione come una “strumentalizzazione politica” e di “antifascismo di parte”. Non si tratta tuttavia di strumentalizzazione o di oscurantismo, ma di riconoscere che il fascismo è stato parte della nostra storia, da cui ci siamo rialzati grazie ai moti di resistenza e di liberazione da cui poi sono nati i valori della nostra Repubblica e su cui si basa la nostra Costituzione. Si tratta di prendere parte, dove per parte si intende tra fascismo ed antifascismo".
“
Re: [O.T.] Aria di fascismo
Il caso. Leonardo genio universale: un mito costruito dal fascismo
L'immagine di Leonardo da Vinci genio capace di intuire ogni sorta di invenzione fu modellata dalla propaganda fascista per accreditare il primato della scienza italica
L'ingresso della "Mostra di Leonardo Da Vinci e delle invenzioni italiane" a Milano, nel 1939

Leonardo il più grande genio di tutti i tempi, il campione dell’eccellenza italiana, l’immaginifico inventore-profeta che nel mezzo del Rinascimento anticipa il trionfo tecnologico della modernità. Un vero e proprio mito: modellato dal regime fascista. La cui nascita ha una data e un luogo: 1939, Milano, Palazzo dell’Arte.
Nella sede della Triennale, infatti, dal 9 maggio al 30 settembre di quell’anno veniva allestita la “Mostra di Leonardo da Vinci e delle invenzioni italiane”, il più grande evento espositivo vinciano mai realizzato, in cui vennero presentati molti dipinti, disegni, codici e, costruiti per l’occasione, una grande quantità di modelli di macchine accuratamente tratti dai suoi disegni. In parallelo, i risultati della scienza e della tecnologia italiana.
In piena autarchia, Leonardo assurge a capostipite e campione di una tradizione italica che, dal Rinascimento a Marconi, è destinata a svettare eroicamente su tutti gli altri popoli in veri e propri primati scientifici e tecnologici. Una lettura dall’effetto determinante, al punto da fissare fino a oggi l’immagine di Leonardo. Si tratta di una vera e propria “Costruzione di un mito” come si intitola il convegno organizzato giovedì prossimo a Milano dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci in collaborazione con il Centro internazionale per la Storia delle Università e della Scienza dell’Università di Bologna. Accanto, fino al 6 maggio, la mostra “Leonardo 39” dove, attraverso documenti, volumi, fotografie e oggetti, si ripercorrono genesi e contesto di quell’evento fino alla nascita del museo stesso nel 1953. Il progetto si configura come avvio del percorso che porterà il Museo della Scienza e Tecnologia per il 2019, quinto centenario della morte, alla realizzazione delle Nuove Gallerie Leonardo.

L'immagine di Leonardo da Vinci genio capace di intuire ogni sorta di invenzione fu modellata dalla propaganda fascista per accreditare il primato della scienza italica
L'ingresso della "Mostra di Leonardo Da Vinci e delle invenzioni italiane" a Milano, nel 1939

Leonardo il più grande genio di tutti i tempi, il campione dell’eccellenza italiana, l’immaginifico inventore-profeta che nel mezzo del Rinascimento anticipa il trionfo tecnologico della modernità. Un vero e proprio mito: modellato dal regime fascista. La cui nascita ha una data e un luogo: 1939, Milano, Palazzo dell’Arte.
Nella sede della Triennale, infatti, dal 9 maggio al 30 settembre di quell’anno veniva allestita la “Mostra di Leonardo da Vinci e delle invenzioni italiane”, il più grande evento espositivo vinciano mai realizzato, in cui vennero presentati molti dipinti, disegni, codici e, costruiti per l’occasione, una grande quantità di modelli di macchine accuratamente tratti dai suoi disegni. In parallelo, i risultati della scienza e della tecnologia italiana.
In piena autarchia, Leonardo assurge a capostipite e campione di una tradizione italica che, dal Rinascimento a Marconi, è destinata a svettare eroicamente su tutti gli altri popoli in veri e propri primati scientifici e tecnologici. Una lettura dall’effetto determinante, al punto da fissare fino a oggi l’immagine di Leonardo. Si tratta di una vera e propria “Costruzione di un mito” come si intitola il convegno organizzato giovedì prossimo a Milano dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci in collaborazione con il Centro internazionale per la Storia delle Università e della Scienza dell’Università di Bologna. Accanto, fino al 6 maggio, la mostra “Leonardo 39” dove, attraverso documenti, volumi, fotografie e oggetti, si ripercorrono genesi e contesto di quell’evento fino alla nascita del museo stesso nel 1953. Il progetto si configura come avvio del percorso che porterà il Museo della Scienza e Tecnologia per il 2019, quinto centenario della morte, alla realizzazione delle Nuove Gallerie Leonardo.

- OSCAR VENEZIA
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Re: [O.T.] Aria di fascismo
L’ultima frase sulla colonna e’ difficile da contestare anche perché se provi a metterla al contrario viene quello che siamo oggi.
Il problema è che non e’ necessario un fascista per dire queste cose. Avete buttato il bambino con l’acqua sporca come si dice in politichese
Il problema è che non e’ necessario un fascista per dire queste cose. Avete buttato il bambino con l’acqua sporca come si dice in politichese
- OSCAR VENEZIA
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Re: [O.T.] Aria di fascismo
Collodi era un massone e Pinocchio e’ una favola intrisa di simbologia massonica.
Il fascismo perseguito’ i massoni ma il Gran Consiglio del Fascismo era pieno di massoni
Il fascismo perseguito’ i massoni ma il Gran Consiglio del Fascismo era pieno di massoni
Re: [O.T.] Aria di fascismo
L'affermazione dell automobile in Italia è indissolubilmente legata al fascismo
Monza, 5 agosto 2020 - E per fortuna la Ferrari è rossa e non nera (come la Mercedes quest’anno). C’è infatti polemica intorno al manifesto ufficiale del Gran Premio d’Italia 2020 di Formula 1 presentato ieri mattina.
Una locandina in stile futurista per celebrare un’edizione “straordinaria“ che si correrà senza pubblico sulle tribune a causa della pandemia. Nel poster un’auto rossa e sullo sfondo la Villa Reale sorvolata dalle Frecce Tricolori. Tutto secondo «un’ispirazione che trae origine dal futurismo di inizio Novecento (periodo nel quale fu costruito l’autodromo ndr), che individuò nella velocità uno dei suoi temi fondanti», le motivazioni degli ideatori del manifesto. Ma qualcuno ha storto il naso vedendoci un chiaro richiamo al fascismo. «A chi il Gran Premio d’Italia? A Noi!», ha postato su Facebook l’ex presidente della Provincia, Roberto Invernizzi (Pd) richiamando un noto motto fascista. E giù commenti. Pro e contro.
Una polemica alla quale non si è sottratto il consigliere regionale della Lega, il brianzolo Andrea Monti: «Complimenti agli ideatori del manifesto - ha detto -. Ritengo davvero azzeccato il rimando al movimento futurista in un momento come quello che stiamo vivendo». Ma «qualcuno - ha proseguito Monti - ha pensato bene di costruire, sopra a questa immagine, una ridicola polemica legata all’apologia di fascismo. Spero che faccia retromarcia prima di imbarcarsi in misere figuracce sia sulla storia dell’arte che su quella dell’automobilismo sportivo. Non vorrei infatti che la furia iconoclasta resti priva di controllo e si finisca per chiedere la chiusura del Museo del Novecento a Milano».



Monza, 5 agosto 2020 - E per fortuna la Ferrari è rossa e non nera (come la Mercedes quest’anno). C’è infatti polemica intorno al manifesto ufficiale del Gran Premio d’Italia 2020 di Formula 1 presentato ieri mattina.
Una locandina in stile futurista per celebrare un’edizione “straordinaria“ che si correrà senza pubblico sulle tribune a causa della pandemia. Nel poster un’auto rossa e sullo sfondo la Villa Reale sorvolata dalle Frecce Tricolori. Tutto secondo «un’ispirazione che trae origine dal futurismo di inizio Novecento (periodo nel quale fu costruito l’autodromo ndr), che individuò nella velocità uno dei suoi temi fondanti», le motivazioni degli ideatori del manifesto. Ma qualcuno ha storto il naso vedendoci un chiaro richiamo al fascismo. «A chi il Gran Premio d’Italia? A Noi!», ha postato su Facebook l’ex presidente della Provincia, Roberto Invernizzi (Pd) richiamando un noto motto fascista. E giù commenti. Pro e contro.
Una polemica alla quale non si è sottratto il consigliere regionale della Lega, il brianzolo Andrea Monti: «Complimenti agli ideatori del manifesto - ha detto -. Ritengo davvero azzeccato il rimando al movimento futurista in un momento come quello che stiamo vivendo». Ma «qualcuno - ha proseguito Monti - ha pensato bene di costruire, sopra a questa immagine, una ridicola polemica legata all’apologia di fascismo. Spero che faccia retromarcia prima di imbarcarsi in misere figuracce sia sulla storia dell’arte che su quella dell’automobilismo sportivo. Non vorrei infatti che la furia iconoclasta resti priva di controllo e si finisca per chiedere la chiusura del Museo del Novecento a Milano».



Re: [O.T.] Aria di fascismo
UOMO NERO


MEGLIO LICANTROPI CHE FILANTROPI
Baalkaan hai la machina targata Sassari?
VE LA MERITATE GEGGIA
Baalkaan hai la machina targata Sassari?
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Re: [O.T.] Aria di fascismo
Date a Cesare......................................
Cesare Pavese che si dimostra indulgente con il fascismo, con il Duce Benito Mussolini e addirittura “giustifica” alcuni eccidi nazisti: un lato nascosto e segreto del poeta emerge nel 2020 con l’uscita del volume “Il taccuino segreto” in cui sono raccogli gli appunti scritti tra il 1942 e il 1943 quando era rifugiato sulle alture della campagna piemontese, prima a Serralunga di Crea poi al Collegio Trevisio di Casale Monferrato, in fuga dai repubblichini fascisti. Due anni dopo il grande poeta morto suicida nel 1950 si iscrisse al Partito Comunista e divenne uno dei massimi pensatori anti-fascisti dell’epoca: ma quel “bloc-notes” di una trentina di pagine – oggi raccontato dall’articolo di Luigi Mascheroni sul “Giornale” – resta un mistero rimasto intatto fino ad oggi, dopo che sparì letteralmente nel nulla nel 1962 dopo che il giornalista Lorenzo Mondo (che trovò il taccuino tra le carte di Pavese a casa della sorella Maria, ndr) lo consegnò a Italo Calvino per farne delle fotocopie negli uffici dell’Einaudi. Quelle annotazioni non furono mai pubblicate ma sono una vera “bomba” contro l’intellighenzia anti-fascista e fu lo stesso Mondo a pubblicarne parte su La Stampa nell’ormai lontano 8 agosto 1990: scrive Mascheroni, «Lui, antifascista e poi iscritto al Pci, in quei foglietti si lancia in invettive contro gli antifascisti e la loro stupidità, riflette sul fascismo come disciplina di vita utile agli italiani (il fascismo che ha il grande merito di dare al popolo italiano una vera visione dello Stato), parla con tono indulgente di Mussolini e della Repubblica di Salò».
IL TACCUINO “SCOMODO” DI CESARE PAVESE
Lo scomodo taccuino, considerato come indigesto e forse anche falso dagli “ex-amici” di Cesare Pavese – come Fernanda Pivano, che scrisse sul Manifesto «Io l’ho sempre idealizzato come un antifascista puro. Leggere questo taccuino mi fa sentire come se mi avessero pugnalato alla schiena» – è rimasto non pubblicato fino ad oggi, quando un altro editore decide con coraggio di pubblicare il volumetto con tutti i pensieri politici del grande poeta morto a Torino nel 1950. Secondo chi quel taccuino l’ha letto, ne emerge non tanto un profilo delineato totalmente “pro” o “contro” gli estremismi dell’epoca, ma solo un Cesare Pavese più “sfumato” e con assai meno chiari i valori militanti da seguire. «Pavese è persuaso che tutto sia concesso, tutto si possa perdonare al poeta: egli compie ognuno di quei gesti con una sorta di purezza; ovvero, inconsapevolmente, cioè senza una coscienza politica», scrive Angelo d’Orsi nell’introduzione al volumetto “Il taccuino segreto”. Lontano dalla politica e dalle “convinzioni ferree” come invece è stato dipinto dagli anti-fascisti dopo il terribile suicidio: non fu anti ma non fu neanche fascista, e allora cosa rimane di Cesare Pavese? Forse dopo 70 anni si può (finalmente) concentrarsi sulla straordinarietà della sua poesia e umanità e mettere in secondo piano la presunta ideologia politica…
Cesare Pavese che si dimostra indulgente con il fascismo, con il Duce Benito Mussolini e addirittura “giustifica” alcuni eccidi nazisti: un lato nascosto e segreto del poeta emerge nel 2020 con l’uscita del volume “Il taccuino segreto” in cui sono raccogli gli appunti scritti tra il 1942 e il 1943 quando era rifugiato sulle alture della campagna piemontese, prima a Serralunga di Crea poi al Collegio Trevisio di Casale Monferrato, in fuga dai repubblichini fascisti. Due anni dopo il grande poeta morto suicida nel 1950 si iscrisse al Partito Comunista e divenne uno dei massimi pensatori anti-fascisti dell’epoca: ma quel “bloc-notes” di una trentina di pagine – oggi raccontato dall’articolo di Luigi Mascheroni sul “Giornale” – resta un mistero rimasto intatto fino ad oggi, dopo che sparì letteralmente nel nulla nel 1962 dopo che il giornalista Lorenzo Mondo (che trovò il taccuino tra le carte di Pavese a casa della sorella Maria, ndr) lo consegnò a Italo Calvino per farne delle fotocopie negli uffici dell’Einaudi. Quelle annotazioni non furono mai pubblicate ma sono una vera “bomba” contro l’intellighenzia anti-fascista e fu lo stesso Mondo a pubblicarne parte su La Stampa nell’ormai lontano 8 agosto 1990: scrive Mascheroni, «Lui, antifascista e poi iscritto al Pci, in quei foglietti si lancia in invettive contro gli antifascisti e la loro stupidità, riflette sul fascismo come disciplina di vita utile agli italiani (il fascismo che ha il grande merito di dare al popolo italiano una vera visione dello Stato), parla con tono indulgente di Mussolini e della Repubblica di Salò».
IL TACCUINO “SCOMODO” DI CESARE PAVESE
Lo scomodo taccuino, considerato come indigesto e forse anche falso dagli “ex-amici” di Cesare Pavese – come Fernanda Pivano, che scrisse sul Manifesto «Io l’ho sempre idealizzato come un antifascista puro. Leggere questo taccuino mi fa sentire come se mi avessero pugnalato alla schiena» – è rimasto non pubblicato fino ad oggi, quando un altro editore decide con coraggio di pubblicare il volumetto con tutti i pensieri politici del grande poeta morto a Torino nel 1950. Secondo chi quel taccuino l’ha letto, ne emerge non tanto un profilo delineato totalmente “pro” o “contro” gli estremismi dell’epoca, ma solo un Cesare Pavese più “sfumato” e con assai meno chiari i valori militanti da seguire. «Pavese è persuaso che tutto sia concesso, tutto si possa perdonare al poeta: egli compie ognuno di quei gesti con una sorta di purezza; ovvero, inconsapevolmente, cioè senza una coscienza politica», scrive Angelo d’Orsi nell’introduzione al volumetto “Il taccuino segreto”. Lontano dalla politica e dalle “convinzioni ferree” come invece è stato dipinto dagli anti-fascisti dopo il terribile suicidio: non fu anti ma non fu neanche fascista, e allora cosa rimane di Cesare Pavese? Forse dopo 70 anni si può (finalmente) concentrarsi sulla straordinarietà della sua poesia e umanità e mettere in secondo piano la presunta ideologia politica…
Re: [O.T.] Aria di fascismo
Camerata Giacomo Casanova? PRESENTE!
http://farefilm.it/visioni-e-recensioni ... settecento
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Re: [O.T.] Aria di fascismo
segretario fiorentino? CAMICIA NERA!
3 gennaio 1925: Mussolini si trova di fronte alla Camera dei Deputati per pronunciare uno storico discorso che porterà di lì a poco il Regno d’Italia ad essere uno Stato totalitario. Molti storici del fascismo identificano in questa data il passaggio dalla fase autoritaria – iniziata con la Marcia su Roma nell’ottobre 1922 – alla fase totalitaria, che proseguirà fino all’arresto di Mussolini nel luglio 1943.
Per comprendere le parole del Duce, bisogna tornare indietro di circa nove mesi. Il 6 aprile 1924 il Partito Nazionale Fascista vince le elezioni, aggiudicandosi la maggioranza in Parlamento. Il 10 giugno Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, dopo aver denunciato le condizioni antidemocratiche in cui si sono svolte le elezioni viene rapito e ucciso da un gruppo di squadristi. Inizia così la cosiddetta Secessione dell’Aventino, il periodo più difficile per il nascente fascismo.
La rapida ascesa del movimento era stata possibile solo grazie alla violenza squadrista contro le leghe rosse, ma come si può spiegare il passaggio dagli scontri di piazza al rapimento e omicidio di un politico di opposizione di primo piano? Questo delitto esemplifica quanto i fascisti sentissero improvvisamente di essere saliti di grado; tuttavia, non costituisce un fatto del tutto imprevedibile.
Mussolini espresse la propria indole già l’anno precedente nel “Preludio al Principe di Machiavelli”, pubblicato sul mensile Gerarchia (di cui lo stesso Mussolini era direttore) nell’aprile 1924, pochi giorni dopo le elezioni. Il testo sarebbe l’unico frammento conosciuto di una presunta tesi di laurea scritta dal duce riguardo l’opera di Machiavelli.
Già dalle prime righe non viene fatto mistero dell’ammirazione provata per Machiavelli, al punto da definire Il Principe il “libro che io vorrei chiamare: Vademecum per l’uomo di governo”. Ed è così che, in questa pubblicazione, Mussolini dispiega la propria dialettica per rileggere il Principe con il probabile intento di giustificare e dare una sorta di illustre precedente alla propria politica.
Più precisamente, la prima parte argomenta l’assunto che considera attuali le conclusioni raggiunte nel Principe quattro secoli prima: gli uomini sarebbero solo una massa passiva che va governata e guidata senza compassione.
Su questa linea Mussolini costruisce la seconda parte del testo, in cui presenta la più forte delle proprie tesi – un’esplicita critica alla democrazia. A suo avviso, la democrazia sarebbe solo un trucco usato dai governanti per far credere al popolo di avere un ruolo nelle decisioni dello Stato, salvo poi rimettere effettivamente il giudizio al popolo solo per scelte di minima importanza. L’idea di Mussolini di buona politica è, di conseguenza, quella di svelare questo inganno perpetrato dai governi e instaurare un regime che sia dichiaratamente autoritario. Il popolo, cosciente della propria inutilità, si vedrebbe così riconosciuto il suo ruolo naturalmente sottomesso. In questo scenario da Animal Farm c’è anche posto per una considerazione lapidaria che, in conclusione, fuga ogni dubbio residuo sulla concezione mussoliniana di vita politica: i profeti armati trionfano, i disarmati rovinano. È la violenza a fare la differenza, l’unico mezzo efficace per raggiungere, esercitare e mantenere il potere, perché a chi non crede più nello Stato, si può far credere con la forza.
3 gennaio 1925: Mussolini si trova di fronte alla Camera dei Deputati per pronunciare uno storico discorso che porterà di lì a poco il Regno d’Italia ad essere uno Stato totalitario. Molti storici del fascismo identificano in questa data il passaggio dalla fase autoritaria – iniziata con la Marcia su Roma nell’ottobre 1922 – alla fase totalitaria, che proseguirà fino all’arresto di Mussolini nel luglio 1943.
Per comprendere le parole del Duce, bisogna tornare indietro di circa nove mesi. Il 6 aprile 1924 il Partito Nazionale Fascista vince le elezioni, aggiudicandosi la maggioranza in Parlamento. Il 10 giugno Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, dopo aver denunciato le condizioni antidemocratiche in cui si sono svolte le elezioni viene rapito e ucciso da un gruppo di squadristi. Inizia così la cosiddetta Secessione dell’Aventino, il periodo più difficile per il nascente fascismo.
La rapida ascesa del movimento era stata possibile solo grazie alla violenza squadrista contro le leghe rosse, ma come si può spiegare il passaggio dagli scontri di piazza al rapimento e omicidio di un politico di opposizione di primo piano? Questo delitto esemplifica quanto i fascisti sentissero improvvisamente di essere saliti di grado; tuttavia, non costituisce un fatto del tutto imprevedibile.
Mussolini espresse la propria indole già l’anno precedente nel “Preludio al Principe di Machiavelli”, pubblicato sul mensile Gerarchia (di cui lo stesso Mussolini era direttore) nell’aprile 1924, pochi giorni dopo le elezioni. Il testo sarebbe l’unico frammento conosciuto di una presunta tesi di laurea scritta dal duce riguardo l’opera di Machiavelli.
Già dalle prime righe non viene fatto mistero dell’ammirazione provata per Machiavelli, al punto da definire Il Principe il “libro che io vorrei chiamare: Vademecum per l’uomo di governo”. Ed è così che, in questa pubblicazione, Mussolini dispiega la propria dialettica per rileggere il Principe con il probabile intento di giustificare e dare una sorta di illustre precedente alla propria politica.
Più precisamente, la prima parte argomenta l’assunto che considera attuali le conclusioni raggiunte nel Principe quattro secoli prima: gli uomini sarebbero solo una massa passiva che va governata e guidata senza compassione.
Su questa linea Mussolini costruisce la seconda parte del testo, in cui presenta la più forte delle proprie tesi – un’esplicita critica alla democrazia. A suo avviso, la democrazia sarebbe solo un trucco usato dai governanti per far credere al popolo di avere un ruolo nelle decisioni dello Stato, salvo poi rimettere effettivamente il giudizio al popolo solo per scelte di minima importanza. L’idea di Mussolini di buona politica è, di conseguenza, quella di svelare questo inganno perpetrato dai governi e instaurare un regime che sia dichiaratamente autoritario. Il popolo, cosciente della propria inutilità, si vedrebbe così riconosciuto il suo ruolo naturalmente sottomesso. In questo scenario da Animal Farm c’è anche posto per una considerazione lapidaria che, in conclusione, fuga ogni dubbio residuo sulla concezione mussoliniana di vita politica: i profeti armati trionfano, i disarmati rovinano. È la violenza a fare la differenza, l’unico mezzo efficace per raggiungere, esercitare e mantenere il potere, perché a chi non crede più nello Stato, si può far credere con la forza.
Re: [O.T.] Aria di fascismo
Inconscio è fascista
L’inconscio (fascista) degli italiani
di Massimo Mariani
Quante volte abbiamo avvertito, attraverso l’annuire silenzioso ma eloquente, o a mezza bocca, della gente, critiche sulla condizione politico-economica del nostro Paese, o ascoltato - in verità con qualche lieve assenso - commenti intolleranti sui cosiddetti “diversi da noi” che invadono il nostro territorio, tarpando le ali al nostro avvenire di italiani. Lo storico Alessandro Barbero, in una sua interessante lectio historia, esprime un giudizio sul rapporto quasi genetico tra il ‘fascismo’ e gli ‘italiani’: «L’invenzione del fascismo in Italia non fu a caso. […] L’Italia è un Paese dove una parte è intrinsecamente fascista», specificando che i rigurgiti di fascismo non si riconoscono in un improbabile “presa di potere o nella violenza del manganello”,
bensì dallo sguardo privo di “simpatia” condiviso dalla maggior parte degli italiani sull’esperienza storica della resistenza, come un giudizio critico sulla lotta tra fascismo e antifascismo.
Rileggendo una famosa intervista di Ivanoe Fossani a Benito Mussolini all’isola di Trimellone il 20 marzo 1945, è possibile scorgere una qualche attinenza tra tali brevi ma efficaci considerazioni e il senso che emergerebbe dalle confessioni del dittatore, prima della caduta ormai imminente. L’ex-Duce dichiara infatti: “Io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani. Se non fosse stato così, non mi avrebbero seguito per venti anni. Mutevolissimo lo spirito degli italiani. Quando io non sarò più sono sicuro che gli storici e gli psicologi si chiederanno come un uomo abbia potuto trascinarsi dietro per vent’anni un popolo come l’italiano. Se non avessi fatto altro, basterebbe questo capolavoro per non essere seppellito nell’oblio. Altri potrà forse dominare col ferro e col fuoco, non col consenso, come ho fatto io”.
Al di là dell’enfasi autocelebrativa tipica di Mussolini, quel che colpisce è che egli abbia colto nel segno.
Con una certa preoccupazione mi vado convincendo che, come ha osservato Barbero, l’”invenzione del fascismo” è stata tratta effettivamente “dall’inconscio degli italiani”.
Tuttavia, speriamo che su certi stati oscuri dell’”inconscio”, alla fine prevalgano netti i lumi della coscienza.

L’inconscio (fascista) degli italiani
di Massimo Mariani
Quante volte abbiamo avvertito, attraverso l’annuire silenzioso ma eloquente, o a mezza bocca, della gente, critiche sulla condizione politico-economica del nostro Paese, o ascoltato - in verità con qualche lieve assenso - commenti intolleranti sui cosiddetti “diversi da noi” che invadono il nostro territorio, tarpando le ali al nostro avvenire di italiani. Lo storico Alessandro Barbero, in una sua interessante lectio historia, esprime un giudizio sul rapporto quasi genetico tra il ‘fascismo’ e gli ‘italiani’: «L’invenzione del fascismo in Italia non fu a caso. […] L’Italia è un Paese dove una parte è intrinsecamente fascista», specificando che i rigurgiti di fascismo non si riconoscono in un improbabile “presa di potere o nella violenza del manganello”,
bensì dallo sguardo privo di “simpatia” condiviso dalla maggior parte degli italiani sull’esperienza storica della resistenza, come un giudizio critico sulla lotta tra fascismo e antifascismo.
Rileggendo una famosa intervista di Ivanoe Fossani a Benito Mussolini all’isola di Trimellone il 20 marzo 1945, è possibile scorgere una qualche attinenza tra tali brevi ma efficaci considerazioni e il senso che emergerebbe dalle confessioni del dittatore, prima della caduta ormai imminente. L’ex-Duce dichiara infatti: “Io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani. Se non fosse stato così, non mi avrebbero seguito per venti anni. Mutevolissimo lo spirito degli italiani. Quando io non sarò più sono sicuro che gli storici e gli psicologi si chiederanno come un uomo abbia potuto trascinarsi dietro per vent’anni un popolo come l’italiano. Se non avessi fatto altro, basterebbe questo capolavoro per non essere seppellito nell’oblio. Altri potrà forse dominare col ferro e col fuoco, non col consenso, come ho fatto io”.
Al di là dell’enfasi autocelebrativa tipica di Mussolini, quel che colpisce è che egli abbia colto nel segno.
Con una certa preoccupazione mi vado convincendo che, come ha osservato Barbero, l’”invenzione del fascismo” è stata tratta effettivamente “dall’inconscio degli italiani”.
Tuttavia, speriamo che su certi stati oscuri dell’”inconscio”, alla fine prevalgano netti i lumi della coscienza.
