[O.T.] Guida in stato d'ebbrezza
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CanellaBruneri ha scritto:Sì, ma la carta? Quale usare?Gerda ha scritto:Basta una banconota da 500 e una buona fotocopiatrice...CianBellano ha scritto: Quando l'attuale governo avrà finito di stampare gli euro che ci servono, per uscire dalla crisi economica, risolverà anche questa sperequazione legislativa che tanto ti affligge...
Tutto a suo tempo...
Questa naturalmente...
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musica inclusa... si consiglia Apicella!!

"Gli amici del campetto
passati dalle Marlboro direttamente all'eroina
alla faccia delle droghe leggere"
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- Billy Drago
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..penso..che ognuno a casa propria e' libero di bere,ubriacarsi,vomitare, nn giudico le persone a cui piace ogni tanto prendersi una sbornia...pero'...se dovessi immaginare che magari a una mia figlia dovesse subire un incidente con un ubriaco , impasticcato o un fumato...una bastonata sulla schiena ..ma forte..non gliela leva nessuno..
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Hanno abbassato ancora il limite consentito: da 0,5 a 0,3....
Hanno inasprito ancora le pene e la multa....
Se passerà il disegno di legge non solo l'automobile verrà sequestrata ma messa pure all'asta.....
Sembra un po come uccidere una mosca con un Bazooka.... Tra un po se mi fermeranno fuori da un ristorante mi faranno la multa, sequestreranno l'auto, processo penale, castrazione chimica, mi uccideranno il primogenito, faranno piovere prima sangue poi rane sulla mia casa, le cavallette mangeranno i pomodori del mio orto, la mia compagna verrà lapidata in piazza e la pubblica gogna scandirà il tempo....
Noi con tasso alcolico 0,5 siamo improvvisamente IL MALE ASSOLUTO....PENTIAMOCI!
Hanno inasprito ancora le pene e la multa....
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Sembra un po come uccidere una mosca con un Bazooka.... Tra un po se mi fermeranno fuori da un ristorante mi faranno la multa, sequestreranno l'auto, processo penale, castrazione chimica, mi uccideranno il primogenito, faranno piovere prima sangue poi rane sulla mia casa, le cavallette mangeranno i pomodori del mio orto, la mia compagna verrà lapidata in piazza e la pubblica gogna scandirà il tempo....
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e quwesta mica la sapevo?Parakarro ha scritto:Hanno abbassato ancora il limite consentito: da 0,5 a 0,3....
!
quando?
in alcuni stati europei il limite e' 0...

E' la vecchia guardia e i suoi interventi sul darkside sono imprescindibili, affronta il lato oscuro del sesso estremo con l'approccio dostojeschiano dell'uomo che soffre, mitizza e somatizza.UN DEMONE
Now I lay me down to sleep,Pray the lord my soul to keep.And if I die before I wake pray the lord my soul to take.
Now I lay me down to sleep,Pray the lord my soul to keep.And if I die before I wake pray the lord my soul to take.
vabbè al castello di tor crescenza ...Parakarro ha scritto:Hanno abbassato ancora il limite consentito: da 0,5 a 0,3....
Hanno inasprito ancora le pene e la multa....
Se passerà il disegno di legge non solo l'automobile verrà sequestrata ma messa pure all'asta.....
Sembra un po come uccidere una mosca con un Bazooka.... Tra un po se mi fermeranno fuori da un ristorante mi faranno la multa, sequestreranno l'auto, processo penale, castrazione chimica, mi uccideranno il primogenito, faranno piovere prima sangue poi rane sulla mia casa, le cavallette mangeranno i pomodori del mio orto, la mia compagna verrà lapidata in piazza e la pubblica gogna scandirà il tempo....
Noi con tasso alcolico 0,5 siamo improvvisamente IL MALE ASSOLUTO....PENTIAMOCI!

800 bottiglie di vino ....
100 di spumante ...
350 invitati ...
dividendo sono 2bottiglie e mezzo a testa ...
Donna Sofia i ragazzi alla torta intonavano il karaoke???




Voi date poca cosa dando cio' che possedete. E'quando donate voi stessi che donate veramente.
-Kahlil Gibran-
-Kahlil Gibran-
Allarme rosso per gli incidenti mortali: nel 53% dei casi è coinvolto un camion, percentuale che non ha eguali in alcun Paese d'Europa. Questa la denuncia della rivista Quattroruote che in un'inchiesta denuncia come "Il continuo aumento del traffico di mezzi pesanti sta causando una vera e propria emergenza in autostrada: gli incidenti sono in crescita e le conseguenze spesso drammatiche, con chiusure di interi tratti e code chilometriche".
Di chi le colpe? Anche qui Quattroruote ha delle risposte: "Molto spesso alla guida di questi mezzi si trovano conducenti stranieri, privi delle conoscenze necessarie per viaggiare sulle nostre arterie. Le cifre dicono che nel primo quadrimestre di quest'anno oltre il 27% dei deceduti in incidenti sulla rete di Autostrade per l'Italia erano di nazionalità straniera, in gran parte camionisti, contro il 15% del 2005".
La stessa opera di repressione posta in essere dalla Polizia Stradale è spesso vanificata e si racconta di diversi conducenti che, dopo essersi visto ritirare la patente in Italia per infrazioni gravi, ne denunciano lo smarrimento nel Paese d'origine, rientrando immediatamente in possesso dell'attestato di guida.
Di questo passo, secondo Quattroruote, le autostrade arriveranno presto a una situazione di vera e propria paralisi, dato che il trasporto su rotaia e su nave continua a esser usato in modo solo marginale dalle imprese italiane, mentre quello su gomma cresce anno dopo anno: nel 2006 la crescita è stata di un ulteriore 3%, con punte decisamente superiori su tratte come la Venezia-Trieste.
fonte...
se sentite parlare qualche camionista magari in qualche pausa pranzo potreste ascoltare frasi del tipo...
"loro vanno in vacanza ed io lavoro ... noi dobbiamo avere la precedenza e se non si tolgono davanti li sbatto per aria"
continuate a permettere che persone guidino camion per 15 ore al giorno imbottiti di anfetamine ...

Di chi le colpe? Anche qui Quattroruote ha delle risposte: "Molto spesso alla guida di questi mezzi si trovano conducenti stranieri, privi delle conoscenze necessarie per viaggiare sulle nostre arterie. Le cifre dicono che nel primo quadrimestre di quest'anno oltre il 27% dei deceduti in incidenti sulla rete di Autostrade per l'Italia erano di nazionalità straniera, in gran parte camionisti, contro il 15% del 2005".
La stessa opera di repressione posta in essere dalla Polizia Stradale è spesso vanificata e si racconta di diversi conducenti che, dopo essersi visto ritirare la patente in Italia per infrazioni gravi, ne denunciano lo smarrimento nel Paese d'origine, rientrando immediatamente in possesso dell'attestato di guida.
Di questo passo, secondo Quattroruote, le autostrade arriveranno presto a una situazione di vera e propria paralisi, dato che il trasporto su rotaia e su nave continua a esser usato in modo solo marginale dalle imprese italiane, mentre quello su gomma cresce anno dopo anno: nel 2006 la crescita è stata di un ulteriore 3%, con punte decisamente superiori su tratte come la Venezia-Trieste.
fonte...
se sentite parlare qualche camionista magari in qualche pausa pranzo potreste ascoltare frasi del tipo...
"loro vanno in vacanza ed io lavoro ... noi dobbiamo avere la precedenza e se non si tolgono davanti li sbatto per aria"
continuate a permettere che persone guidino camion per 15 ore al giorno imbottiti di anfetamine ...

Voi date poca cosa dando cio' che possedete. E'quando donate voi stessi che donate veramente.
-Kahlil Gibran-
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a voi vi va bene in italia fidatevi..
il "traffico pesante congestionante" e guide di 15 ore e passa non avete idea di cosa sia..
per darvi una idea: l'italia cresce dello 0%..qua si cresce del 10 e si usano rotaie e altro meno che in italia..
girare in macchina qui e' probitio senza l'attenzione al 200%..mano sul clacson SEMPRE..abbaglianti accessi a stecca SEMPRE..
e incroci le dita..
ok e' bello perche' ti obbliga a salire i macchina sempre lucidissimo e per assurdo e' piu' "sicuro" (quante volte i italia senza bere siamo magari stanchi, distratti)..
ma vi garantisco che non e' poaragonabile minimanete alle peggiori situazioni che posso aver trovato sull'autobrennero, sulla milano/ve..sulla tangenziale di mestre....
il "traffico pesante congestionante" e guide di 15 ore e passa non avete idea di cosa sia..
per darvi una idea: l'italia cresce dello 0%..qua si cresce del 10 e si usano rotaie e altro meno che in italia..
girare in macchina qui e' probitio senza l'attenzione al 200%..mano sul clacson SEMPRE..abbaglianti accessi a stecca SEMPRE..
e incroci le dita..
ok e' bello perche' ti obbliga a salire i macchina sempre lucidissimo e per assurdo e' piu' "sicuro" (quante volte i italia senza bere siamo magari stanchi, distratti)..
ma vi garantisco che non e' poaragonabile minimanete alle peggiori situazioni che posso aver trovato sull'autobrennero, sulla milano/ve..sulla tangenziale di mestre....
E' la vecchia guardia e i suoi interventi sul darkside sono imprescindibili, affronta il lato oscuro del sesso estremo con l'approccio dostojeschiano dell'uomo che soffre, mitizza e somatizza.UN DEMONE
Now I lay me down to sleep,Pray the lord my soul to keep.And if I die before I wake pray the lord my soul to take.
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dopo le impressioni comuni diamo la parola alla Corte
[img:b56d04b464]http://4hq.org/thumb/one1213704854x.jpg[/img:b56d04b464]
???
[b:b56d04b464]Guida in stato di ebbrezza: reato circostanziato o pluralità di reati autonomi?[/b:b56d04b464]
La sentenza della S.C. appare ottimo spunto per una breve riflessione ermeneutica sulla struttura dell'art. 186 CdS, che dovrebbe, infatti, costituire la norma di riferimento, in relazione alla scopo di sanzionare la guida in stato di ebbrezza.
Già in altre occasioni, chi scrive ha inteso evidenziare e stigmatizzare lo stato di totale sottovalutazione di cui un simile comportamento gode sul piano legislativo.
Prima di qualsiasi ulteriore osservazione di natura nomofilattica, si deve, infatti, affermare - senza ipocrisie di sorta - che nulla potrà mutare sino a quando si perpetuerà la incredibile e superficiale scelta legislativa di relegare una siffatta condotta (la quale presenta elevati profili di offensività e suscita anche sul piano della eventuale progressione criminosa un rilevante allarme e costo sociale) nella categoria minore delle contravvenzioni.
Venendo al tema individuato, si deve notare che la Corte di Cassazione viene chiamata a prendere atto dell'intervenuta abrogazione (a seguito della promulgazione del D.L. 3 agosto 2007, n. 117, convertito in L. 2 ottobre 2007, n. 160) di quella previsione normativa che sanzionava, sul piano penale, la scelta del conducente di un autoveicolo di rifiutare di sottoporsi all'esame etilometrico.
La situazione allo stato vigente, infatti, escludendo proprio dal novero delle categorie delineate all'interno dell'art. 186 CdS, si configura come una chiaro esempio di paradosso giuridico.
E' pacifico, che nel caso di specie, il singolo non può (e non deve) essere sottoposto coattivamente (o manu militari) ad un accertamento tecnico da parte degli inquirenti, in virtù della considerazione (malcelata, quanto falsamente garantista) che, così facendo, si verrebbe a violare il principio di autodeterminazione del cittadino (dimenticando, invece, che il codice di rito prevede che l'indagato possa essere sottoposto ad esperimento di ricognizione ed/od al confronto, senza potersi rifiutare).
E', però, altrettanto pacifico osservare, che appare assolutamente inaccettabile, sul piano giuridico, la scelta (volontaria od involontaria che sia, conta molto poco di fronte all'insipienza del legislatore) di offrire una comoda scappatoia, in presenza di un comportamento che impedisca - sotto il profilo oggettivo - la verificazione della sussistenza di una condizione obbiettiva di punibilità (o, comunque, di sussistenza di un reato).
Né si può, seriamente, porre sullo stesso piano il rifiuto di sottoporsi all'esame etilometrico ed il rifiuto di rendere l'interrogatorio (al P.M. o, di garanzia), giacchè sia la ratio dei due istituti, che le conseguenze che derivano da comportamenti che sono all'apparenza appaiono omogenei (ma che omogenei non sono affatto) risultano totalmente differenti.
Non si dimentichi, infatti, che il rifiuto a rispondere alle domande degli inquirenti ("l'avvalersi della facoltà di non rispondere") pur costituendo - in realtà - un vero e proprio diritto potestativo dell'inquisito e pur sembrando analogo all'altra tipologia di diniego in disamina, a sua differenza, non ostacola affatto la attività di accertamento del reato.
Il tratto emergente e differenziante le due fattispecie giuridiche, dunque, riposa proprio nella considerazione che, sin dall'origine, il negare il proprio consenso pone un veto normativo completamente preclusivo all'accertamento di una situazione che, invece, in fatto può configurare, ictu oculi, un preciso reato.
Ad abundantiam, va sottolineato che risulta palese ed inaccettabile anche la condizione di clamorosa disparità di trattamento che si viene a manifestare tra casi - in punto di fatto - tra loro omogenei, se non addirittura identici, la cui perseguibilità e sanzionabilità dipende solo dalla lealtà (ma si può dire, davvero, che si tratta solo di lealtà o è meglio dire che si tratta di informazione, oppure che si tratta di furbizia?) del soggetto da analizzare, il quale diviene, nella pratica, giudice di sé stesso!
Ed allora, questo grave impasse legislativo deve trovare una sua soluzione ed, a parere di chi scrive, la può trovare solo ricostruendo in modo generale la natura complessiva che connota l'art. 186 CdS.
Le due tesi in conflitto
E', infatti, questione di non limitata rilevanza quella per cui si deve risolvere il dilemma che nasce da due opposte visioni del problema.
1. L'una intende, infatti, il reato di cui all'art. 186 CdS come espressione base di un precetto generale, [portato dai co. 1 e 2, i quali recitano "è vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche" e "chiunque guida in stato di ebbrezza è punito..",] rispetto al quale esiste una graduazione progressiva del trattamento sanzionatorio, che si ricollega in maniera diretta con l'esito della verifica tecnica concernente il dato quantitativo dell'alcool assunto.
Attesa, dunque, l'individuazione di quello che costituirebbe il fondamento della norma incriminatrice, si deve coerentemente concludere nel senso che, ogni differenziazione in punto di pena riguardo i singoli scaglioni indicati dalle lett. b) e c), infatti, costituirebbe una singola ed autonoma circostanza aggravante.
Questa impostazione provoca una conseguenza diretta.
Essa si appalesa e trova massima espressione, infatti, in ipotesi di riconoscimento di circostanze attenuanti (sia generiche, che di altra specie) e di giudizio di prevalenza od equivalenza, ai sensi dell'art. 69 c.p., delle stesse rispetto alle citate aggravanti.
Ove, quindi, intervenisse il citato bilanciamento tra opposte circostanze, ne deriverebbe che la pena da applicare in concreto dovrebbe essere quella di cui alla lett. a).
Ulteriore conseguenza da concretamente valutare sarebbe quella della possibilità di accesso - da parte dell'indagato - all'istituto dell'oblazione ai sensi dell'art. 162 bis c.p..
2. La tesi opposta, invece, considera l'accertamento del tasso alcoolemico quale vero e proprio elemento costitutivo del reato; sicchè la previsione normativa, attinente ad ogni singolo scaglione, integrerebbe una autonoma forma di reato.
Tale orientamento esclude, quindi, che si possano incontrare i sopra citati e ricordati problemi di bilanciamento tra circostanze.
Per converso, un effetto diretto dell'adesione a questa visione consisterebbe nella circostanza che non sarebbe più possibile utilizzare, ai fini di dimostrare la sussistenza dello stato di ebbrezza, alcuni indici sintomatici soggettivi di carattere empirico.
Essi possono, infatti, essere rinvenuti nell'alito vinoso, nel linguaggio sconnesso, nell'andatura barcollante, ed altri ancora possono venire utili a tale scopo.
Così opinando, dunque, la fattispecie criminosa della guida in stato di ebbrezza verrebbe integrata e provata, esclusivamente, solo nell'ipotesi in cui si addivenga all'accertamento di un tasso etilico, in capo al singolo soggetto, che appaia superiore alla soglia minima stabilita dalla legge.
Correlativamente, quindi, rimarrebbero esenti da responsabilità penale (e dalle corrispondenti sanzioni) tutti coloro che venissero trovati a guidare un veicolo in evidente stato di ubriachezza, ma nei confronti dei quali non fosse stato possibile pervenire alla definizione del tasso alcoolemico.
La nostra opinione
Prima di esprimere una meditata e motivata preferenza per uno dei due indirizzi esposti, corre l'obbligo - a scrive - di ribadire la sommarietà della scelta che si va ad operare.
Non si tratta, infatti, di richiamare le considerazioni svolte all'inizio in ordine alla classificazione e sussunzione del reato in questione nella categoria delle contravvenzioni; si tratta, invece, di ribadire l'incapacità del legislatore italiano di legiferare fuori dalle logiche dell'emergenzialità e della sommarietà .
Vale a dire che è estremamente raro (e la vicenda in questione non fa, purtroppo, eccezione) che ci si trovi dinanzi ad un progetto organico che risenta di una approfondita valutazione del tema oggetto dell'attività di normazione.
Il potere legislativo - per forma mentis o per calcolo contingente - si preoccupa, infatti, solamente di placare ondate emozionali che colpiscono l'opinione pubblica, mirando, al contempo, solo ad ottenere un appagato generale consenso, che finisce per fondarsi sulla percezione meramente apparente della esistenza della norma e non già sulla reale capacità di quest'ultima di risultare idonea a fronteggiare la eventuale anomica situazione per la quale la stessa sarebbe stata concepita.
Dunque, una norma (o parvenza di norma) c'è o ci sarebbe e, quindi, la coscienza popolare è (o dovrebbe essere), quindi, tranquilla ed acquietata.
Ciò posto ed atteso il regime di drammatica precarietà che connota la legislazione sul tema (e l'art. 186 CdS in modo particolare) devo ammettere che il parametro ha guida della mia scelta appare informato in parte anche ad un principio metagiuridico.
In primo luogo, reputo che il bene giuridico oggetto della tutela penale offerta dall'art. 186 CdS può essere individuato :
1. in via diretta, nella necessità di impedire che vengano alterate, sul piano soggettivo, le normali condizioni di circolazione;
2. in via mediata, altro fine perseguito è, invece, quello della prevenzione di incidenti stradali provocati dalla contingente inidoneità psico-fisica del singolo conducente, difendendo, così, appieno una legittima aspettativa del cittadino.
In questo contesto, dunque, mi pare di potere sostenere che coglie nel segno la tesi, la quale attribuisce valenza di precetto generale alla previsione contenuta nei co. 1 e 2 dell'art. 186 CdS, laddove essi recitano testualmente "è vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche" e "chiunque guida in stato di ebbrezza è punito..".
Lo scopo precipuo della norma è, dunque, in ultima analisi, impedire che si concretizzi una situazione comportamentale di destabilizzazione delle condizioni di guida stabilite ex lege e, come tale, illecita, siccome in grado di creare una situazione di pericolo e di allarme sociale.
Siamo, dunque, in presenza di un reato di pura condotta, la cui fattispecie base, in sé perfetta e delineata nei suoi tratti costitutivi ed essenziali, viene, dunque, arricchita da ulteriori elementi circostanziali di aggravamento.
Questi ultimi consistono nei singoli scaglioni di intossicazione alcoolica.
Va, infatti, notato (e ciò può avvenire agevolmente) che l'identificazione, all'interno di una singola disposizione di legge, di specifici tetti quantitativi - come nel caso di specie - oltre i quali scattano aumenti di pena, configura una previsione accessoria, ininfluente sulla struttura del reato ed estranea ad essa, perché non la sostituisce, ma la specifica.
La fattispecie incriminatrice, nel caso che ci occupa, infatti, preesiste e non soffre alcuna modificazione della propria struttura, posto che il descritto elemento circostanziale dispiega efficacia solamente in relazione al giudizio di gravità del reato e correlativamente al quantum di pena da infliggere.
In secondo luogo, reputo che si debba conferire alla norma, intesa in senso generale, la possibilità di dispiegare il massimo effetto possibile sia sul piano strettamente precettivo, che sul correlativo profilo sanzionatorio.
In quest'ottica, quindi, decidere di interpretare i singoli scaglioni come reati tra loro autonomi, comporterebbe - come detto - la esclusione, a priori, dal novero della doverosa valutazione penale di situazioni di palese ed evidente sussistenza delle condizioni obbiettive di punibilità del reato in questione, peraltro percepite dalle forze dell'ordine in maniera empirica e con valutazioni soggettive, (ergo de visu), cioè al di fuori dell'uso degli strumenti tecnici, quale è - ad esempio - l'etilometro.
Non è, infatti, francamente, accettabile che l'attività di accertamento di un reato debba essere condizionata e circoscritta all'uso di dispositivi specialistici, mortificando la capacità personale del singolo agente e, giungendo, così, al paradosso di negare, sul piano naturalistico, l'evidenza di fatti conclamati.
Se questa fosse la regola base cui ispirarsi, si dovrebbe concludere, ad esempio, che le riprese delle telecamere di una banca possano risultare uniche concrete fonti di prova per attestare o smentire la colpevolezza di un indagato di rapina, mentre è comune esperienza forense che la gamma degli elementi di prova (a carico e discarico) non può venire delimitata a solo a profili tecnologici, i quali non sono esenti dal carattere della fallibilità .
Un ulteriore elemento che, sul piano endoprocessuale, può risultare convincente e decisivo va rinvenuto nella effettiva possibilità che l'accertamento soggettivo e diretto degli agenti ben potrebbe fungere da attività idonea a sopperire al rifiuto del singolo.
In buona sostanza, in presenza del mancato consenso dell'interessato a rendere l'esame alcoolmetrico, a mezzo dell'etilometro, ritengo che, in presenza di seri ed inequivoci indici e di precisi e dettagliati elementi di percezione di uno stato di intossicazione alcoolica in carico al conducente del veicolo, si possa dare inizio alla fase procedimentale dell'indagine preliminare, evitando sia teoriche situazioni di ingiustizia sostanziale, sia di vulnerare il diritto alla difesa del cittadino, che ben potrà e dovrà difendersi dalla contestazione mossagli.
Al recupero di un'area di condotte, le quali, diversamente, sarebbero rimaste esenti da un necessario accertamento in sede penale (dove per accertamento non si deve affatto e necessariamente intendere un'anticipata condanna, quanto piuttosto l'esercizio di quella dialettica procedimentale che sottende alla verifica della sussistenza di un'ipotesi ex parte), si potrebbe contrapporre la eventualità di un'attenuazione della sanzione penale.
Sembrerebbe, quindi, questa - come anticipato - una palese conseguenza del giudizio di prevalenza od equivalenza fra circostanze attenuanti e circostanze aggravanti, che fosse ritenuto in sede processuale dal magistrato decidente.
La contraddizione è, però, a parere di chi scrive, solamente di pura e mera apparenza.
Essa, infatti, si manifesta come frutto di un improprio ed errato approccio esegetico rispetto alle modalità ed ai criteri in base ai quali interviene la scelta di concedere le attenuanti generiche.
Va, infatti, affermato con assoluta chiarezza che tali circostanze, portate dall'art. 62 bis c.p., non costituiscono un diritto quaesito dell'imputato, ma sono (e devono essere) frutto di una valutazione discrezionale e tecnico del giudice, il quale è chiamato, in primo luogo a rifarsi alla linee guida stabilite dall'art. 133 c.p..
Tale norma - come è noto - presenta plurimi paradigmi valutativi a carattere soggettivo, che debbono aiutare il giudice nella sua valutazione globale in ordine alla capacità criminosa dell'imputato ed alla sua più globale personalità (quale ad esempio il tipo ed il livello di dolo ravvisato nella condotta oggetto di indagine).
La meritevolezza del temperamento sostanziale, che le circostanze in parola configurano, viene, altresì, corroborata da ulteriori considerazioni che devono involgere anche il comportamento processuale dell'inquisito.
Sicchè, far credere che il riconoscimento delle attenuanti generiche (o di altre circostanze attentatrici la asperità della pena) sia esito di una non meglio identificata forma di automatismo giuridico è asserzione del tutto mistificatoria non solo sul piano della realtà legale, ma anche in relazione alla quotidiana esperienza forense.
Ergo, se il giudice perverrà al detto giudizio di bilanciamento, questo dovrà , quindi, formare oggetto di adeguata motivazione, così che non vi sarà timore di arbitri o di decisioni estemporanee ed infondate giuridicamente.
Soprattutto, se si perverrà alla conclusione sopra esposta, è indubbio, che a monte di tale decisione sarà rinvenibile un giudizio di meritevolezza ad personam, cioè non indiscriminato, bensì calibrato proprio sulla specificità dell'imputato.
I benefici, quoad poenam, potranno derivare al singolo inquisito, quale forma eccezionale, riconnessa - ad esempio - all'eventuale incensuratezza dell'imputato od ad altri profili comportamentali, ma è evidente che essi non necessariamente potranno venire riconosciuti in ipotesi di ricadute recidivanti.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 23 novembre 2007, n. 43405
fonte Altalex ...

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???
[b:b56d04b464]Guida in stato di ebbrezza: reato circostanziato o pluralità di reati autonomi?[/b:b56d04b464]
La sentenza della S.C. appare ottimo spunto per una breve riflessione ermeneutica sulla struttura dell'art. 186 CdS, che dovrebbe, infatti, costituire la norma di riferimento, in relazione alla scopo di sanzionare la guida in stato di ebbrezza.
Già in altre occasioni, chi scrive ha inteso evidenziare e stigmatizzare lo stato di totale sottovalutazione di cui un simile comportamento gode sul piano legislativo.
Prima di qualsiasi ulteriore osservazione di natura nomofilattica, si deve, infatti, affermare - senza ipocrisie di sorta - che nulla potrà mutare sino a quando si perpetuerà la incredibile e superficiale scelta legislativa di relegare una siffatta condotta (la quale presenta elevati profili di offensività e suscita anche sul piano della eventuale progressione criminosa un rilevante allarme e costo sociale) nella categoria minore delle contravvenzioni.
Venendo al tema individuato, si deve notare che la Corte di Cassazione viene chiamata a prendere atto dell'intervenuta abrogazione (a seguito della promulgazione del D.L. 3 agosto 2007, n. 117, convertito in L. 2 ottobre 2007, n. 160) di quella previsione normativa che sanzionava, sul piano penale, la scelta del conducente di un autoveicolo di rifiutare di sottoporsi all'esame etilometrico.
La situazione allo stato vigente, infatti, escludendo proprio dal novero delle categorie delineate all'interno dell'art. 186 CdS, si configura come una chiaro esempio di paradosso giuridico.
E' pacifico, che nel caso di specie, il singolo non può (e non deve) essere sottoposto coattivamente (o manu militari) ad un accertamento tecnico da parte degli inquirenti, in virtù della considerazione (malcelata, quanto falsamente garantista) che, così facendo, si verrebbe a violare il principio di autodeterminazione del cittadino (dimenticando, invece, che il codice di rito prevede che l'indagato possa essere sottoposto ad esperimento di ricognizione ed/od al confronto, senza potersi rifiutare).
E', però, altrettanto pacifico osservare, che appare assolutamente inaccettabile, sul piano giuridico, la scelta (volontaria od involontaria che sia, conta molto poco di fronte all'insipienza del legislatore) di offrire una comoda scappatoia, in presenza di un comportamento che impedisca - sotto il profilo oggettivo - la verificazione della sussistenza di una condizione obbiettiva di punibilità (o, comunque, di sussistenza di un reato).
Né si può, seriamente, porre sullo stesso piano il rifiuto di sottoporsi all'esame etilometrico ed il rifiuto di rendere l'interrogatorio (al P.M. o, di garanzia), giacchè sia la ratio dei due istituti, che le conseguenze che derivano da comportamenti che sono all'apparenza appaiono omogenei (ma che omogenei non sono affatto) risultano totalmente differenti.
Non si dimentichi, infatti, che il rifiuto a rispondere alle domande degli inquirenti ("l'avvalersi della facoltà di non rispondere") pur costituendo - in realtà - un vero e proprio diritto potestativo dell'inquisito e pur sembrando analogo all'altra tipologia di diniego in disamina, a sua differenza, non ostacola affatto la attività di accertamento del reato.
Il tratto emergente e differenziante le due fattispecie giuridiche, dunque, riposa proprio nella considerazione che, sin dall'origine, il negare il proprio consenso pone un veto normativo completamente preclusivo all'accertamento di una situazione che, invece, in fatto può configurare, ictu oculi, un preciso reato.
Ad abundantiam, va sottolineato che risulta palese ed inaccettabile anche la condizione di clamorosa disparità di trattamento che si viene a manifestare tra casi - in punto di fatto - tra loro omogenei, se non addirittura identici, la cui perseguibilità e sanzionabilità dipende solo dalla lealtà (ma si può dire, davvero, che si tratta solo di lealtà o è meglio dire che si tratta di informazione, oppure che si tratta di furbizia?) del soggetto da analizzare, il quale diviene, nella pratica, giudice di sé stesso!
Ed allora, questo grave impasse legislativo deve trovare una sua soluzione ed, a parere di chi scrive, la può trovare solo ricostruendo in modo generale la natura complessiva che connota l'art. 186 CdS.
Le due tesi in conflitto
E', infatti, questione di non limitata rilevanza quella per cui si deve risolvere il dilemma che nasce da due opposte visioni del problema.
1. L'una intende, infatti, il reato di cui all'art. 186 CdS come espressione base di un precetto generale, [portato dai co. 1 e 2, i quali recitano "è vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche" e "chiunque guida in stato di ebbrezza è punito..",] rispetto al quale esiste una graduazione progressiva del trattamento sanzionatorio, che si ricollega in maniera diretta con l'esito della verifica tecnica concernente il dato quantitativo dell'alcool assunto.
Attesa, dunque, l'individuazione di quello che costituirebbe il fondamento della norma incriminatrice, si deve coerentemente concludere nel senso che, ogni differenziazione in punto di pena riguardo i singoli scaglioni indicati dalle lett. b) e c), infatti, costituirebbe una singola ed autonoma circostanza aggravante.
Questa impostazione provoca una conseguenza diretta.
Essa si appalesa e trova massima espressione, infatti, in ipotesi di riconoscimento di circostanze attenuanti (sia generiche, che di altra specie) e di giudizio di prevalenza od equivalenza, ai sensi dell'art. 69 c.p., delle stesse rispetto alle citate aggravanti.
Ove, quindi, intervenisse il citato bilanciamento tra opposte circostanze, ne deriverebbe che la pena da applicare in concreto dovrebbe essere quella di cui alla lett. a).
Ulteriore conseguenza da concretamente valutare sarebbe quella della possibilità di accesso - da parte dell'indagato - all'istituto dell'oblazione ai sensi dell'art. 162 bis c.p..
2. La tesi opposta, invece, considera l'accertamento del tasso alcoolemico quale vero e proprio elemento costitutivo del reato; sicchè la previsione normativa, attinente ad ogni singolo scaglione, integrerebbe una autonoma forma di reato.
Tale orientamento esclude, quindi, che si possano incontrare i sopra citati e ricordati problemi di bilanciamento tra circostanze.
Per converso, un effetto diretto dell'adesione a questa visione consisterebbe nella circostanza che non sarebbe più possibile utilizzare, ai fini di dimostrare la sussistenza dello stato di ebbrezza, alcuni indici sintomatici soggettivi di carattere empirico.
Essi possono, infatti, essere rinvenuti nell'alito vinoso, nel linguaggio sconnesso, nell'andatura barcollante, ed altri ancora possono venire utili a tale scopo.
Così opinando, dunque, la fattispecie criminosa della guida in stato di ebbrezza verrebbe integrata e provata, esclusivamente, solo nell'ipotesi in cui si addivenga all'accertamento di un tasso etilico, in capo al singolo soggetto, che appaia superiore alla soglia minima stabilita dalla legge.
Correlativamente, quindi, rimarrebbero esenti da responsabilità penale (e dalle corrispondenti sanzioni) tutti coloro che venissero trovati a guidare un veicolo in evidente stato di ubriachezza, ma nei confronti dei quali non fosse stato possibile pervenire alla definizione del tasso alcoolemico.
La nostra opinione
Prima di esprimere una meditata e motivata preferenza per uno dei due indirizzi esposti, corre l'obbligo - a scrive - di ribadire la sommarietà della scelta che si va ad operare.
Non si tratta, infatti, di richiamare le considerazioni svolte all'inizio in ordine alla classificazione e sussunzione del reato in questione nella categoria delle contravvenzioni; si tratta, invece, di ribadire l'incapacità del legislatore italiano di legiferare fuori dalle logiche dell'emergenzialità e della sommarietà .
Vale a dire che è estremamente raro (e la vicenda in questione non fa, purtroppo, eccezione) che ci si trovi dinanzi ad un progetto organico che risenta di una approfondita valutazione del tema oggetto dell'attività di normazione.
Il potere legislativo - per forma mentis o per calcolo contingente - si preoccupa, infatti, solamente di placare ondate emozionali che colpiscono l'opinione pubblica, mirando, al contempo, solo ad ottenere un appagato generale consenso, che finisce per fondarsi sulla percezione meramente apparente della esistenza della norma e non già sulla reale capacità di quest'ultima di risultare idonea a fronteggiare la eventuale anomica situazione per la quale la stessa sarebbe stata concepita.
Dunque, una norma (o parvenza di norma) c'è o ci sarebbe e, quindi, la coscienza popolare è (o dovrebbe essere), quindi, tranquilla ed acquietata.
Ciò posto ed atteso il regime di drammatica precarietà che connota la legislazione sul tema (e l'art. 186 CdS in modo particolare) devo ammettere che il parametro ha guida della mia scelta appare informato in parte anche ad un principio metagiuridico.
In primo luogo, reputo che il bene giuridico oggetto della tutela penale offerta dall'art. 186 CdS può essere individuato :
1. in via diretta, nella necessità di impedire che vengano alterate, sul piano soggettivo, le normali condizioni di circolazione;
2. in via mediata, altro fine perseguito è, invece, quello della prevenzione di incidenti stradali provocati dalla contingente inidoneità psico-fisica del singolo conducente, difendendo, così, appieno una legittima aspettativa del cittadino.
In questo contesto, dunque, mi pare di potere sostenere che coglie nel segno la tesi, la quale attribuisce valenza di precetto generale alla previsione contenuta nei co. 1 e 2 dell'art. 186 CdS, laddove essi recitano testualmente "è vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche" e "chiunque guida in stato di ebbrezza è punito..".
Lo scopo precipuo della norma è, dunque, in ultima analisi, impedire che si concretizzi una situazione comportamentale di destabilizzazione delle condizioni di guida stabilite ex lege e, come tale, illecita, siccome in grado di creare una situazione di pericolo e di allarme sociale.
Siamo, dunque, in presenza di un reato di pura condotta, la cui fattispecie base, in sé perfetta e delineata nei suoi tratti costitutivi ed essenziali, viene, dunque, arricchita da ulteriori elementi circostanziali di aggravamento.
Questi ultimi consistono nei singoli scaglioni di intossicazione alcoolica.
Va, infatti, notato (e ciò può avvenire agevolmente) che l'identificazione, all'interno di una singola disposizione di legge, di specifici tetti quantitativi - come nel caso di specie - oltre i quali scattano aumenti di pena, configura una previsione accessoria, ininfluente sulla struttura del reato ed estranea ad essa, perché non la sostituisce, ma la specifica.
La fattispecie incriminatrice, nel caso che ci occupa, infatti, preesiste e non soffre alcuna modificazione della propria struttura, posto che il descritto elemento circostanziale dispiega efficacia solamente in relazione al giudizio di gravità del reato e correlativamente al quantum di pena da infliggere.
In secondo luogo, reputo che si debba conferire alla norma, intesa in senso generale, la possibilità di dispiegare il massimo effetto possibile sia sul piano strettamente precettivo, che sul correlativo profilo sanzionatorio.
In quest'ottica, quindi, decidere di interpretare i singoli scaglioni come reati tra loro autonomi, comporterebbe - come detto - la esclusione, a priori, dal novero della doverosa valutazione penale di situazioni di palese ed evidente sussistenza delle condizioni obbiettive di punibilità del reato in questione, peraltro percepite dalle forze dell'ordine in maniera empirica e con valutazioni soggettive, (ergo de visu), cioè al di fuori dell'uso degli strumenti tecnici, quale è - ad esempio - l'etilometro.
Non è, infatti, francamente, accettabile che l'attività di accertamento di un reato debba essere condizionata e circoscritta all'uso di dispositivi specialistici, mortificando la capacità personale del singolo agente e, giungendo, così, al paradosso di negare, sul piano naturalistico, l'evidenza di fatti conclamati.
Se questa fosse la regola base cui ispirarsi, si dovrebbe concludere, ad esempio, che le riprese delle telecamere di una banca possano risultare uniche concrete fonti di prova per attestare o smentire la colpevolezza di un indagato di rapina, mentre è comune esperienza forense che la gamma degli elementi di prova (a carico e discarico) non può venire delimitata a solo a profili tecnologici, i quali non sono esenti dal carattere della fallibilità .
Un ulteriore elemento che, sul piano endoprocessuale, può risultare convincente e decisivo va rinvenuto nella effettiva possibilità che l'accertamento soggettivo e diretto degli agenti ben potrebbe fungere da attività idonea a sopperire al rifiuto del singolo.
In buona sostanza, in presenza del mancato consenso dell'interessato a rendere l'esame alcoolmetrico, a mezzo dell'etilometro, ritengo che, in presenza di seri ed inequivoci indici e di precisi e dettagliati elementi di percezione di uno stato di intossicazione alcoolica in carico al conducente del veicolo, si possa dare inizio alla fase procedimentale dell'indagine preliminare, evitando sia teoriche situazioni di ingiustizia sostanziale, sia di vulnerare il diritto alla difesa del cittadino, che ben potrà e dovrà difendersi dalla contestazione mossagli.
Al recupero di un'area di condotte, le quali, diversamente, sarebbero rimaste esenti da un necessario accertamento in sede penale (dove per accertamento non si deve affatto e necessariamente intendere un'anticipata condanna, quanto piuttosto l'esercizio di quella dialettica procedimentale che sottende alla verifica della sussistenza di un'ipotesi ex parte), si potrebbe contrapporre la eventualità di un'attenuazione della sanzione penale.
Sembrerebbe, quindi, questa - come anticipato - una palese conseguenza del giudizio di prevalenza od equivalenza fra circostanze attenuanti e circostanze aggravanti, che fosse ritenuto in sede processuale dal magistrato decidente.
La contraddizione è, però, a parere di chi scrive, solamente di pura e mera apparenza.
Essa, infatti, si manifesta come frutto di un improprio ed errato approccio esegetico rispetto alle modalità ed ai criteri in base ai quali interviene la scelta di concedere le attenuanti generiche.
Va, infatti, affermato con assoluta chiarezza che tali circostanze, portate dall'art. 62 bis c.p., non costituiscono un diritto quaesito dell'imputato, ma sono (e devono essere) frutto di una valutazione discrezionale e tecnico del giudice, il quale è chiamato, in primo luogo a rifarsi alla linee guida stabilite dall'art. 133 c.p..
Tale norma - come è noto - presenta plurimi paradigmi valutativi a carattere soggettivo, che debbono aiutare il giudice nella sua valutazione globale in ordine alla capacità criminosa dell'imputato ed alla sua più globale personalità (quale ad esempio il tipo ed il livello di dolo ravvisato nella condotta oggetto di indagine).
La meritevolezza del temperamento sostanziale, che le circostanze in parola configurano, viene, altresì, corroborata da ulteriori considerazioni che devono involgere anche il comportamento processuale dell'inquisito.
Sicchè, far credere che il riconoscimento delle attenuanti generiche (o di altre circostanze attentatrici la asperità della pena) sia esito di una non meglio identificata forma di automatismo giuridico è asserzione del tutto mistificatoria non solo sul piano della realtà legale, ma anche in relazione alla quotidiana esperienza forense.
Ergo, se il giudice perverrà al detto giudizio di bilanciamento, questo dovrà , quindi, formare oggetto di adeguata motivazione, così che non vi sarà timore di arbitri o di decisioni estemporanee ed infondate giuridicamente.
Soprattutto, se si perverrà alla conclusione sopra esposta, è indubbio, che a monte di tale decisione sarà rinvenibile un giudizio di meritevolezza ad personam, cioè non indiscriminato, bensì calibrato proprio sulla specificità dell'imputato.
I benefici, quoad poenam, potranno derivare al singolo inquisito, quale forma eccezionale, riconnessa - ad esempio - all'eventuale incensuratezza dell'imputato od ad altri profili comportamentali, ma è evidente che essi non necessariamente potranno venire riconosciuti in ipotesi di ricadute recidivanti.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 23 novembre 2007, n. 43405
fonte Altalex ...

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